NEANCHE IL GOVERNO FUGGE AL MANUALE CENCELLI

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CARLO PASSERA intervista MASSIMO FINI

Carlo Passera: Massimo Fini, proprio in queste ore si è definita la composizione del nuovo governo guidato da Romano Prodi. Rispetto ai nomi fatti nelle ultime settimane le sorprese sono poche. Tra queste, il Viminale finito a Giuliano Amato. Che ne pensi?

«Non capisco quali ragioni abbiano indotto Prodi a premiare con il ministero dell’Interno questo revenant della Prima Repubblica, esponente di spicco del vecchio regime e dunque responsabile pro quota del baratro economico nel quale il Paese è finito. Poi, per mettere una toppa ai disastri al quale anche lui aveva collaborato, divenuto premier è venuto a “rubare” nottetempo nei conti correnti degli italiani…».
E lo chiamano dottor Sottile… E che dici di Clemente Mastella ministro della Giustizia? Non è un po’ fuori luogo?

«Mastella è un democristiano di lungo corso, spudorato in alcuni aspetti ma che mi è simpatico proprio per questa ragione, perché dice apertamente quello che gli altri fanno di nascosto. Alla Giustizia serve una persona d’equilibrio e penso lui possa esserlo. Lo promuovo».

Quale il tuo giudizio complessivo sulla composizione dell’esecutivo?

«Mi pare una buona lista di ministri. Intanto, alla Difesa non c’è Emma Bonino, la non violenta guerrafondaia che da commissario europeo saltellava da una televisione all’altra gridando agli stupri etnici in Jugoslavia e sollecitando l’intervento della Nato e l’aggressione alla Serbia. Gli stupri c’erano, ovvio, come in ogni guerra, ma non erano affatto etnici; l’intervento occidentale, come ho detto tante volte, ha favorito la componente musulmana contro quella serbo-ortodossa, con le conseguenze che sappiamo e che animano oggi le isterie “Fallaci style”. Di Mastella guardasigilli abbiamo detto. Sottosegretario alla Cultura dovrebbe essere Gianni Borgna: questa è una buona scelta, perché oggettivamente a Roma con Veltroni ha lavorato molto bene. Certo, poteva disporre di spazi che a Milano non ci sono: ma ha spostato biblioteche e luo ghi di incontro culturale in periferia, dato vita a tante altre iniziative che fanno da contrasto al nulla assoluto organizzato sotto la Madonnina».

Appare abbastanza evidente che anche nella composizione del governo la prima preoccupazione sia stata quella di accontentare un po’ tutti i partiti.

«Non c’è dubbio, siamo al solito manuale Cencelli, ma su questo non mi facevo illusioni. Da quando la Democrazia Cristiana ha perso l’egemonia totale, ossia da quando si è accordata col Psi nei primi anni Sessanta, non si sfugge mai a questa logica. Noi parliamo di una situazione del tutto anomala, di una democrazia che fa orrore da tutte le parti; all’interno di questo quadro desolante dobbiamo accontentarci del meno peggio».

Tommaso Padoa Schioppa all’Economia non sa un po’ di premio ai poteri forti?

«Guarda, io su questa storia dei poteri forti sono sempre perplesso. Chi sono? Berlusconi gridava ai poteri forti: ma lui non lo era? Ora anche Moggi dice che doveva difendersi dai poteri forti, ma guidava la squadra degli Agnelli.. . Non è una questione di poteri forti ma, come ho scritto in Sudditi, di oligarchie politico-economiche strettamente intrecciate e che vanno contro l’individuo, il cittadino. Questo è il vulnus della democrazia rappresentativa: già la lobby in sé sarebbe un problema, figuriamoci questi apparati partitocratici ed economici».

Vicepremier saranno Massimo D’Alema e Francesco Rutelli. Una garanzia di stabilità per l’esecutivo?

«Intanto diciamo che è una questione anche qui cencellesca e che D’Alema, premier durante la guerra all’ex Jugoslavia, non andava premiato, ma ci sono logiche in virtù delle quali non poteva rimanere fuori da tutto. Ciò premesso, il fatto che personaggi importanti negli apparati di partito, segretari o presidenti che siano, facciano parte del governo dovrebbe garantire una certa stabilità. Vale quanto ho spiegato un giorno in televisione: “Il bisognino fa trottare la vecchia”, dicono in Toscana, ossia proprio la precarietà della situazione costringerà gli uomini dell’Unione a essere più seri e coesi di quanto non sarebbero stati se avessero avuto una maggioranza forte».

