Di Max del Papa, ilgiornaleditalia.it
Che le curve, per dire gli stadi, non solo di San Siro ma di tutte le città italiane siano in mano alla criminalità organizzata è uno di quei segreti di Pulcinella che si sanno da sempre e sui quali la magistratura interviene solo ove costretta, allertata da pericoli incombenti: dicono che le infiltrazioni fossero pronte a salire fino alle istituzioni massime, “arriviamo a Gravina”, e sono scattati 20 arresti. Ugualmente carsica è la consapevolezza che questa criminalità strutturata non alligna solo fra i tifosi ma condiziona, spesso in modo cooperativo, le società. Il terzo falso segreto è quello dei rapper o trapper che se la tirano da mafiosi e a volte lo sono o quantomeno stanno in rapporti stretti coi boss da curva. “Non è indagato” precisano, cautelativamente, le gazzette su Fedez, dimenticando di aggiungere che con uno zanza da due soldi forse non ci andrebbero così sulle uova. Ma ci stava lui al telefono o alle feste o in vacanza coi capi, coi peggiori pregiudicati che si spartiscono il controllo della droga su Milano; era lui al telefono a ipotizzare nuove intraprese e il modo di coinvolgere questi amici ingombranti, “sì ma come ti presento? Come ti spiego?” e l’altro, più scafato: “Non mi presenti”, per dire che aveva già i prestanome alla bisogna. E il Fedez gli chiedeva per la famiglia dei guardaspalle “enormi, feroci, ma non Hitler” perché l’apparenza del grillino di sinistra andava salvaguardata. Poi anche la moglie, in predicato di venire eletta col PD finché non le hanno fatto scoppiare in mano il pandoro minato.
Fedez non è indagato ma ha organizzato spedizioni punitive con indagati suoi intimi contro altri come lui in rapporti con la stessa feccia, magari di altro colore ma è risaputo che gli ultras si spartiscono il controllo del territorio, da buoni soci nel crimine. Milano, capitale del riciclaggio, è ancora seducente per chi ci capita o ci torna, ancora capace di suggestioni cangianti, il corso Buenos Aires la strada commerciale più lunga d’Europa, 6 chilometri nei due sensi di negozi, oppure i suoi parchi, le sue oasi nella frenesia leggendaria, ma la verità è che non è più padrona di se stessa, che patisce un controllo criminale e tutte le piste ciclabili di Sala non la salvano. C’è il controllo delle mafie finanziarie, c’è quello delle mafie da curva, e c’è quello sommerso del crimine islamista pronto a esplodere e l’altro a prato basso delle varie etnie lasciate libere di strutturarsi in trenta anni di disinteresse irresponsabile e magari interessato. E questi cerchi concentrici di malavita si intersecano come quelli a colori delle olimpiadi. Basta girarla Milano per respirarne l’aria pesante, insinuante che non ti fa mai sentire al sicuro, l’aria che cammina portando pericoli ignoti ma concreti. Così come basta entrare a San Siro per capire chi è che comanda. Ma Carlo Petrini, ex calciatore di serie A negli anni Sessanta e Settanta, non aveva già raccontato tutto nei suoi libri, sempre ignorati, mai querelati?
