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DI GIANLUCA FREDA
Blogghete!

“E’ così che a forza di correr dietro a quelle immagini, io le raggiunsi. Ora so di averle inventate. Ma inventare è una creazione, non già una menzogna”.

(Italo Svevo, La coscienza di Zeno)

La prima cosa che mi viene da dire sull’analisi fatta da Marco Travaglio a “Che tempo che fa” sulla situazione politica e dell’informazione in Italia è: Travaglio è Dio. Non è un complimento e nemmeno un modo di dire. E’ una banale constatazione del settore di attività in cui si è trovato a operare l’altro giorno, per circa mezz’ora, il simpatico giornalista. “Quante querele hai ricevuto per il tuo nuovo libro?”, gli ha chiesto Fazio. “Nemmeno una, perché chi querela non legge libri. In televisione, invece, basta che li nomini”. Le collusioni di Schifani con Nino Mandalà, futuro boss di Villabate, erano state descritte nel dettaglio nel nuovo libro di Travaglio e Gomez “Se li conosci li eviti” (ed. Chiarelettere, € 14,60), senza che questo provocasse non dico il putiferio istituzional-mediatico visto negli ultimi giorni, ma neppure una sommessa protesta. Travaglio aveva scritto, tra l’altro:

“Secondo il pentito Francesco Campanella, negli anni Novanta il piano regolatore di Villabate, strumento di programmazione fondamentale in funzione del centro commerciale che si voleva realizzare e attorno al quale ruotavano gli interessi di mafiosi e politici, sarebbe stato concordato da Antonino Mandalà con [Enrico] La Loggia. L’operazione avrebbe previsto l’assegnazione dell’incarico ad un loro progettista di fiducia, l’ingegner Guzzardo, e l’incarico di esperto del sindaco in materia urbanistica allo stesso Schifani, che avrebbe coordinato con il Guzzardo tutte le richieste che lo stesso Mandalà avesse voluto inserire in materia di urbanistica. In cambio, La Loggia, Schifani e Guzzardo avrebbero diviso gli importi relativi alle parcelle di progettazione Prg e consulenza. Il piano regolatore di Villabate si formò sulle indicazioni che vennero costruite dagli stessi Antonino e Nicola Mandalà [il figlio di Antonino, nda], in funzione alle indicazioni dei componenti della famiglia mafiosa e alle tangenti concordate”.

Le stesse cose aveva detto Lirio Abbate, giornalista che oggi vive sotto scorta, senza che foglia mediatico-istituzionale si muovesse. Il motivo è evidente. Quanti di voi erano al corrente dei trascorsi di Schifani con Mandalà & C. prima che Travaglio ne parlasse in diretta TV? Quanti si erano presi la briga di leggersi da cima a fondo il pesante tomo di Travaglio-Gomez o gli articoli di Abbate? Il giornalismo scritto non impensierisce il potere. Pochi in Italia leggono e quei pochi, prima di accettare per buono ciò che hanno appreso, aspettano che sia la TV a darne conferma. La TV è l’auctoritas certificatrice della realtà, è il tasto che invia il bias di conferma alle nostre coscienze titubanti. La nostra percezione del mondo non dipende da ciò che apprendiamo, vediamo o leggiamo come singoli, ma dall’avallo fornito alla nostra esperienza dalla comunità in cui viviamo. Se tutto il condominio dice che la signora del terzo piano tradisce il marito, questa è la realtà, e non conta nulla che la signora in questione sappia, dentro di sé, di essere uno specchio di fedeltà. Se vuole rendere “realtà” la sua virtù, dovrà trovare una comunità di riferimento più ampia che la certifichi, o rassegnarsi non alla “nomea”, ma alla concretezza della propria infedeltà. Perché, se non lo si fosse capito, la realtà non è altro che un’opinione condivisa. Quando una comunità non sa che pesci prendere riguardo la “realtà” di una determinata questione, rimette ad un’auctoritas – considerata attendibile per tacito accordo da tutti i membri, sia pure con diversi gradi di fiducia – la decisione su ciò che è o non è reale. La funzione di “auctoritas” – funzione demiurgica e letteralmente generatrice del mondo – è stata assegnata dalle comunità umane a diversi soggetti nel corso della storia. Il sacerdote, il sovrano, la Chiesa, la stampa, la radio e infine la TV. Se la TV dice che gli uomini vanno a passeggio sulla Luna e che il mondo è minacciato da un non meglio definito “terrorismo”, c’è poco da fare: è questa la realtà, almeno fino a quando a una nuova auctoritas, più agguerrita e stimata, non verrà conferito il mandato di scalzare la precedente. Il prossimo passaggio di consegne potrebbe essere quello (lo dico toccando ferro) tra la TV e internet, mutazione apocalittica che avrebbe l’immenso vantaggio di restituire il potere di controllo sulla realtà ad ampie collettività umane interattive, anziché lasciarlo nelle mani di una ristrettissima casta di sacerdoti dell’etere. Ma per ora ciò che passa il convento è la realtà ristretta, asfittica, miserabile dei “reality show” (cioè “auctoritates” che conferiscono lo status di “reality” al lato più bieco e osceno della natura umana) e dei “programmi d’informazione” (cioè programmi che impongono alle collettività umane versioni di realtà via via differenti, a seconda del ghiribizzo e delle contingenti esigenze di potere della casta demiurgica).


