NON CI SONO GIUSTIFICAZIONI MORALI PER I PARADISI FISCALI

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Rappresentano la quint’essenza dell’ingiustizia e consentono alle multinazionali di farsi pagare il conto dai comuni cittadini

DI PAUL VALLELY
www.paulvallely.com

Nel bel mezzo delle isole Cayman esiste

un edificio che è sede di circa 12.000 compagnie. Un edificio molto

grande? No, semplicemente una grande truffa.

I paradisi fiscali sono tornati alla

ribalta da quando l’attuale Cancelliere dello Scacchiere britannico,

George Osborne, ha stipulato un accordo con le autorità svizzere per

imporre una tassa sui conti correnti bancari intestati ai cittadini

britannici. La mossa ha diviso analisti e osservatori britannici, da

un lato la misura permetterà al Tesoro inglese di raccogliere circa

5 miliardi di sterline, dall’altro c’è chi argomenta che in tal

modo si è legittimato il sistema bancario svizzero a mantenere il più

assoluto segreto sui conti depositati. De facto, la nuova tassa rappresenta

un’amnistia per chi si è macchiato di reati legati all’evasione

fiscale. Gli evasori vedranno condonato una parte del loro debito nei

confronti del fisco e, in conclusione, pagheranno molto meno rispetto

a quanto avrebbero dovuto se avessero denunciato i loro redditi al fisco

inglese.
Esiste forse una qualche ragione legittima

per la quale un contribuente dovrebbe possedere un conto corrente bancario

segreto – e pagare un prezzo per mantenere questo status di completo

anonimato – o spostare il proprio denaro in uno dei tanti piccoli

staterelli-truffa, rimasugli del vecchio Impero Britannico, come le

Cayman, Bermuda, Turks e Caicos o le Isole Vergini britanniche?

I paradisi fiscali incrementano ed

incentivano la disuguaglianza, l’ingiustizia e la truffa. Hanno sostituito

la vecchia moralità che si fondava sulla regola d’oro della reciprocità,

con la creazione di una nuova regola: chi ha l’oro fa le regole.

La vecchia visione, come ha recentemente

scritto il neo-con americano Christopher Caldwell, era legata

ad un’idea del denaro che era universale nel Cristianesimo pre-protestante:

le persone vivono, il denaro, invece, no. Tale concezione rendeva molto

difficile la possibilità che i soldi prendessero il sopravvento sull’uomo.

Ma a cosa si riferisce la questione

morale quando si parla di paradisi fiscali? E’ possibile analizzare

il problema attraverso le parole degli amministratori di tali paradisi,

i quali rispondono che se non fossero loro a incamerare i soldi, qualcun’altro

lo farebbe al posto loro. Una giustificazione simile a quella data da

chi vende strumenti di tortura ad un regime dittatoriale. Alcuni analisti

affermano, giustificandone la presenza, che i paradisi fiscali proteggono

la libertà individuale, promuovendo l’accumulazione del capitale,

la giusta competizione tra nazioni e il miglioramento dei sistemi tributari

del resto del mondo. Sempre secondo questa linea, essi favoriscono anche

la crescita economica. Addirittura, l’Institute of Directors

britannico ha affermato che il governo inglese non dovrebbe combattere

i paradisi fiscali ma emularli, promuovendo l’incremento di ulteriori

hedge funds in Gran Bretagna.

Ma anche se tutte le ragioni a sostegno

dei paradisi fiscali fossero vere – e non lo sono – come valutare

gli squilibri etici e morali che la loro presenza comporta? I conti

correnti bancari cifrati sono notoriamente ricettacolo per crimini come

frode, corruzione, furto, terrorismo, scommesse illegali, riciclaggio

e saccheggio e vengono spesso utilizzati da despoti arabi: gente come

Gheddafi, Mubarak, Ben Ali possiede conti correnti svizzeri.

La diffusione della corruzione, come

ha documentato lo scrittore Nicholas Shaxson nel suo libro “Treasure

Islands” – Isole del tesoro – riguardante la finanza offshore

è una piaga dilagante e fenomeni di segretezza, corruzione e intimidazione

siano diffusi in luoghi in cui non ci si aspetterebbe per nulla di trovarli.

Ma la bancarotta morale dei paradisi

fiscali è più profonda. Le Isole Vergini Britanniche sono

la capitale mondiale della costituzione di società off-shore.

Sebbene abbiano una popolazione di appena 22.000 abitanti, esistono

ben 823.502 imprese registrate che fanno un sacco di soldi attraverso

i cosiddetti prezzi di trasferimento. Un trucco che funziona in questo

modo: supponiamo che si produca un prodotto in Africa e si abbia una

succursale per la vendita nel Regno Unito. Bene, se io fossi un uomo

d’affari “astuto” dovrei creare una società intermedia in un

paradiso fiscale: non è necessario che questa società faccia nulla

eccetto che esista sulla carta. Attraverso questa società di comodo,

sono in grado di acquistare tutti i prodotti che fabbrico in Africa

e rivenderli, ad un costo molto maggiore alla mia succursale britannica.

