DOPO AVER VINTO L’OSCAR
DI AMY GOODMAN
Democracy Now!
In una lunga intervista, Moore parla della sua controversa carriera, della sua partecipazione al Partito Democratico e scarica Obama per la gestione della guerra in Afghanistan.
Negli ultimi venti anni Michael Moore è stato uno dei documentaristi più attivi e appassionanti. La sua opera include Roger and me; Bowling for Columbine, premiato con l’Oscar; Fahrenheit 9/11; SiCkO e il suo ultimo lavoro, Capitalism: A Love Story.
Ho iniziato la mia intervista chiedendo a Michael perché ha iniziato a girare documentari.
Michael Moore: Avevo un giornale a Flint, nel Michigan; il Flint Voice era un giornale alternativo che ho portato avanti per una decina di anni. Attaccavamo la General Motors e i poteri forti della città, non siamo andati molto lontano.
Nel frattempo mi offrirono di dirigere una rivista a San Francisco, mi sembrava un’ottima idea continuare su scala nazionale quel che già facevo a Flint, così accettai. Non durai molto; io volevo una rivista rivolta alla classe operaia ma i proprietari cercavano di raggiungere più un pubblico con educazione universitaria e di vedute liberali, così fui licenziato un primo maggio, dopo quattro mesi di lavoro.
A Flint intanto avevo chiuso tutto e ritornai solo per rivedere parenti e amici. Era il 1986 e mentre ero lì vidi in TV che Roger Smith, amministratore delegato della General Motors annunciava altri 30 mila esuberi, di cui 10 mila proprio a Flint dove se ne erano già persi 20 mila. Allora pensai che era giunta l’ora di fare un film su questa situazione.
Non sapevo da dove iniziare ma fortunatamente avevo collaborato alla redazione di un documentario sul KKK e sulla presenza dei neonazisti nel Michigan l’anno prima; quindi contattai uno dei documentaristi, Kevin Rafferty, gli chiesi se mi poteva insegnare a girare un documentario e lui accettò subito. Girammo il documentario e non lo vidi per un po’ di tempo – nel frattempo io e voi ci eravamo conosciuti, siamo stati anche in Israele e Palestina, ci hanno anche sparato pallottole di gomma e abbiamo imparato dai bambini palestinesi come difenderci dal gas lacrimogeno, insomma un’esperienza fondamentale per me, sinceramente non avevo mai visto una povertà così estrema come quella di Gaza.
Comunque volevo dire che rividi Kevin due anni dopo, nel 1989, durante la cerimonia di insediamento di Bush padre. Si trovava proprio 3 file dietro il presidente, pensai che era lì per fare un documentario altrimenti come avrebbe potuto essere così vicino al presidente? Gli telefonai qualche giorno dopo e mi disse che era lì perché il presidente era suo zio! Laura Bush infatti era sorella di sua madre e quando il documentario finalmente uscì venne proiettato anche a Camp David. Io non fui ammesso alla proiezione ma chiesi a Kevin come era andata; lui mi rispose che era andata bene tranne che per un suo cugino che ridacchiava continuamente e non per il film. Si trattava dell’altro George Bush ed era la prima volta che lo sentivo nominare. Ecco perché non è stato facile per me parlare dei Bush, io devo riconoscere che se non era per loro io non avrei mai fatto film.
Democracy Now! ( Juan Gonzalez): Michael, per tornare al giornale, cosa ti ha spinto a fondare il Flint Voice? Come era strutturato?
Moore: In verità ho cercato di aprire il mio primo giornale fin da quando ero a scuola e mica una sola vota. Ricordo che prima le suore e poi il prete e infine il vescovo intervennero per non farmi pubblicare il giornalino a scuola.
Gonzalez: Perché lo volevano bloccare?
Moore: Perché scrivevo di cose di cui non si doveva discutere, per esempio del maschilismo della chiesa cattolica. Sai, ero cresciuto in una famiglia con una forte coscienza di genere, avevo due sorelle e mia madre, quindi ero l’unico maschio oltre a mio padre e finivamo col lavare i piatti proprio noi due. E pensa che eravamo una famiglia operaia, mio padre lavorava alla catena di montaggio della GM.
Non fu facile trovare i fondi per fare un vero giornale, ma quando avevo circa 19 anni ebbi modo di conoscere Harry Chapin, un cantautore conosciuto anche per la sua solidarietà; gli parlai nel backstage di un suo concerto e gli raccontai come le decine di migliaia di licenziamenti a Flint fossero passati nel totale silenzio dei media e che nel mio giornale volevo proprio far uscire queste cose. Lui allora venne a suonare a Flint e mi aiutò a fondare il giornale che poi ho tenuto per 10 anni.
Abbiamo fatto grandi cose con quel giornale. Subimmo anche un’irruzione della polizia per una storia che stavamo scrivendo sul sindaco. Lui stesso inviò la polizia con un’ordine firmato dal giudice per bloccare la stampa del giornale. Quel raid e un altro fatto in una sede della CBS scatenò un gran putiferio a livello nazionale, perciò venne approvata una legge che proibiva alla polizia di entrare nella sede di un giornale a meno che non stesse inseguendo un assassino che magari si era intrufolato proprio nella sede. Una buona legge devo dire.
