DI DIANA JOHNSTONE
Le Manifeste
L’accusa che imputa a Milosevic, in quanto leader di un supposto “piano criminale collettivo” per dar vita alla Grande Serbia, tutti i crimini commessi durante le recenti guerre che hanno distrutto la ex-Jugoslavia, si sta sciogliendo più rapidamente dei ghiacci artici. Il 25 agosto il sostituto procuratore Geoffrey Nice, ha dovuto ammettere l’evidenza: il presidente Milosevic non tentò di creare una Grande Serbia.
Il processo a Slobodan Milosevic presso il Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (TPIY) dell’ Aja, fu annunciato come uno dei momenti più importanti per la giustizia internazionale. Tre anni più tardi, il processo ha trovato un posto nella storia giudiziaria: senza dubbio entrerà a far parte dei processi più celebri, come quelli a Socrate, Giovanna d’Arco, al capitano Dreyfus o Bukarin, che devono la loro notorietà ai flagranti abusi dei diritti elementari della difesa.
Inizialmente, sembrava che i giornali e la televisione ci offrissero regolarmente episodi dal processo/spettacolo di quel che era stato soprannominato “il macellaio dei Balcani”. Ma la competenza e la solidità della difesa, esercitata dallo stesso Milosevic, fecero tacere rapidamente i media. In questo momento il processo si svolge praticamente a porte chiuse. E a ragione.
L’accusa che imputa a Milosevic, in quanto leader di un supposto “piano criminale collettivo” per dar vita alla Grande Serbia, tutti i crimini commessi durante le recenti guerre che hanno distrutto la ex-Jugoslavia, si sta sciogliendo più rapidamente dei ghiacci artici. Il 25 agosto il sostituto procuratore Geoffrey Nice, ha dovuto ammettere l’evidenza: il presidente Milosevic non tentò di creare una Grande Serbia. In effetti Vojislav Seselj, in alcuni giorni di minuziose testimonianze, aveva sostenuto che il suo partito – il Partito Radicale Serbo – era l’unico a difendere la Grande Serbia e che Milosevic e il Partito Socialista si erano costantemente opposti a questo progetto. Questo ha confermato le testimonianze che, da oltre un anno, demoliscono sistematicamente l’accusa lanciata contro Milosevic nel maggio del 1999, nel pieno del bombardamento del suo paese da parte della Nato.
I tre giudici non hanno potuto mascherare la loro perplessità. La loro missione è quella di dichiarare colpevole Milosevic, ma ora iniziano a domandarsi: “Di cosa?”.
Fortunatamente i mezzi di comunicazione si occupano di non informare in merito alla loro difficile situazione. Sicuramente, condividono il loro malessere. È possibile che per Le Monde, in modo particolare, una sentenza di innocenza nel processo a Milosevic sia una catastrofe peggiore del NO al referendum del 29 maggio. Già al principio degli anni Novanta la corrispondente a Belgrado per Le Monde, Florence Hartmann, accusava Milosevic di ogni male, prima di diventare la portavoce del procuratore del TPIY, Carla del Ponte.
Il cosiddetto “tribunale delle Nazioni Unite” fu creato su iniziativa di Washington per facilitare la ricostituzione dell’antica Jugoslavia, allontanando – grazie alle accuse – i dirigenti serbi recalcitranti. Il TPIY è finanziato in primo luogo dal governo degli Stati Uniti, da contributi di privati come George Soros e da paesi della Nato. Il personale (circa i due terzi) è stato “prestato” da alcuni ministeri degli Stati Uniti e dei loro alleati. Madeleine Albright, Segretario di stato dell’amministrazione Clinton e maggior responsabile della guerra nei Balcani del 1999, selezionò personalmente:
Louise Arbour, il procuratore che ebbe la delicatezza di lanciare la prematura accusa a Milosevic durante i bombardamenti, basandosi unicamente su informazioni avute dai servizi segreti americani e inglesi. Come ricompensa ha ricevuto un posto al Tribunale supremo del Canada prima di essere nominata Presidente della Commissione per i diritti umani dell’Onu;
Gabrielle Kirk McDonald nella foto a sinistra) giudice del Texas, Presidente del tribunale nel momento dell’accusa di Milosevic, che chiama la Serbia uno “Stato teppista”;
Paul Risley, portavoce di Louise Arbour;
Carla del Ponte, attuale procuratore capo.
