NON BASTA ESSERE VEGETARIANI

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DI CHRISTINA WATERS
Alternet

Nel 1973, quando il filosofo morale Peter Singer ebbe finito con noi, ai carnivori occasionali non rimasero molti argomenti per cui agitarsi. Fu quando Animal Liberation – il suo attacco intransigente alla sofferenza inflitta alle altre specie – raggiunse milioni di lettori che questi iniziarono a scambiare le loro bistecche con il tofu.

Ma ora, anche l’elevato grado morale dello stile di vita di un vegetariano non è più abbastanza. Il nuovo libro di Singer, The Way We Eat: Why Our Food Choices Matter (Il nostro modo di mangiare: perchè le nostre scelte alimentari sono importanti) sostiene che, tutto considerato, solo uno stile di vita vegano può essere accettabile. Le ragioni vanno ben al di là dei vecchi rapporti di Singer sugli abusi nei confronti degli animali e sugli allevamenti industriali. Monitorando le origini del cibo servito in tre diverse tavole americane, Singer ed il suo co-autore Jim Mason scoprono più di quanto siano riusciti a mandar giù.Il modo in cui mangiamo può influenzare la salute del pianeta più di quanto possa fare il fatto di passare alle macchine ibride o al riscaldamento solare. I costi nascosti anche dietro le più prudenti scelte alimentari – costi intesi in termini di ingiustizia sociale, povertà, rifiuti e inquinamento, così come le crudeltà inflitte nei confronti degli animali, ci rende tutti complici del processo di distruzione ambientale. In particolar modo gli Americani, che consumano un quarto del combustibile fossile mondiale e la cui industria alimentare “cerca di tenere il suo popolo all’oscuro di tutto”.

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Messosi alla ricerca della trasparenza riguardo la produzione dei nostri alimenti, Singer ha visitato terreni agricoli, fattorie, stabilimenti destinati all’agricoltura biologica e zone di pesca, guidato dalle abitudini concernenti l’acquisto di prodotti alimentari di tre famiglie – una di esse incastrata nella “dieta Americana standard” fatta di Wal-Mart e fast food, un’altra di “onnivori coscienziosi” ed infine una famiglia di vegani che non consumano alcun prodotto di origine animale. Non era difficile prevedere che la famiglia dello shopping a prezzo ridotto sarebbe stata punita severamente a causa di una gastronomia essenzialmente basata sulla convenienza. Ma quando Singer ha rintracciato l’origine delle vivande politically correct acquistate dai consumatori coscienziosi, i risultati sono stati preoccupanti. Guardando al di là delle etichette “biologico” e “trattamento umano garantito”, a Singer non è piaciuto ciò che ha visto. Anche il pesce d’allevamento puzzava di rancido.

Molto di ciò che Singer dichiara nel libro, appare una sfida aperta nei confronti del folclore ambientalista dominante. Il mantra del “compra cibo locale”, per esempio. Non necessariamente i prodotti locali sono meno costosi – se nei costi includi le spese ambientali dovute alle emissioni di anidride carbonica, o temi riguardanti la giustizia sociale; come la questione di quanto sia maggiore il potere d’acquisto del tuo dollaro in un villaggio dello Sri Lanka rispetto al potere dello stesso in una comunità di elevato status sociale di Palo Alto. [Città universitaria della California N.d.T.] Questo perché “economico” non significa sempre conveniente, così come “biologico” non sempre vuol dire sufficientemente buono; almeno se è vostra intenzione ripercorrere gli studi fatti da Singer per il suo libro, dove si rivelano gli elevati costi di combustibile necessari per la coltivazione fuori stagione di pomodori biologici. La scelta del “compra cibo locale” sembra avere un significato etico solo se accompagnata da una coscienza “del ciclo delle stagioni”. I prodotti fuori stagione, anche quelli biologici, portano sempre con sé un elevato costo ambientale.

Lo stretto utilitarismo, spinto quasi alla follia, ha reso Singer molto famoso. Ma potrebbe anche renderlo noioso. Eludendo la complessa questione dei diritti naturali, Singer basa le sue considerazioni etiche sul tema degli interessi personali. Siccome gli animali (inclusi noi umani) hanno degli interessi, come ad esempio sottrarsi dalla sofferenza, questi interessi devono essere rispettati fin quando, così facendo, non si provochi una sofferenza maggiore nei nostri confronti. La povertà, la fame, gli abusi – tutto ciò provoca una sofferenza che coloro che appartengono alla cultura dell’abbondanza potrebbero facilmente prevenire; sempre che siamo pronti a fare dei sacrifici. Ma sotto il microscopio morale di Singer, siamo obbligati a fare questi sacrifici. Certo di non essere preso sul serio, egli ha l’ardire di rilanciare il divieto religioso contro l’ingordigia. Quest’idea, al tempo stesso folle e saggia, lo rappresenta in tutto e per tutto.

