DI MASSIMO FINI
Il Gazzettino
La “morte cerebrale ” è una mostruosità che solo la medicina moderna poteva inventarsi. Nacque il 5 agosto 1968 da un gruppo di medici di Harvard che pubblicò sul “Journal of American Medical Association” un rapporto in cui fissava il momento della morte non quando il cuore non batte più – com’era stato da che mondo è mondo – ma quando c’è la perdita irreversibile di ogni attività cerebrale e, contemporaneamente l’individuo non può respirare più in modo autonomo ma deve essere aiutato da dei macchinari. Il criterio è stato poi adottato da tutta, o quasi, la comunità scientifica internazionale. Il problema – spiega il professor Luigi Beretta al San Raffaele – nacque negli anni Sessanta “quando i medici si resero conto che le nuove tecniche di rianimazione potevano far ripartire il cuore e perciò hanno modificato il concetto di morte e introdotto quello di morte cerebrale “.Detta così sembra che la “morte cerebrale ” sia nata per ovviare, pietosamente, ad un’intrusione della medicina tecnologica. In realtà serviva per favorire la tecnica e la pratica degli espianti allora agli inizi. Ma la “morte cerebrale ” è solo una convenzione, non è un fatto fisico inequivocabile come quando il cuore cessa di battere e con esso, tutte le funzioni vitali. Non è la vera morte . Tanto che per accertarla c’è bisogno di sofisticate apparecchiature (l’encefalogramma, l’angiografia e altre) mentre quando un uomo è morto sul serio lo si vede “ictu oculi” senza bisogno di tante indagini. E tanto più che spesso si tengono in vita (in vita) persone considerate “clinicamente morte ” ai fini di espianto per potergli strappare organi ancora, appunto, vitali.
Per salvarsi l’anima gli scienziati fanno una distinzione fra l’individuo e il suo corpo. Nella “morte cerebrale ” l’individuo non esisterebbe più ci sarebbe solo il suo corpo. Ma che distinzione è mai questa? L’uomo è il suo corpo, e quando il suo cuore batte e il sangue pulsa nelle vene è vivo. Nel 2002 c’è stato il caso di una donna incinta data per “clinicamente morta” che ha continuato a portare avanti la sua gravidanza.
Cosa significa tutto questo? Che quando i medici espiantano un organo ad un uomo morto solo per una convenzione, stabilita a loro uso, in realtà lo strappano ad una persona che è ancora viva. E non potrebbe essere diversamente perchè se fosse veramente morta lo sarebbero anche i suoi organi che quindi non potrebbero essere più utilizzati per gli espianti e i trapianti. E questo è tanto più vero dato che, come si è ricordato, delle persone considerate ufficialmente morte vengono tenute artificialmente in vita per poter procedere all’espianto. I medici quindi quando espiantano gli organi non solo uccidono una persona ancora viva ma quando la tengono in vita artificialmente impedendo la morte naturale, la torturano, per ore, per giorni. Si dirà che espianti e trapianti servono a salvare altre vite. Ma a parte che per ottenere questo risultato bisogna uccidere, dopo averli torturati, uomini vivi, a parte che a me sembra orribile essere costretti a sperare che un ragazzino di 14 anni si spacchi il cranio col suo motorino per salvare un uomo di 60, questa favorisce una cultura e una mentalità, già ampiamente presente nella società del benessere che ha stolidamente proclamato il diritto alla felicità, di non-accettazione della morte (che felicità ci può mai essere se poi, a conti fatti, sia pur con qualche dilazione, si muore lo stesso?). La morte (la morte biologica intendo, quella inevitabile) è stata rimossa, scomunicata, proibita, dichiarata pornografica, è “il Grande Vizio che non osa dire il suo nome”, tanto che i media non ne parlano e preferiscono puntare pesantemente sulla medicina tecnologica che prima o poi ci guarirà da tutti i mali e, forse, ci renderà immortali. Ma questa rimozione di un evento comunque ineluttabile porta inevitabilmente con sè una paura della morta quale nessuna scietà del passato ha mai conosciuto in questa misura. E come diceva il vecchio e saggio Epicuro: “Muore mille volte, chi ha paura della morte “.
Massimo Fini
Fonte: http://www.massimofini.it/
Uscito su “Il gazzettino” il 05/09/2008