Piccola parentesi: abbiamo parlato di manuale Cencelli, ma la spartizione non ha riguardato solo le poltrone di governo, anche quelle istituzionali, a iniziare dal Quirinale. Napolitano è stata la scelta giusta?

«L’elezione di Giorgio Napolitano al Quirinale è grave non tanto per questioni cencellesche, quanto perché il nuovo presidente della Repubblica è autorevole… solo in quanto lì da sempre. Nessuno ricorda un suo gesto, un atto, una dichiarazione che abbia avuto anche un minimo di significato; l’uomo è una nullità assoluta. Ora, può darsi che all’Italia serva sul Colle una persona di questo genere, anonima, non so; di certo, all’epoca in cui esistevano i grandi comunisti – Amendola, Pajetta, Berlinguer e compagnia cantante – Napolitano si distingueva solo per un’imbarazzante somiglianza con re Umberto II e da questo non si è mai schiodato. Di sicuro non temo il “comunista”: con lui siamo lontani da qualsiasi comunismo».

Torniamo al governo: si è molto discusso sull’attribuzione del ministero della Difesa, assai delicato per i molti risvolti di politica internazionale che chiama in causa. Ti soddisfa che sia finito ad Arturo Parisi?

«Come dicevo, Emma Bonino sarebbe stato un proseguimento della politica estera del governo Berlusconi, a mio avviso disastrosa. Invece Parisi, con capacità certo minori rispetto ad Andreotti, potrà riprendere la sua tradizionale politica estera, che fu un capolavoro: fummo in grado d’essere alleati degli Usa, in quanto c’era l’Urss, e nello stesso tempo amici del mondo arabo. È quanto noi dovremmo tornare a fare, entro certi limiti ovviamente, anche perché questa subordinazione a Bush non ci ha regalato nulla, nemmeno la minima soddisfazione, neanche un contentino nel caso Calipari».

Proprio alla vigilia del giuramento del nuovo governo il ministro della Difesa uscente Antonio Martino si è recato in visita alle truppe italiane a Nassirija, il cui governatore ha invocato i nostri soldati di rimanere…

«Questo è un argomento molto usato, ma è ovvio che il governatore e anche quel premier iracheno fasullo che nemmeno ricordo come si chiami chiedano agli italiani e agli americani di non andarsene: senza di loro sarebbero spazzati via dopo quindici minuti, non rappresentano quasi niente nel Paese. Invece secondo me le truppe si devono ritirare e lasciare che gli iracheni risolvano tra loro il problema della leadership».

Sarebbe una guerra civile…

«Beh, certo preferirei un accordo pacifico anche se guerra e violenza sarebbero possibili. Ma perlomeno avrebbero un senso, poiché alla fine si creerebbe un nuovo equilibrio. Morti ce ne sono anche adesso, ma del tutto inutilmente, perché si vuole tenere in piedi una situazione che è in realtà del tutto priva di sbocchi».

Mi vengono in mente le pagine sulla “moralità della guerra” del tuo ultimo libro, Il Ribelle dalla A alla Z. Tu sottolinei ad esempio come proprio l’intervento dell’Occidente per evitare la vittoria di Teheran nella guerra contro Saddam è alla base di tutti i guai successivi… A tuo giudizio l’aver fermato il campo di battaglia è stato deleterio.

«Esatto. Intervenendo l’Occidente ha tenuto in piedi Saddam, nel frattempo riempito di armi sofisticatissime; si è creato un notevolissimo risentimento in Iran; si è impedita l’indipendenza dei curdi iracheni; si sono create le premesse per la prima guerra del Golfo. Il verdetto del campo di battaglia ha sempre una sua ragione d’essere e così sarebbe stato anche in questo caso: è inutile voler impedire all’Iran di diventare una potenza egemone nella regione, perché lo è nelle cose, nei fatti. È come voler impedire alla Germania di avere un ruolo in Europa. Sarebbe stato e sarebbe tuttora meglio avere un Iran forte, con il quale poi avviare dei rapporti diplomatici normali, perché un Paese saldo non ha interesse a far saltare nuovamente gli equilibri e tantomeno a spargere bombe atomiche in giro, come sembrano pensare George Bush e Condoleezza Rice».

Il presidente iraniano Ahmadinejad ha inviato una discussa lettera a Bush, subito “respinta al mittente”.

