DI FULVIO GRIMALDI
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Da giorni ormai ci scassano la minchia, come bene dicono in Sicilia, con le celebrazioni del ventennale della caduta del “Muro di Berlino”. Stamane alla radio, nella trasmissione sportiva, ho sentito pure i subumani della cronaca calcistica (fatta eccezione per il grande Oliviero Beha) delirare sulla caduta del muro e sulle magnifiche sorti e progressive che quella demolizione avrebbe realizzato a est del muro. Il muro fu abbattuto da una folla di ubriachi di illusioni, ingenuità e astuti inganni. Lungi da chiunque l’idea che questa valutazione significhi l’identificazione con quei detriti del “socialismo reale” che furono i Brezhnev, i Cernienko e, peggio, i Gorbaciov. Semmai comporta un meritato rispetto e riconoscimento per la DDR che, nel mondo di quel “socialismo” della nefasta coesistenza e spartizione di genti con il capitalismo imperialista, faceva un po’ parte a sé. A Togliatti o Berlinguer, questi prelati dell’inquisizione e del compatibilità controrivoluzionaria, i dirigenti della DDR stavano come canguri a conigli. A Lenin e Gramsci avrebbero fatto meno ribrezzo di quei padri del bipartisan a perdere. Lo sanno bene gli abitanti della Germania Est che confrontano oggi la loro situazione sociale derelitta, appena superiore a quella degli altri socialismi esteuropei sbaraccati e desertificati dalle voraci mafie messe su dalle “democrazie” occidentali, con la pensione a cinquant’anni, la scuola e la sanità gratuite, la piena occupazione, la casa, casetta se volete, garantita e, last but not least, il Berliner Ensemble, Bertold Brecht o Christa Wolff. Guardatevi “Goodbye Lenin“.
Feci con mio figlio Oliviero un viaggio nella DDR e verso il muro che stava pencolando. Cosa che tutti vi tacciono, compresi i subumani degli spurghi calcistici, è il fatto che dalla Germania Est già da anni si poteva transitare verso ovest, a visitare parenti, amici, ricordi. E viceversa. E’ vero che lungo le autostrade da Dresda – polverizzata piena di umanità e vuota di soldati da quel bel campione della democrazia e dei diritti umani che era Churchill, una specie di orco cannibale – a Berlino ogni qualche chilometro ci toccava nettare il parabrezza dalla fuliggine di un apparato industriale che ogni vantaggio assicurava al paese fuorchè la tutela dell’ambiente e dei polmoni. D’altra parte continuavamo a incrociare la divertente “Trabant” che era di fibra sintetica (geniale), sparava fetori dalla marmitta, ma durava l’intera vita del possessore. Qui o la cambi ogni due anni, l’auto, o ti sputano appresso. Questione di accumulazione o di qua o di là. A Berlino Ovest, nel Kurfuerstendamm, andammo a cercare il numero 173 dove aveva vissuto mio nonno, fatto fuori dalla fame nel 1943. C’era stata la ricostruzione democristiana: una forca caudina di negozi di lusso, grandi magazzini, chincaglierie per gonzi. La volgarità fatta Berlino. Ci rifugiammo tra gli eterni tigli di Unter den Linden, a est, dopo la Porta di Brandenburgo, e venimmo vezzeggiati da un quartiere neoclassico tenuto come un roseto a Kew Gardens. Non solo, in vicoli, che lì si chiamano Gassen, in piazzette e recessi attorno al Potsdamer Platz, oggi stuprati in nome della Volkswagen e di altre multinazionali e banche dai macigni terroristici dell’architetto regimista Renzo Piano, venimmo accolti da caldi localini all’antica, dove si chiacchierava, poetava, spettacolava, beveva in letizia e armonia. E poi anche tutto il resto era come quando ero ragazzo, non aveva subito lo sderenamento da frenesia innovativa, perlopiù indotta da scaltri imbonitori della speculazione. Belli ed eterni i sanpietrini di tutte le strade su cui sobbalzavamo
senza dover temere ulteriori rapine dalle nostre tasche di contribuenti per riasfaltare, mettiamo, la Salerno-Reggio Calabria. Sentimentalismo? Chissà.
Quel muro fu eretto nel 1961 da Kruschev e dai dirigenti della DDR per porre un freno all’infiltrazione continua e massiccia di spie, provocatori, destabilizzatori, disinformatori, da parte dei servizi occidentali, principalmente Usa e di Bonn. Serviva anche a non permettere che cittadini dell’Est andassero a far soldi arruolandosi in quell’armata di prezzolati della reazione controrivoluzionaria e a impedire che, abbagliati dalle sirene del consumismo, dei farlocchi andassero a farsi gabbare dal tritacarne capitalista. Brutto muro, a volte delittuosamente insanguinato, comunque meno dei genocidi economici e militari che l’imperialismo andava perpetrando nel Sud del mondo, in fuga dal colonialismo. Muro da porsi almeno all’80 per cento sul groppone dei revanscisti occidentali. Muro infinitamente meno brutto dei democratici muri di oggi, tutti eretti dallo schieramento della “democrazia” e dei “diritti umani”. Vedi le foto. E un fiore di bellezza rispetto ai muri che i licantropi occidentali e i loro ascarucci (tipo sindaco di Padova) vanno costruendo intorno a popoli da incarcerare ed estinguere. Ma anche di muri, ai quali fanno mettere la calce a noi stessi, attorno alle nostre menti e al nostro cuore a forza di terrorismo della paura, della menzogna, delle guerre, degli attentati, del razzismo, dell’individualismo, del libero mercato. Potessimo avere un muro da fargli crollare addosso e seppellirli per sempre!
Fulvio Grimaldi
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2009/11/muri.html
9.11.2009