Trascinandola in TV, Travaglio ha donato alla malandrineria di Schifani il soffio della vita. La collusione intrallazziera e canagliesca della seconda carica dello Stato, sospesa fino a ieri nel limbo dell’irrealtà, tra luce ed ombra, è oggi una realtà che vive, respira e cammina tra di noi. Schifani e i suoi protettori di destra e di sinistra non possono più sopprimere questa sgradevole creatura senza prima avere accesso alla fucina catodica da cui ha origine il mondo che vediamo. E’ per questo che invocano piagnucolando il “contraddittorio”. E’ per questo che s’incazzano.
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Prima che ci arrivassero anche Ungaretti e Heidegger, già i maghi della remota antichità avevano capito che la realtà è un atto di nominazione. Esiste solo ciò che possiede un nome, ciò che non siamo in grado di nominare non siamo neppure in grado di pensarlo, tantomeno di vederlo. Nella parola risiede – e vi giuro che non è soltanto una contorta elucubrazione filosofica – il potere della creazione. “In principio era il Verbo ed il Verbo era Dio”. E’ per questo che ogni impoverimento del lessico è anche – letteralmente – un evento di rarefazione della realtà. E’ per questo che il potere catodico punta alla devastazione culturale e all’impoverimento espressivo. Una realtà rarefatta è più facilmente controllabile. Ciò che non ha un nome, non esiste. Viceversa, la creazione di una parola, la nominazione, è sempre creazione di una nuova realtà materiale. Ungaretti portava alla luce, con poesie fatte di brevissimi e intensi atti di nominazione, realtà immense che sembravano emergere dal nulla della pagina bianca. Gadda, che nella “Meditazione milanese” si riproponeva di indagare il meccanismo di funzionamento della realtà, creò a questo scopo il suo lessico immenso, barocco, sperimentale che genera ancora oggi potenti emicranie negli studenti di letteratura. Quel che Ungaretti, Gadda, Heidegger non avevano capito (ma che gli antichi sciamani già sapevano benissimo) è che la nominazione generatrice non va compiuta in un luogo qualsiasi, ma in un luogo magico o sacro, da ministri del culto che abbiano il privilegio di accedervi. Travaglio, a “Che tempo che fa”, era uno di quei sacerdoti in uno di quei luoghi. In TV, come lui stesso ha detto, “basta la nomination”, ed ecco che le collusioni mafiose e le soperchierie dei potenti emergono dalla prigione del nulla in cui il silenzio sacerdotale le aveva relegate, prendono vita e fuggono, nude come vermi e piene di vergogna, a nascondersi nel mondo degli uomini.

