MOSCA, MONACO E MINSK

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DI JACQUES SAPIR

russeurope.hypotheses.org

Il negoziato sull’Ucraina, del quale la visita dello scorso 6 febbraio a Mosca della Merkel e di Hollande non era che un episodio, è chiaramente destinato a continuare. I due leader hanno previsto di incontrarsi di nuovo mercoledì 11 febbraio a Minsk con il Presidente Putin e il Presidente dell’Ucraina Poroshenko (1). Saranno coinvolti anche i responsabili delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk. Ma è ancora lunga la strada che va da Mosco a Monaco e da Monaco a Minsk. Questa strada ci riporta ai peggiori momenti della Guerra Fredda, che pensavano ormai finita.

Profumo di Guerra Fredda ?

Il negoziato sta per partire in una situazione molto degradata. Ciò nonostante è un bene che parta. Lo esige l’emergenza umanitaria nel Donbas e lo impone la situazione disperata delle truppe di Kiev. Tuttavia nulla fa pensare che giunga a buon fine. Perché questo accada, sarà necessario che il Presidente Poroshenko faccia qualche concessione sostanziale, che potrebbero metterlo in difficoltà al suo ritorno a Kiev. E nulla fa pensare che la fine delle ostilità sia negli interessi degli Stati Uniti.

Sabato 7 febbraio a Tulle il Presidente François Hollande ha detto una cosa giusta: l’unica alternativa sarebbe la guerra, o più precisamente la prosecuzione di questa guerra civile che Kiev camuffa con l’espressione di «Operazione antiterrorismo». Non si può far altro che esserne d’accordo. Tuttavia il summit sulla sicurezza tenutosi quello stesso sabato 7 febbraio a Monaco ha mostrato molto bene a che punto siamo arrivati. In maniera molto chiara, una parte dei giornalisti americani e britannici presenti hanno fatto di tutto per resuscitare un clima da Guerra Fredda. In un’atmosfera deleteria, fatta di accuse insensate, si è cercato più che altro di mettere la Russia sotto accusa anziché proporre un accordo. Il patetico «show» del Presidente ucraino Poroshenko, che sventolava dei «passaporti» russi, ha contribuito a creare tale atmosfera. D’altra parte nel corso del suo discorso il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto alcune cose importanti, e ha detto che bisogna ascoltare e soprattutto capire, anche se non si condividono gli stessi punti di vista (2).

Autismo occidentale

Uno dei nodi che emerge da questa conferenza è l’autismo dimostrato fin dal 2007 dai leader occidentali nei confronti dei discorsi dei responsabili russi. La stampa occidentale può evocare fin che vuole il sedicente autismo di Vladimir Putin. Sappiamo bene però che in realtà è quella stampa a rifiutarsi di voler comprendere. Vladimir Putin (3) si è più volte espresso a proposito della disintegrazione del quadro di sicurezza prodotto dalla politica americana, così come è stata portata avanti fin dal 1995-96. I suoi avvertimenti non sono mai stati presi sul serio. E la crisi attuale ne è in gran parte una conseguenza.

La visione politica dello spazio internazionale del XXI secolo, che caratterizza Vladimir Putin e i suoi consiglieri, è nettamente più pessimista di quella dei suoi predecessori (4). Essa fa il bilancio dell’intervento NATO in Kosovo e dell’intervento americano in Iraq nel 2003 (5). Se si prende il discorso di Monaco, pronunciato il 10 febbraio 2007, che rappresenta uno dei documenti fondanti della politica estera russa, non si può fare a meno di rilevare la seguente constatazione:

“Il mondo unipolare proposto dopo la Guerra Fredda non si è mai realizzato. Certamente la storia dell’umanità ha conosciuto periodi di unipolarismo e di aspirazioni al dominio mondiale. La storia dell’umanità ne ha viste di tutti i colori. Ma che cos’è un mondo unipolare? Nonostante tutti i tentativi di abbellire questa espressione, in pratica non vuol dire che una sola cosa: che c’è un solo centro di potere, una solo centro di forza, e un solo centro di decisione. È il mondo di un solo padrone e di un solo sovrano. E alla fine questo sarà fatale a tutti coloro che si trovano all’interno di quel sistema, sovrano compreso, perché quel sistema si distruggerà dall’interno.

Ovviamente tutto ciò non ha nulla a che fare con la democrazia, perché la democrazia è, com’è ben noto, il potere della maggioranza che prende in considerazione gli interessi e le opinioni della minoranza. A proposito: si danno costantemente lezioni di democrazia alla Russia. Ma coloro che lo fanno non vogliono dal canto loro imparare, e non si sa bene perché. Credo che il modello unipolare non sia solamente inammissibile per il mondo contemporaneo, ma soprattutto impossibile. Non solo perché in una situazione con leadership unica il mondo contemporaneo (e sottolineo: contemporaneo) mancherà di risorse politico-militari ed economiche. Ma quel che è più importante, è che questo modello è inefficace perché non poggia in alcun modo sulla base etica della civiltà contemporanea” (6).