«La lettera era interessante per due motivi. Primo: i rapporti diplomatici Iran-Usa erano interrotti da venticinque anni, Amadinejad ha fatto il primo passo con una lettera che – e questo è il secondo motivo di interesse – afferma una sua concezione del mondo e una filosofia che non sono nostre, ma contiene anche parole condivisibili e ragionevoli. Spiega ad esempio che la ricerca scientifica e tecnologica, a parte il Medioevo, è sempre stata considerata fondamentale e l’Iran non vuole esserne tagliato fuori. È quasi un discorso da occidentale, a ben pensarci!».

Gli americani non la pensano nello stesso modo.

«La loro risposta è stata deludente. La Rice ha detto che non erano stati aperti spiragli diplomatici. Ma sul piano della diplomazia cosa poteva fare l’Iran più di così?».

Addirittura Madeleine K. Albright, segretario di Stato con Bill Clinton, ha invitato l’amministrazione Bush a rispondere ad Ahmadinejad…

«Ecco, lo dice anche la Albright, che è sempre stata il falco dei falchi! Io penso francamente che questi neocon siano ormai del tutto impazziti. Ho letto di questa Sally Satel, una figura di punta del pensiero neocon: nei giorni scorsi ha proposto la legalizzazione della vendita degli organi umani. Peccato che questo significhi comprare ai poveri i pezzi di corpo che servono ai ricchi. Siamo arrivati a questo punto, che dire?».

Tu difendi a spada tratta Ahmadinejad, ma lui continua con ostinazione ad attaccare Israele.

«Credo che il presidente iraniano sia costretto a tenere conto della sua situazione interna, non penso che sia stato semplice per lui, ad esempio, scrivere la lettera agli Usa, in Iran l’odio per gli americani è fortissimo. Così, riguadagna consenso attaccando Israele… Ma non è tanto importante che i due Stati si riconoscano: basterebbe non si facessero male l’un con l’altro. Atti di ostilità materiale da parte dell’Iran non ci sono stati in questi decenni nei confronti di nessuno, almeno dall’avvento del khomeinismo in poi, quando presero in ostaggio i diplomatici americani. Io credo che un po’ più di diplomazia, non essendo questo un Paese di boscimani (con tutti il rispetto nei confronti dei boscimani) sarebbe necessaria. Accettare un equilibrio della regione più consono ai reali rapporti di forza sarebbe più utile anche all’Occidente».

L’Europa in questo scenario rimane troppo silente, come al solito, non trovi?

«Mica tanto. L’Europa in fondo ci ha anche provato, con l’Inghilterra – ossia un grande e tradizionale alleato degli Usa – e poi con Germania, Francia e Russia. Hanno cercato di trattare con gli iraniani. Ma gli americani hanno stoppato subito questa utile iniziativa».

L’Italia può recuperare un ruolo di ponte col mondo arabo?

«L’Italia come la Spagna – per ragioni geopolitiche e storiche – hanno la possibilità di essere un ponte importante con il mondo musulmano, quindi di avere un ruolo significativo nella vicenda chiave del futuro. Perché qui gli scenari sono due: o si trova un’armonia con questi Paesi, o sarà la terza guerra mondiale, particolarmente insidiosa e nella quale non è detto che l’Occidente finisca vincitore. Noi siamo superarmati, ma loro hanno convinzioni fortissime che noi abbiamo perso. Siamo a un bivio: o si va verso una pace durevole o verso lo scatenamento di un incendio catastrofico, anche perché un attacco all’Iran scatenerebbe tutto il mondo arabo, sarebbe sentito come l’undici settembre è stato percepito in Occidente. I primi a saltare sarebbero i governi moderati, Egitto e Giordania: Mubarak sta seduto su una polveriera, non vedo perché accendere il cerino».

Per chiudere. L’Italia, che per decenni è stato “Paese di frontiera” nella spaccatura Est-Ovest, diventa dunque di nuovo “Paese di frontiera” nello scontro Nord-Sud?

«Sì, può fare da cerniera nella nuova frontiera che si è aperta».

Si rassegni D’Alema: non saremo mai un Paese normale.

«Vi sono questioni oggettive che non dipendono da noi, poi ce ne sono tante altre interne, come la presenza del Vaticano, che se tornasse ad Avignone non sarebbe male (lo dico con tutto il rispetto per questo Papa, dopo il disastroso Pontificato precedente). Certo, tutto questo fa dell’Italia un Paese molto particolare, un laboratorio: qui c’è stata la nascita del capitalismo nel Trecento e quella del fascismo nel Novecento, tanto per dire».

Carlo Passera
Fonte: www.lapadania.com
18.05.06

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