Devo riconoscere alle suore il merito di aver cercato di fermarmi perché capii allora che dovevo persistere sempre. Infatti come riconoscimento nei loro confronti, ho mostrato l’anteprima di Sicko proprio nel loro convento, erano già nei loro 80 e 90 anni. Sai, le suore sanno benissimo come vanno le cose nella chiesa e sono sempre state radicali e contro la guerra, sanno bene di aver subito tanto e alla fine se la prendono con noi altri.
Gonzalez: Ricordo che quando uscì Roger & Me volevo che il mio giornale si occupasse delle machiladoras in America Centrale e del lavoro che stava scomparendo negli Stati Uniti per finire al confine col Messico e Honduras.
Puoi dirci qualcosa sul processo di deindustrializzazione non solo di Flint ma dell’area occidentale?
Moore: Quando iniziarono a sparire i lavori da Flint io mi interessai al problema di dove andavano a finire e feci ricerche per il mio giornale in Messico; riuscii a intrufolarmi in un meeting di affari ad Acapulco, dove il Dipartimento del Commercio di Reagan promuoveva degli incontri per convincere gli industriali a spostarsi in Messico. Ho scritto qualche articolo al riguardo. Si promuoveva l’idea che in una ventina di anni queste misure avrebbero migliorato la qualità della vita dei messicani e ora dobbiamo ammettere che la vita laggiù è ancora piuttosto difficile.
Ma per tornare alla tua domanda, ecco, tu sai che io vivo nel Michigan che è lo stato con l’indice di disoccupazione più alto del paese, ufficialmente tra il 15 e 20 percento. Ma di fatto si aggira sul 30 percento e oltre. Sinceramente sono stanco di pensare a come siamo arrivati fin qui. Ho voluto fare il mio ultimo film proprio su questo, cerco insomma di capire se ci sono nuove strade per l’economia qui da noi, perché il capitalismo è stato una forza maligna e distruttiva durata troppo a lungo e se vogliamo vivere in democrazia allora bisogna darsi da fare e rendersi attivi. Tu sai come io sono rimasto deluso da Obama, ne abbiamo parlato tanto ma non si è parlato abbastanza di come la speranza dei giovani abbia permesso la sua elezione. I ragazzi, quando Obama si trovava parecchi punti dietro Hillary, sono andati porta a porta a promuovere i loro ideali in quel momento incarnati da Obama. E lui in seguito ha vinto. Ecco questi ragazzi mi riempirono di speranza.
Goodman: Ci puoi parlare della notte degli Oscar? Quando hai vinto hai avuto a disposizione dei secondi per parlare.
Moore: Quarantacinque secondi per l’esattezza.
Goodman: Parlaci allora di quel momento. Pensavi che avresti vinto?
Moore: Per niente. Ricordo che la guerra all’Iraq era iniziata da 5 giorni e si parlava addirittura di annullare la cerimonia. Ero piuttosto nervoso alla cerimonia e ricordo che subito prima della nomina ero insieme agli altri candidati e dissi loro: “ragazzi, se io vinco non potrò certo ringraziare il mio barbiere, dovrò dire qualcosa e vorrei che voi saliste con me per fare come un gruppo di solidarietà tra documentaristi e se invece vincete voi io rimango qui, meglio per voi se non mi avvicino a un microfono”. Sono stati d’accordo.
Quando Diane Lane aprì la busta e lesse il mio nome e Bowling for Columbine io tremavo per l’emozione. Mentre mi dirigevo verso il palco avevo due voci nella mente che mi davano consigli opposti: una mi diceva di prendere la statuetta, ringraziare tutti e andar via, l’altra mi diceva: “c’è una guerra, devi dire qualcosa!”
Iniziai ringraziando i canadesi che finanziarono il film e poi dissi: “Ho invitato i miei colleghi di nomina qui, perché noi facciamo film di genere non-fiction e crediamo nella potenza di questo genere narrativo perché viviamo in tempi da fiction, con un presidente da fiction, eletto con risultati elettorali fittizi.” E giù fischi e i boo, ma non da parte di attori e registi, tutto proveniva dalla balconata con gli sponsor e gli agenti, insomma la gente con soldi era tutta lì ed erano parecchio arrabbiati.
La banda iniziò a suonare e mi abbassarono il volume del microfono prima dei miei 45 secondi.
Me ne andai e non partecipai a nessuno delle feste, mi sentivo in colpa con i miei parenti, tutti mi guardavano male e si allontanavano da me come se avessi avuto la peste. Nei primi giorni eravamo davvero in pochi a essere contro la guerra. E mi attaccavano in molti, anche il mio agente.
Quando tornammo in albergo con mia moglie, guardai i commenti in TV e mi davano tutti per finito, ma proprio tutti.
La nostra casa nel Michigan intanto era stata attaccata da vandali, avevano cosparso di sterco la casa e scritto messaggi di minacce. Fu allora che decisi di mandare al diavolo tutti e di fare Fahrenheit 9/11, e in questo periodo fui obbligato a circondarmi di guardie del corpo, 9 guardie, 3 per ogni turno su 24 ore.