Questo pessimismo incita il potere russo a prendere le precauzioni e a premunirsi contro quello che definisce l’«avventurismo» degli Stati Uniti. Questo porta anche a prediligere una rapida ripresa delle capacità tecnologiche e industriali e del settore industriale degli armamenti. E infatti è da quel momento che quel settore ha beneficiato di tale priorità. La politica economica diventa così una elemento essenziale nell’analisi della situazione internazionale. Come nel caso della Cina, anche qui si può rilevare come le decisioni economiche siano dettate da un’analisi politica. Dal 2000 in Russia la politica è ai posti di comando. Un bel giorno bisognerà riconoscerlo.

L’urgenza di un reale cessate il fuoco

Per ora tuttavia gli animi sono focalizzati sul negoziato in corso. Bisogna capirne gli ostacoli, che siano di natura immediata o di lungo periodo. I primi hanno a che fare con le condizioni di un cessate il fuoco, che l’emergenza attuale impone. L’idea di tornare agli accordi di Minsk, se comprensibile da un punto di vista strettamente diplomatico, è però assurda se applicata sul campo. Quegli accordi non sono mai stati applicati e mai potevano esserlo. Sul campo le posizioni di forza dei ribelli e dell’esercito di Kiev erano troppo intrecciate perché potesse realizzarsi un vero cessate il fuoco. Le dichiarazioni del Presidente Poroshenko non nascondevano affatto la sua volontà di cancellare al tavolo del negoziato la disfatta militare subita. Non poteva che andare così.

Oggi però, con l’eliminazione progressiva delle sacche controllate dall’esercito di Kiev, un cessate il fuoco sull’attuale linea del fronte è ben più logica. Bisogna dire questa triste verità. Sarà forse necessaria un’altra disfatta militare delle forze di Kiev per rendere possibile un cessate il fuoco. È un’analisi che facevo già da diversi giorni (7).

Oggi Kiev non può nascondere la realtà dei fatti: non ci sarà una soluzione militare al conflitto, aspetto che la Cancelliera Angela Merkel ha ricordato a Monaco. È dunque urgente che i negoziati si aprano fra Kiev e gli insorti, e che questi negoziati siano garantiti dall’Unione Europea come dalla Russia e dagli Stati Uniti. A questo proposito, pretendere di coinvolgere la Russia e non gli insorti non ha alcun senso. Sarebbe come farsi beffe dell’indipendenza conquistata dalle popolazioni di Donetsk e Lugansk. Non è difficile capire che Putin non potrà esercitare una pressione troppo forte su di esse, pena la disapprovazione di una larga maggioranza della società russa che sostiene gli insorti.

Le condizioni per un cessate il fuoco

Un cessate il fuoco è valido solo nella misura in cui è rispettato, e in particolare se finiscono i mortali bombardamenti sui civili di cui si sono rese colpevoli le forze di Kiev. Bisogna qui ribadire che il comportamento sul campo tenuto da alcune forze di Kiev è da crimine di guerra. I bombardamenti sui civili sono stati troppo sistematici perché si possa parlare di errore nel tiro. Ricordiamoci che per gli attacchi sulla popolazione civile le forze di Kiev utilizzano bombe e obici al fosforo, bombe a frammentazione (8). Sono anche stati usati missili tattici di tipo «OTR-21 Totchka-U» (9). Questo spiega perché è urgente che si giunga ad un cessate il fuoco che sia realmente rispettato.

Perché ciò accada, c’è assoluto bisogno di una forza di interposizione. Tale forza sarà incaricata di verificare che non si siano armamenti pesanti, da un lato e dall’altro del fronte, a una distanza di diverse decine di kilometri dalla linea del cessate il fuoco (10). Ovviamente tale forza non può essere composta né dall’esercito di Kiev né da nessuno dei paesi NATO, perché quest’organizzazione è ormai parte integrante del conflitto, né dalla Russia.

Saranno sei mesi che lo dico e che lo scrivo, solo una forza dei Caschi Blu ONU può avere l’autorità per imporre un cessate il fuoco. Bisognerà a un certo punto riconoscerlo. Possiamo immaginare quale sarà la composizione di questa forza, senza dubbio paesi dei BRICS ma con buone relazioni con gli USA. Questo limita la scelta a due paesi: l’India e la Repubblica Sudafricana. Bisogna quindi far pressione sugli Stati Uniti e sul governo di Kiev perché accettino una soluzione simile. Oggi solo l’organizzazione delle Nazioni Unite ha la legittimità per imporre una soluzione che metta fine al conflitto armato. Più si farà in fretta a riconoscerlo, meglio sarà per tutti. È anche una lezione che possiamo trarre da quest’ultimo decennio. Ogni volta che gli Stati Uniti hanno aggirato l’ONU si sono verificati dei disastri. Anche qui bisogna ricordarsi delle parole usate nel 2007 dal Presidente Putin a Monaco:

“Qual è stato il risultato [di un’azione al di fuori del quadro dell’ONU]? Le azioni unilaterali, spesso illegittime, non hanno mai risolto nessun problema. Anzi, hanno portato a nuove tragedie umane e a nuovi focolai di tensione. Giudicate voi stessi: le guerre, i conflitti locali e regionali non sono affatto diminuiti (…). Siamo testimoni di una violazione sempre più grande dei principi fondamentali del diritto internazionale. Quel che è peggio, è che alcune norme, o addirittura quasi tutto il sistema giuridico di un solo Stato, e prima di tutto, beninteso, degli Stati Uniti, ha sfondato le proprie frontiere nazionali in ogni campo: nell’economia, nella politica, nella sfera umanitaria, ed è stato imposto ad altri Stati. A chi può convenire tutto ciò?” (11).