In “The way we eat”, Singer sottolinea in modo scrupoloso l’importanza di fare scelte alimentari illuminate, di comprare e consumare solo quei prodotti animali la cui provenienza sia ben nota e ben documentata, ad esempio i prodotti del Niman Ranch. Anche in questi casi Singer avverte che non possiamo conoscere con esattezza fin dove possa essere esteso il concetto di “allevamento libero” o “abbattuto in modo umano”. I vincoli temporali a cui sono sottoposti i lavoratori della produzione a catena non possono che compromettere una manipolazione attenta e accurata. Così, per stare tranquilli, Singer ripete (più e più volte), che dovremmo semplicemente evitare di consumare qualsiasi prodotto animale, tranne – ammette con un certo sangue freddo – quelle squisitezze prive del sistema nervoso centrale, come cozze, vongole e conchiglie.

Il suo nuovo libro è pieno di notizie inquietanti, non dimentichiamo che gran parte della letteratura recente (“Fast Food Nation” di Eric Schlosser (1) e il classico “Food Politics”di Marion Nestle) ha preparato ampiamente il lettore curioso agli orrori dei moderni allevamenti di pollame e della macellazione del bestiame. Ancor più sconcertante dei semplici resoconti grafici dell’inseminazione dei tacchini e degli abusi sul pollame che condiscono “The way we eat”, sono le rivelazioni di Singer riguardanti i costi ambientali nascosti.

Se scegliamo solamente salmone d’allevamento, diventiamo sostenitori dei vasti raccolti selvatici usati per alimentare i pesci d’allevamento. Anche gli animali cresciuti in modo umano sono maiali di terra che occupano uno spazio che potrebbe essere meglio utilizzato per coltivare piante commestibili agli esseri umani e per ripopolare le specie selvatiche. Si tratta di un’altra bomba ecologica – ha più senso dal punto di vista etico comprare riso dal Bangladesh piuttosto che riso coltivato nella Valle di Sacramento. Singer presenta ragioni in abbondanza, ma il punto centrale riguarda la giustizia sociale. I soldi destinati ai paesi in via di sviluppo – specialmente se usati per l’acquisto di prodotti facenti capo ad un commercio equo – hanno un impatto molto più ampio rispetto ai soldi reinvestiti su un’opulenta comunità Americana.

In termini etici, il consumatore riceve un impatto morale ben più forte se ci sono di mezzo i soldi. Oltre a questo ci sono i risparmi di carburante derivanti dalla spedizione dei prodotti dal Sudest Asiatico piuttosto che trasportandoli da Sacramento. L’acquisto di merci che provengono dall’altra parte del mondo diventa dunque un “peso” a carico dell’ambiente. I cibi economici sono solo apparentemente convenienti. Sono altri – lavoratori, animali, specie in via d’estinzione – a pagare per il nostro stile di vita consumistico: “lontano dagli occhi lontano dal cuore”.

Lo stesso Singer ha assestato un forte gesto morale donando ogni anno il 20 percento dei suoi guadagni all’UNICEF e all’ Oxfam. (Sarebbe interessante calcolare quanti aerei gozzoviglianti di carburante fossile Singer prende ogni anno, tra i suoi appuntamenti in veste di professore aggiunto a Princeton e la sua città natale Melbourne, in Australia.) Tuttavia, non posso fare a meno di pensare che egli ci stia chiedendo di essere migliori di quanto possiamo realmente essere. Una volta fornite delle motivazioni – che egli è di sicuro in grado di sostenere – siamo invitati a smettere di mangiare pesce, uova, carne, latticini ed ogni prodotto di origine animale.

Egli è così diffidente anche nei confronti del produttore più scrupoloso, che non esiste prova alcuna che possa convincerlo ha riconsiderare le sue conclusioni. Come molti che hanno speso il lavoro di una vita in supporto di una posizione filosofica, Singer non ha mai incontrato un fatto che potesse affrontare a viso aperto le sue argomentazioni. O così sembra. Se sono io ad allevarlo e lo uccido io stesso, sarebbe sempre sbagliato, sostiene Singer, perché in realtà, mangiarlo sarebbe di cattivo esempio per gli osservatori. Come possono loro sapere quanto umanamente questo piccolo filet mignon è arrivato alla morte? Al di là del veganesimo, non abbiamo scuse.

E allora, per quanto dovremmo tormentarci sul prezzo etico di polli provenienti da allevamenti liberi? Fin dove arriva il calcolo della sofferenza? Fino ai maiali? O alle conchiglie? E che dire degli insetti che ho schiacciato mentre camminavo nel mio giardino biologico? Resa insensibile fino all’estenuazione dal ragionamento etico, mi allontano dal messaggio di Singer, sanguinante ma invitta. Vivere una vita morale è faticoso. Il costo nascosto di uno stile di vita vegano per me è troppo alto in termini di tempo e ansietà. Così continuerò a mangiare prodotti stagionali provenienti da agricoltura biologica, uova e polli provenienti da allevamenti liberi, e salmoni selvatici. Ma il libro di Singer ha prodotto un effetto su di me. Ho aumentato i miei contributi alla Heifer International.

Christina Waters, Ph.D, scrive di cibo e vino e insegna etica ambientale alla UC Santa Cruz.

Christina Waters
Fonte: http://www.alternet.org
Link: http://www.alternet.org/story/36552/
23.05.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MONIA

Nota:

1)Trad. italiana: Eric Schlosser, “Fast Food Nation – Il lato oscuro del cheeseburger”
Casa editrice Marco Tropea Editore
Collana Le Querce € 16,60
ISBN 88-438-0366-2
maggio 2002

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