I tre giudici del processo a Milosevic vengono da Gran Bretagna, Giamaica e Corea del Sud. Tutti scelti a gusto degli Usa. Due dei tre saranno sufficienti a condannare l’imputato; non c’è giuria e l’unico tribunale a cui ci si può appellare… è lo stesso TPIY.
Di fronte a questa situazione, perché annoiare il pubblico con i dettagli di un processo dal finale già scritto?
Solo i più curiosi potranno rendersi conto di qualcosa consultando il verbale del TPIY alla pagina www.un.org/icty/
.
In questo modo sarà difficile, ma non impossibile, constatare che:
il dittatore Milosevic in realtà era un capo di stato eletto democraticamente come altri, in uno stato più o meno come gli altri, con leggi e gerarchie e decisioni – a volte sfortunate – ma conformi alle prassi abituali degli stati, come quella di farla finita con un movimento armato separatista che assassinava poliziotti e civili (l’Uck, l’esercito di liberazione del Kosovo);
gli ufficiali e i funzionari di questo stato, provandolo con dei documenti, hanno sistematicamente dimostrato che il presidente Milosevic non pianificò né approvò la pulizia etnica degli albanesi del Kosovo, e ancor meno il genocidio. Al contrario, Milosevic insisté sulla necessità di proteggere la popolazione civile, albanese o di qualsiasi altra etnia;
durante la guerra condotta dalla Nato, il numero di morti in Kosovo è tra i 2.500 e i 4.000, contando tutte le etnie e tutte le cause di morte;
le ragioni della fuga di massa di albanesi del Kosovo furono molteplici – così come la fuga di altre etnie, ignorata dai media – tra le quali si includono la naturale paura dei bombardamenti e i combattimenti tra serbi e Uck, così come gli ordini di fuga dati dall’Uck, accusando poi i serbi, per meglio giustificare l’attacco della Nato;
di fronte all’assenza del genocidio in Kosovo, il TPIY ampliò l’accusa iniziale per includere i fatti della Bosnia, con la speranza di stabilire un legame, per forzato che fosse, tra Milosevic e il massacro di Srebrenica. In effetti il TPIY si permette di cambiare le regole del gioco a proprio piacimento per facilitare il lavoro dei procuratori;
la strategia dell’Uck, che consisteva nel provocare i serbi per offrire il pretesto “umanitario” dell’aggressione della Nato in connivenza con i servizi segreti angloamericani, è stata solidamente dimostrata da testimoni ben informati, come il tedesco Dietmar Hartwig, capo della Missione di controllo europeo in Kosovo tra il novembre del 1998 e il marzo del 1999.
In un processo più o meno normale ci si dovrebbe aspettare l’assoluzione dell’imputato per mancanza di prove. Ma in un processo “storico”, ossia concepito dalle grandi potenze per giustificare le proprie azioni, un verdetto giusto suonerebbe come un miracolo. I pregiudizi dei giudici sono palesi, non cessano di perseguitare i testimoni della difesa dopo aver trattato con indulgenza i testimoni dell’accusa. La condanna di Milosevic è necessaria per giustificare al contempo la Nato e la segregazione della provincia del Kosovo. In generale, la guerra umanitaria ha sempre bisogno di un malvagio, un “nuovo Hitler” da condannare per preservare l’ordine manicheo del mondo.
Diana Johnstone
Fonte:www.rebelion.org
Link:http://www.rebelion.org/noticia.php?id=20333
21.09.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SARA PELLEGRINI