Quali soluzioni politiche?

Bisognerà infine – ma solo alla fine – toccare la spinosa questione dell’uscita politica da questa crisi. La soluzione di un federalismo «semplice», che era possibile nel marzo-aprile 2014, è oggi defunta. La violenza delle forze di Kiev e le migliaia di morti di Donetsk e Lugansk l’hanno resa impossibile. Bisogna meditare su questo aspetto: ciò che era possibile all’inizio del conflitto, senza l’uso sproporzionato della violenza di cui si sono rese colpevoli le forze di Kiev, ora non lo è più. Si può pensare allora ad una soluzione simile a quella adottata in Iraq per le regioni kurde: una repubblica autonoma all’interno del quadro dell’Ucraina. Questa soluzione, benché non corrisponda ai desiderata dei dirigenti di Donetsk e Lugansk, è senza dubbio meglio di un’«indipendenza» senza il riconoscimento internazionale.

Ma bisogna anche pensare allo statuto della stessa Ucraina. Qui c’è una contraddizione fra il principio della sovranità, che nessuno vuol rimettere in discussione, e la realtà geopolitica. Si capisce bene che un’Ucraina militarmente ostile alla Russia sarebbe una minaccia diretta per quest’ultima. Ma l’Ucraina non può funzionare economicamente senza la Russia. Ed è qui che si trova la soluzione. L’Ucraina deve accettare volontariamente uno statuto di neutralità, che si tratti di alleanze militari (come la NATO) o di relazioni economiche (nel caso dell’UE come nel caso dell’Unione Eurasiatica). Tale decisione dev’essere accompagnata da una dichiarazione della Russia con la quale si rinnova il contratto di forniture di gas e petrolio, così come da una dichiarazione degli USA con la quale si impegnano a non concludere alcun tipo di alleanza militare con l’Ucraina. È dunque essenziale coinvolgere gli USA nell’accordo. È chiaro che la Russia non si accontenterà di un impegno preso solo dalla Germania e dalla Francia di non ammettere l’Ucraina nella NATO. Un simile impegno potrebbe essere aggirato con un accordo bilaterale fra Ucraina e Stati Uniti. 7

Quale futuro per la NATO?

Tutto ciò pone infine la questione delle istituzioni di difesa in Europa. Senza dubbio la NATO, che non ha voluto né ha saputo adattarsi alla nuova configurazione geostrategica all’indomani della fine dell’URSS, ha dato prova della sua pericolosità. Quest’organizzazione, nata nel 1949, aveva all’origine tre obiettivi: garantire i paesi membri da un’aggressione sovietica; garantire quegli stessi paesi da un possibile rigurgito del militarismo tedesco; e garantire la presenza statunitense in Europa. Con tutta evidenza questi tre obiettivi sono ormai venuti meno. Quest’organismo deve dunque evolversi e ammettere la Russia al proprio interno, o in alternativa sparire ed essere rimpiazzato da un nuovo organismo di sicurezza, questa volta realmente europeo.

Jacques Sapir

Fonte: http://russeurope.hypotheses.org

Link: http://russeurope.hypotheses.org/3415

8.02.2015

Traduzione per www.comedonchiscotte.org a cura di MARTINO LAURENTI

NOTE

[2] RT : « Lavrov: US escalated Ukraine crisis at every stage, blamed Russia », 7 février 2015, http://rt.com/news/230219-lavrov-munich-speech-ukraine/

[3] Viallèle A., « Vladimir Poutine serait autiste Asperger ? Ne jouons pas avec des diagnostics hasardeux », L’Obs, 6 février 2015, http://leplus.nouvelobs.com/contribution/1320249-vladimir-poutine-serait-autiste-asperger-ne-jouons-pas-avec-des-diagnostics-hasardeux.html

[4] Voir la déclaration du président Russe lors de la conférence sur la sécurité qui s’est tenue à Munich le 10 février 2007 et dont le texte a été traduit dans La Lettre Sentinel, n°43, mars 2007.

[5] Points que j’ai développés dans Sapir J., Le Nouveau XXIème Siècle, Le Seuil, Paris, 2008.

[6] Voir, La Lettre Sentinel, n°43, mars 2007.

[7] Sapir J., « Nouvelles du Donbass », note publiée sur Russeurope, le 2 février 2015, http://russeurope.hypotheses.org/3381

[10] Sapir J., « Ukraine : Cease-Fire ? », note publiée sur Russeurope, le 3 septembre 2014, http://russeurope.hypotheses.org/2770

[11] Voir, La Lettre Sentinel, n°43, mars 2007.

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