Le mie due imprese, quella africana e quella britannica, non possono

produrre molto profitto, perciò si hanno poche o nessuna tassa da pagare.

Sarà invece la società con sede nel paradiso fiscale a fare soldi,

dove cioè le tasse sono irrisorie o addirittura non esistono. Tutto

ciò è perfettamente legale, ma è un’evidente distorsione dell’economia

mondiale di mercato.

Oggi è possibile inoltre prendere

in prestito denaro dove i tassi d’interesse sono inferiori e collocare

la sede della mia attività dove i costi sono più deducibili dalle

tasse.

Questo è il motivo per il quale

la General Electric non ha pagato tasse nel 2010, nonostante profitti

per 14,2 miliardi di dollari. Questo è il motivo per il quale Barclays,

con 181 succursali registrate alle isole Cayman, ha pagato solo una

minima parte delle imposte al fisco britannico sui suoi profitti mondiali.

Questo è il motivo per cui la New Corp di Rupert Murdoch, con 152 succursali,

stime del governo americano, nei paradisi fiscali non ha pagato l’imposta

sulle società del Regno Unito tra il 1988 e il 1999.

Circa la metà dei flussi del

commercio mondiale passano attraverso paradisi fiscali. Ogni multinazionale

così come le banche li utilizza spesso. Circa il 70% del commercio

internazionale non avviene fra multinazionali ma all’interno di multinazionali.

Il Christian Aid calcola che i costi complessivi causati dell’evasione

fiscale nei paesi in via di sviluppo sono di circa 160 miliardi all’anno

– molto più di quanto ricevono in aiuto.- Il centro di ricerca statunitense

Integrity ha inoltre stimato che nel solo 2008 sono stati sottratti

illecitamente ai paesi poveri 1,2 trilioni di dollari.

L’ingiusto sistema di tassazione

è funzionale ai paradisi fiscali. Barack Obama l’aveva capito. Durante

la sua campagna elettorale promise un giro di vite contro l’evasione

e l’elusione, reprimendo il ricordo ai paradisi fiscali. Ma lui e

gli altri leader mondiali non hanno dato seguito alle promesse. Anzi,

si è assistito alla progressiva escalation dei peggiori strumenti finanziari

come hedge funds e commercio di derivati che sono stati la vera benzina

nel motore della crisi finanziaria 2008.

L’influenza maligna di questi prodotti

finanziari non si è ancora placata, con gli hedge funds che rappresentano

almeno il 30%, ma forse addirittura il 60%, degli attuali scambi nelle

borse di Londra e New York; le vendite allo scoperto si sono quintuplicate.

E i credit default swaps, progettati in principio come assicurazioni,

sono diventati lo strumento per scommettere sul fallimento di società.

Le Cayman (popolazione di 50.000 abitanti) è sede della registrazione

del 70% degli hedge-funds in tutto il mondo.

Così, mentre i ricchi vedono le loro

tasse abbonate, i poveri vedono il loro posto di lavoro sempre più

vacillante. “I ricchi sono diversi da me e te” disse Scott Fitzgerald

in una sua famosa frase. “Si”, ribatté Ernest Hemingway con una

forte velatura di ironia, “hanno più soldi”, frase che riprodotta

oggi sarebbe “si, pagano meno tasse”.

La vera vergogna dell’accordo quasi

concluso tra Gran Bretagna e Svizzera è che si compromette la direttiva

europea “saving tax”. La quale prevedeva uno scambio diretto di

informazioni sui conti correnti bancari tra Unione Europea e Svizzera,

Lichtenstein e paradisi fiscali britannici. Tutti gli stati europei,

tranne due, hanno votato per la sua entrata in vigore, essa avrebbe

coinvolto non solo gli individui ma anche società, trust, fondazioni

e altre strutture complesse.

Alcuni affermano che un attacco ai

paradisi fiscali è un attacco alla creazione del benessere stesso.

Non è così. E’ semplicemente domanda di un capitalismo che

funzioni e di un miglior bilanciamento verso le esigenze di efficienza

e di giustizia.

Anche l’investitore miliardario Warren

Buffett lo ha riconosciuto. Sul New York Times, ha infatti sarcasticamente

affermato che il Congresso americano è in balia dei super-ricchi. Egli

infatti, grazie ai suoi scaltri manager, paga solo il 17,4% del proprio

reddito in tasse – la metà di quello che pagano gli impiegati delle

sue aziende. Tale sistema non solo aumenta le disuguaglianze ma mina

alle fondamenta la fiducia nella giustizia e nell’integrità del sistema

finanziario internazionale: una potenziale bomba ad orologeria per la

politica.

**********************************************

Fonte: There is No Moral Case for Tax Havens

28.08.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANTONIO PROSPERO

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