L’intervento di Travaglio-Dio, su uno sfondo di cielo azzurro solcato dalle nuvole d’inquietante valore simbolico, è stato così produttivo sul piano della modellazione cosmica da rivelare la pochezza degli stessi sacerdoti mediatici, scatenandone l’ira. Non credo si tratti soltanto di preoccupazione per le possibili ritorsioni dei loro protettori politici. E’ invidia. Fazio si è dissociato dalle creature generate nel corso del suo rito, terrorizzato e umiliato dall’idea di aver perso il controllo sulla celebrazione. Curzi ha accusato Travaglio di “voler creare un altro scandalo”, cioè di volersi sostituire a Curzi nell’opera di creazione quotidiana di mostri da sbattere in prima pagina. Sacrilegio! Claudio Cappon ha definito “deprecabile e ingiustificabile” il comportamento di Travaglio, recatosi alla liturgia della creazione per assistervi e finendo, invece, per celebrarla. I decrepiti lucumoni se la fanno addosso al pensiero di essere presto rimpiazzati da divinità più fantasiose e fertili di loro.

“La gerarchia delle notizie”, ha spiegato Travaglio, “la decidono i politici. Intanto perché comandano sulla televisione. Stanno cercando di far fuori Anno Zero mettendo insieme Consiglio d’Amministrazione, Commissione di Vigilanza e Authority. Sono tre organismi politici che tappano la libertà d’informazione… i giornalisti lo sanno e si regolano di conseguenza. La notizia diventa tale quando i politici iniziano a parlare di quella notizia. L’ANSA dirama quaranta esternazioni dei politici e quella diventa una notizia”. E’ la rivelazione al volgo del sommo segreto rituale, fatta dagli stessi gradini del tempio. Suprema empietà, non tanto per i contenuti – già trattati fino alla noia dai siti internet di mezzo mondo – quanto per il luogo in cui è stata compiuta, un luogo di potere negromantico che ha trasformato in realtà viva e scalciante ciò che prima era solo una lamentevole tiritera da blogger segaioli.

E ancora: “Il commissariato alla monnezza di Napoli non serve a smaltire la monnezza, ma a smaltire rifiuti tossici politici; non sapendo dove metterli, li si manda lì”.

“Il clima politico induce a un rapporto, diciamo, di distensione tra l’opposizione e la maggioranza. Non si può scrivere che Schifani ha avuto delle amicizie con i mafiosi perché non lo vuole né la destra né la sinistra”. I lettori di questo e altri blog avranno sentito dire queste cose fino a farsele uscire dalle orecchie e non riusciranno a coglierne, per assuefazione, la valenza sovvertitrice. Ma noi blogger non siamo (per ora) Dio e non abbiamo accesso al tempio della creazione. Travaglio sì. Le parole pronunciate durante la funzione televisiva hanno preso vita, generato nuovi pensieri in milioni di fedeli, corrotto le fondamenta stesse dell’autorità della casta sacerdotale, originato nuove realtà. Hanno scatenato il panico tra i sacerdoti strappando dalle loro mani il monopolio della creazione del mondo. Nessun tardivo anatema potrà porvi rimedio. Tanto più – e qui un blogger fa fatica a non sprofondare negli abissi della superbia – che l’opera demiurgica di Travaglio è stata largamente ispirata dalle discussioni politiche su internet e sempre da esse ha ricevuto avallo, diffusione e legittimazione. I blogger non saranno déi, né preti, ma rivestono già il ruolo di ispiratori e propagandisti della divinità. Non saremo Dio, ma siamo in missione per conto di Dio. Ahò, scusate se è poco.

Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.blog.dada.net/
13.05.08

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