DI GIOVANNI PICONE
Contrada lavorò per trent’anni a Palermo con i colleghi Cassarà e Giuliano, entrambi morti ammazzati. Fece carriera e da capo della criminalpol divenne numero tre del Sisde.
Arrestato la vigilia di natale del 1992, rimarrà sotto custodia cautelare per 31 mesi, non per colpa di un Gip impazzito, ma perché a confermare questa decisione furono tre giudici del tribunale del riesame e dieci di due diverse sezioni della Cassazione. L’indagine, condotta da Ingoia e Morbillo (cognato di Falcone), si conclude con il rinvio a giudizio del 1994.
A testimoniare contro di lui sono venti pentiti. Mentre Pm come Ayala, Caponetto d’Ambrosio, sottolineano la diffidenza che si nutriva nei suoi confronti nella procura di Palermo, soprattutto da parte di Giovanni Falcone, tanto che veniva considerato inaffidabile.
Contro Contrada ci sono molti indizi: fece rilasciare la patente di guida a Stefano Bontate, e il porto d’armi al Principe Vanni Calvello di San Vincenzo, indiziato per collusioni mafiose, ma il più importante è quello legato al nome di Tognoli.
A seguito: DAL SISDE ALLA MAFIA LA CARRIERA DE “‘U DUTTURI” (Marco Travaglio, L’Unità);
Tognoli, l’imprenditore bresciano riciclatore della mafia, fu arrestato in Svizzera nel 1988. Secondo Carla del Ponte, che lo interrogò insieme a Giovanni Falcone, l’imprenditore ammise che nella sua fuga dall’Italia fu aiutato proprio da Contrada, ma si rifiutò di metterlo a verbale. Quattro mesi dopo la mafia tentò di uccidere Falcone, Del Ponte e Lehman (collega presente al primo interrogatorio di Tognoli) con la bomba all’Addaura.
Il 5 aprile arriva la sentenza di primo grado, confermata in un secondo momento sia dall’Appello che dalla Cassazione, che condanna Contrada a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa, per essere stato “persona disponibile con diversi mafiosi”, “per aver posto in essere precise condotte di favoritismo nei confronti della mafia”, “per aver fornito all’organizzazione mafiosa notizie afferenti ad indagini”, “ha avuto incontri diretti con i mafiosi: Spatola e Musso”
Secondo la sentenza Contrada si è anche difeso ricorrendo spesso a menzogne, al pari dei testimoni a suo favore, tutti mentitori.
Ma non è finita qui. Contrada mente anche alle domande riguardanti il 19 luglio ’92, il giorno della bomba in Via D’Amelio, dove morì Paolo Borsellino con la scorta, anche se in questo caso la sua posizione viene archiviata.
L’ex numero tre del Sisde dichiara che in quel giorno è in gita in barca con Valentino (un imprenditore in contatto con il boss Ganci) e Naracci funzionario del Sisde. Contrada dichiara che dopo pranzo Valentino riceve una telefonata dalla figlia (da telefono pubblico, quindi non presente nei tabulati) che lo informa di un attentato. A questo punto Naracci telefonando al centro del Sisde di Palermo per chiedere informazioni più precise, viene a sapere che la bomba è scoppiata in Via d’amelio. Ma i conti non tornano. Secondo la ricostruzione del consulente tecnico dei magistrati, la bomba esplode alle 16:58 e la telefonata al centro del Sisde di Palermo viene fatta 80 secondi dopo. Quindi dopo un minuto dalla strage la figlia di Valentino(sempre che sia stata lei a chiamare) già sapeva tutto dell’attentato, e in venti secondi al Sisde di Palermo già sanno che la bomba è esplosa in Via d’Amelio. Impossibile. È chiaro che Contrada mente. A meno che non si voglia ammettere che la figlia di Valentino sia una vegente, e che Narucci abbia il record mondiale di velocità nel formulare un numero telefonico.
Arrivati in fondo, sembra che i nostri politici vogliano cominciare a scavare. Dare la grazia a Contrada a causa dei suoi motivi di salute sembra essere diventata la frase più gettonata del momento. Prima di graziarlo, facciamoci almeno spiegare cosa fece il giorno della morte di Borsellino.
Giovanni Picone
Comedonchisciotte.org
31.12.07