Non so se lo rifarei, lo dico sinceramente, e non so se ne è valsa la pena. Non è stato un bene per la mia famiglia né per la mia salute.
Sono stato fortunato ad avere amici meravigliosi e una famiglia adorabile e questo mi ha aiutato molto; e tutti voi, le persone che hanno visto e apprezzato i miei film, mi avete appoggiato e detto parole di incoraggiamento per farmi continuare. Per ora vorrei che la gente vedesse il mio ultimo lavoro ( Capitalism ) perché ho cercato di dire ciò che penso su come è strutturata la nostra società.
Gonzalez: L’amministrazione Obama aveva destato molte speranze e si è rivelata deludente sotto molti aspetti. Cosa bisogna fare ora?
Moore: Quelli del Partito Democratico direbbero che non possiamo fare un bel niente perché decidono loro dove si va e, appunto, dove andiamo?
Dal pubblico: C’è il Green Party!
Moore: Lo so, io e Patty Smith abbiamo lavorato nel 2000 per Ralph Nader. Ma il nostro sistema è strutturato diversamente da altre democrazie dove si possono avere diversi candidati. Prendiamo il Canada, i cinque partiti candidati li vediamo ai dibattiti e hanno diritto di andare in onda e fare le loro proposte.
Quindi è necessario che cambi questo sistema oppure bisogna cercare di incoraggiare la gente ad agire localmente, quel che abbiamo fatto noi spostandoci nel nord del Michigan dove l’elettorato è essenzialmente conservatore; c’erano solo 4 tesserati del Partito Democratico e ci siamo detti: “ ma perché non ce ne facciamo carico noi? Possiamo far venire i nostri amici e diventeremo maggioranza”. D’altra parte è anche molto più facile perché non bisogna pensare al logo e il materiale è già pronto.
Così oggi ci sono 350 tesserati del Partito Democratico nella nostra contea e quando il nostro uomo al congresso, Bart Stupak, decise di votare contro l’assistenza sanitaria a causa delle sue personali vedute religiose allora noi abbiamo esercitato una forte pressione per fargli cambiare idea e così è stato, ha cambiato idea. Il potere dei cittadini esercitato a livello locale da noi sta funzionando e stiamo cercando di diffonderlo in giro per il paese e sappiamo che tanta altra gente sta promuovendo iniziative simili. E ogni volta che ci troviamo nelle Conventions di stato alziamo un gran polverone contro quei Democratici che invece farebbero bene a chiamarsi Repubblicani.
Goodman: Michael, parliamo della guerra in Afghanistan e Iraq; come se ne esce?
Moore: Da circa una o due settimane quella in Afghanistan ha superato la durata della guerra in Vietnam e penso che dobbiamo iniziare a indicarla per quello che di fatto è: la guerra di Obama. Proprio come la guerra di Johnoson è diventata di Nixon, ora questa è la guerra di Obama. È impossibile vincerla, ma non voglio nemmeno ricorrere a questa espressione, perché in verità cosa stiamo cercando di vincere? È una follia.
Se potessi, direi a Obama di finirla con questa guerra, perché il 9/11 è stato un crimine e non un atto di guerra da parte di un’altra nazione. Ed è stata progettata da persone ben consapevoli dei loro atti col fine di suscitare paura nel paese e poter fare i loro loschi affari. E per un po’ di tempo ha funzionato. Troppo tempo, purtroppo.
Lui risponderebbe che i ragazzi torneranno dopo l’estate ma sicuramente rimarranno almeno 50.000 soldati e io non credo che noi americani abbiamo alcun diritto di rimanere lì. Chi crediamo di essere per non dover rispondere un giorno di quello che abbiamo fatto? E se ci professiamo religiosi, ecco cosa succederà alle porte del cielo quando verificheranno la nostra nazionalità:
“Ah bene, tu eri americano, ecco la lista dei tuoi crimini”
“Ma io ero contro la guerra, lo giuro!”
“Ma pagavi le tasse, vero?”
“Certo che le pagavo”
“ Allora hai finanziato la guerra perciò non puoi entrare qui!”
Eppure possiamo fare del bene e a livello individuale risultiamo anche simpatici. Considerando che oggi almeno un miliardo di persone non può bere acqua pulita e oltre due miliardi non può usufruire di servizi igienici, allora penso che avremmo potuto spendere i soldi delle nostre guerre per scavare dei pozzi e alleviare la sete dei paesi poveri. Non sarebbe più bello essere ricordati un giorno per aver portato l’acqua potabile? È così che un giorno vorrei essere ricordato.
Amy Goddman
Fonte: www.alternet.org/
Link: http://www.alternet.org/media/147430/michael_moore%3A_why_i_had_to_hire_9_bodyguards_after_winning_an_oscar/
7.07.2010
L’intervista non è integrale. Le parti della presente traduzione sono stare scelte e tradotte per www.comedoschisciote.org da RENATO MONTINI