I Fedez e i Tony Effe possono inscenare i loro dissing per tonti o per gonzi, ma i legami sono lì e le loro imprese sono lì. E sono l’unica cosa sulla quale anche una intrigante come Selvaggia Lucarelli non si azzarda, sapendo che a Milano nessuno può scagliare la pietra dello scandalo per la semplicissima ragione che nel pantano dei sospetti e delle lingue biforcute qualcuno può sempre insinuare il falso, l’implausibile che però ti si attacca addosso come un sospetto vischioso. Essendo questo malaffare milanese qualcosa di capillare, di pervasivo che volente o nolente finisce per lambire, magari a sua insaputa, non sempre a sua insaputa, chiunque abbia un potere residuale, un ruolo pubblico magari discutibile. “Milano vicino all’Europa”, unica metropoli europea, ma fuori controllo, sfuggita alla coscienza di sé e la plebe dei balordi, degli sconvolti, degli atterriti o partecipa al malaffare o non vuol sapere, fa finta di non sapere. Come quelli che vanno allo stadio e si sgolano sapendo benissimo che tutto è deciso da forze che anche loro alla lunga conoscono e vedono, dalle partite stabilite dal calcioscommesse al merchandising per cui uno degli amici di Fedez poteva dire: “Fratè dentro lo stadio posso farti entrare tutto quello che vuoi”. Anche la bibitina acqua e zucchero che il rapper affarista meditava di lanciare, chissà se al modo dei tagliandi come diceva, intercettato, un altro capoclan: “Se questi non comprano i nostri biglietti a prezzo maggiorato, per loro sono mazzate”. E li avevano avuti dai club col ricatto. Pare che in città si sventino una dozzina di attentati più o meno terroristici al giorno. Siamo sollevati, ma non fino al punto di fingere serenità, di negare a noi stessi che la sicurezza cittadina è blandamente e malamente difensiva e quasi ispirata a fatalismo. Nel dopoguerra consumistico la metropoli era ugualmente spartita fra crimine adamantino e crimine sporco, i banchieri mafiosi come Sindona e i boss alla Turatello, i politici ladroni e i Vallanzasca che convivevano con le Brigate Rosse; l’Idroscalo, “il mare dei poveri”, era malavitoso da cima a fondo, al Derby poteva sedersi il killer Ugo Bossi che posava sul tavolino la pistola col calcio in madreperla e gli istrioni sul palco dovevano farlo ridere, tremando, come poi si sarebbero vantati a successo raggiunto. Tutti, Cochi e Renato come Jannacci, “Cipollino” Boldi e Teo Teocoli, Abantuono, Porcaro i “terruncielli”, tutti anche il Paolo Rossi dalla militanza di sinistra. Davanti ad ogni night, tutti controllati dalla mafia, c’erano le sentinelle dei picciotti in macchina che decidevano chi poteva entrare e dirigevano il traffico sventolando i revolver al posto delle palette; e le amministrazioni, le polizie lasciavano fare per i soliti patti di convivenza inevitabili in una città da tre milioni di persone. Ma mai come oggi si vive in una Milano levantina come avvolti dal fatalismo, pronti a mettere in conto qualsiasi cosa. Un’amica che ha appena raccolto il figlio da scuola si vede affiancare da un’auto di balordi magrebini, la puntano, sono fuori di testa, ubriachi o “fatti” o forse inebriati dal senso di impunità, urlano, si sporgono dal finestrino, lampeggiano, strombazzano e l’auto corre impazzita, come indemoniata, una caccia alla donna allucinante, da film horror nell’indifferenza della città che non vede, non vuole sapere. E dura per chilometri, per interminabili minuti finché quelli misteriosamente spariscono, passano ad altre molestie su altre malcapitate. Ma cosa volete? È andata così ed è ancora lusso che è andata così, la mia amica può raccontarmela, ancora scossa ma può. “Milano ogni volta che mi tocca di venire mi prendi allo stomaco, mi fai morire” già uscendo dalla stazione Centrale. Colorati, sballati, ubriachi, stesi sul prato o che mi vengono incontro con mosse laide, mi propongono la qualunque ma io, milanese di risacca, so come muovermi, capisco quelli davvero pericolosi coi quali lasciar perdere e gli altri mi basta guardarli storto per farli desistere. Una fogna, ma la gente va allo stadio e dice: stasera cazzo vinciamo noi, e di più non vuol sapere
Di Max del Papa, ilgiornaleditalia.it
Max Del Papa. Giornalista dal 1992, si divide tra le Marche e Milano. Ultimi libri: “Vale Tutto” e “Eurostyle” (2023, autoprodotti) sullo Stato autoritario e l’Unione Europea più strega che matrigna.
01.10.2024