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La Redazione

 

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MULTINAZIONALI IN CINA, FINE DELLA FESTA ?

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A cura di Davide
Il 14 Giugno 2010
76 Views

DI MARCELO JUSTO
bbc.co.uk

Più che paradiso della classe operaia, la Cina è stata durante gli ultimi decenni il paradiso delle multinazionali: salari infimi, sindacati inesistenti, zero scioperi.

Niente di meglio per i profitti imprenditoriali la combinazione di questi fattori, sotto lo sguardo severo del Partito Comunista Cinese (PCC).

Le cose stanno cambiando. I casi di suicidio nella taiwanese Foxconn e il consistente aumento salariale concesso da quest’ultima e dalla giapponese Honda Motor indicano che inizia a soffiare un vento nuovo in questo insolito matrimonio tra multinazionali e un governo che si definisce marxista.

Foxconn, l’impresa di prodotti elettronici che detiene il record mondiale di lavoratori impiegati in essa, si è vista accusata del suicidio di 10 lavoratori e annunciò un aumento del 33 % dei salari mentre si ponevano in seria discussione le condizioni lavorative nella società.

Honda Motor risolse uno sciopero iniziato a metà maggio con un aumento del 24 %.

Secondo il China Labour Bulletin (CLB), una pubblicazione sindacale cinese edita in Hong Kong, questi conflitti sono chiari indici di cambiamento nei rapporti di forza tra lavoratori e multinazionali.

“Dagli inizi dell’ultimo decennio abbiamo avuto conflitti giornalieri, ma se prima erano rivolti contro la violazione delle condizioni più basiche, come ritardi nei pagamenti, negli ultimi tempi il leitmotiv è stata una lotta attiva per un miglioramento delle condizioni lavorative e salariali”, dichiarò a BBC Mundo il portavoce inglese di LAB, Jeffrey Crothall.

Che dice il Partito ?

Nella stampa cinese gli scioperi hanno avuto un insolito appoggio e considerazione.

“nei tre decenni che hanno fatto seguito all’apertura dell’economia, i lavoratori sono stati i meno beneficiati dalla prosperità economica. Gli scioperi in Honda segnalano il bisogno di una nuova organizzazione tra i lavoratori”, sottolinea il Global Times cinese.

Con i “tre decenni” si fa riferimento alla virata cinese dopo la morte di Mao Tse Tung nel 1976 quando, sotto la leadership di Deng Xiao Ping, il credo strettamente comunista fu sostituito dal “diventare milionari è bene”, in un’economia aperta al mercato e agli investimenti stranieri.

Sotto vari punti di vista, questi obiettivi sono stati raggiunti.

Secondo il rapporto sul benessere in Cina del 2010, curato dal Hurun Research Institute, ad oggi all’incirca 875.000 persone posseggono una ricchezza pari a più di un milione di dollari.

Nel 1985 gli investimenti stranieri diretti in Cina sfioravano i mille milioni di dollari: vent’anni più tardi si aggiravano intorno ai 60.000 milioni di dollari.

Il problema è che questi milioni non sono arrivati neppure in minima parte alla classe lavoratrice, quella che dovrebbe essere la naturale base politica di riferimento del PC cinese e pilastro retorico della propaganda comunista.

La classe operaia va in paradiso

Come parte della svolta pro-capitalista di Deng Xiao Ping, si soppresse nel 1982 il diritto costituzionale allo sciopero, cosa che incrementò la reputazione del paese come “paradiso delle multinazionali” e lasciò alle intemperie una popolazione cinese già colpita dalla sovraofferta di forza lavoro nel mercato.

I casi di sfruttamento vedono come casi principe le precarie condizioni dei lavoratori delle miniere (più di 3.000 morti nel 2008) e il fenomeno del “lavoro schiavo”, con casi di utilizzo di manodopera infantile.

Questa situazione ha generato forti dibattiti all’interno del partito e del governo, sempre preoccupato per il pericolo di disturbi sociali in una popolazione di 1.300 milioni di persone.

Un segnale di questi dibattiti è l’appoggio agli scioperi da parte di alcuni mezzi di comunicazione, e l’apparizione di figure populiste come quella di Bo Xilai, capo del Partito Comunista di Chongqing, nel centro del paese.

Altro indizio è l’annuncio, ai primi di giugno, di un aumento salariale per i funzionari pubblici di Pechino pari al 20 %, in linea con ciò che sta accadendo in altre province e municipi del paese.

Nonostante i deboli segnali, durante un recente sciopero in un’impresa cotoniera a Henan, la polizia ha arrestato una ventina di lavoratrici accusate di “perturbare la produzione”.

“Le autorità non reagiscono con una voce sola: in alcune città e municipi si è manifestato un atteggiamento accomodante. In altre, si è scelto il confronto duro”, spiega Crothall.

Tendenze profonde

Nel 2007, come conseguenza di una serie di denunce di lavoro schiavo, il Congresso Nazionale del Partito Comunista approvò una legge di contratti di lavoro che modificavano il deserto legislativo in materia.

Tanto la Camera di Commercio statunitense a Shangai come quella dell’Unione Europea si lamentarono di come la nuova legislazione “avrebbe ristretto la flessibilità” (il punto di vista europeo) e “avrebbe provocato un impatto negativo sugli investimenti” (la teoria nordamericana).

I conflitti in Honda e Foxconn sono serviti a sostegno di queste avvertenze riguardo i possibili pericoli per il modello economico cinese.

Tuttavia, secondo alcune analisi, questi cambi di modello rispondono a tendenze socioeconomiche profonde tanto per le multinazionali come per il lavoratori:

* il modello di tessuto produttivo cinese significa che ogni industria gode di reti di fornitori locali essenziali nella determinazione del costo finale del prodotto.

* il governo cinese spinge verso un modello di crescita con una maggiore incidenza del consumo domestico.

* A livello demografico, la politica familiare che risponde al dettame “una famiglia, un figlio” e lo sviluppo di differenti aree del paese ha ridotto la forza lavoro immigrata (circa 135 milioni di persone) che ribassava la manodopera.

Questo non vuol dire che non ci saranno tensioni lungo il cammino. Due anni fa, Delta electronics decise di impiantare una nuova filiale a Wuhu, nella provincia di Anhui, dove i salari sono poco più della metà di quelli pagati dalla casa madre, a Wujiang.

Più che andarsene, le multinazionali possono cambiare posto nella stessa Cina per continuare a godere di una manodopera a buon mercato.

Marcelo Justo
Fonte: www.bbc.co.uk
Link: http://www.bbc.co.uk/mundo/lg/economia/2010/06/100607_foxconn_china_multinacionales_economia_mj.shtml
9.06.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MATTEO B. LUCATELLO (www.matteolucatello.it)

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