MEXICAN TEQUILA CRISIS – 1994 UN ALLENAMENTO PER LA TEMPESTA ECONOMICA EUROPEA

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DI DON QUIJONES
testosteronepit.com

Con il senno di poi, sembra che il Miracolo messicano dei primi anni ’90 e la Tequila Crisis del 1994 siano stati solo un allenamento per la partita vera, quella che oggi si gioca in Europa. Gli europei staranno al gioco?

“Che gli uomini non imparino molto dalle lezioni della storia è la più importante di tutte le lezioni della storia.” – Aldous Huxley –

Nel suo recente saccheggio legale dei conti bancari di Cipro non assicurati (e dei russi) e la sua spietata noncuranza a ogni opposizione politica e sociale alle sue decisioni, la troika ha dimostrato agli occhi di tutti, il suo disprezzo per i beni personali, per la democrazia e per lo Stato di diritto: i tre capisaldi della moderna civiltà europea.
Anche il più fiducioso e ottimista degli europei sta finalmente iniziando a vedere nel volto protettivo della Troika il suo vero istinto da lupo. Per contro, per molti latinoamericani, la natura lupesca delle banche internazionali è fin troppo familiare. Attraverso la loro dolorosa esperienza hanno imparato che quando si chiama “l’uomo nero”, succedono sempre cose brutte.

Durante il decennio perduto degli anni ’80 e la tumultuosa prima metà degli anni ’90, molte economie dell’America Latina, tra cui il Brasile, ora una superpotenza globale emergente, sono stati fatti a pezzi e dissanguati da un cocktail fatale di inettitudine politica, di corruzione, di abusi e frodi finanziarie – tutto ciò facilitò la supervisione del FMI, oggi uno dei componenti dell’ asset della Troika che sta saccheggiando l’Europa.

Nel 1994, dopo decenni di cattiva gestione economica si raggiunse il punto più basso nella crisi messicana, detta Mexican Tequila, un evento che avrebbe dovuto servire – ma che evidentemente non è servito – come presagio di future tempeste finanziarie che ora stanno banchettando in tutta Europa.

Atto I

Nei primi anni novanta, la banca centrale del Messico adottò un regime di bassi tassi di interesse che contribuì ad attirare un flusso di capitali esteri speculativi, soprattutto da parte di investitori e banche.
Le conseguenze erano fin troppo prevedibili : con denaro a buon mercato che scorreva a fiumi, le banche del Paese – come quelle del periodo pre-crisi di Spagna, Portogallo e Irlanda – cominciarono drasticamente a dare prestiti a tutti. Diventato un fenomeno alla moda, la stampa finanziaria cominciò ad applaudire da bordo campo, quella spettacolare crescita del debito che alimentava il “Miracolo messicano”.

Gli investitori statunitensi cominciarono a correre verso sud, attratti dai tassi di interesse vantaggiosi del Messico e dai rendimenti degli investimenti. Questa corsa speculativa creò una spirale: Più gli investitori portavano dollari a sud, più saliva la borsa messicana e più facile diventava per le aziende messicane e per il governo ricevere in prestito quantità apparentemente infinite di dollari.

Tuttavia, come in tutti i boom alimentati da soldi facili, il tempo bello è durato poco. Nel 1992, le prime tensioni già cominciarono a mostrare che il disavanzo del bilancio del Messico era più che raddoppiato in pochi anni ma ci vollero due anni perché la bolla scoppiasse, aiutata da una spinta delle forze politiche e finanziarie.

Il 1° gennaio 1994, un gruppo di zapatisti guidati dal subcomandante Marcos si slanciò in una breve rivoluzione nella provincia meridionale del Chiapas. Poi seguì, mesi più tardi, l’assassinio di due delle più importanti figure politiche del paese – Luis Donaldo Colosio, il candidato successore dell’allora Presidente Carlos Salinas e José Francisco Ruiz Massieu, segretario generale del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) – questo cominciò a seminare seri dubbi nella mente degli investitori sulla stabilità politica del paese.

I timori si accrebbero quando il governo Salinas propose di svalutare la moneta – cosa che fece esattamente il suo successore alla presidenza Ernesto Zedillo Ponce de León appena si insediò nel dicembre dello stesso anno.

Mentre era in atto una forte emorragia di fondi esteri – molti dei quali tornavano oltre il confine nord per inseguire l’aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti – Zedillo annunciò una svalutazione del peso del 13%. Poi nei mesi successivi, il free-floating del peso lo portò a perdere quasi il 50% del suo valore verso il dollaro, portandosi via gran parte dei risparmi della classe media del paese e facendo temere che con il crollo del valore delle attività, sarebbero state spinte al fallimento anche le banche messicane.

Atto II

Fin qui, tutto normale – solo un altro di quei sordidi giochetti finanziari a cui ci siamo abituati in questi tempi. Tuttavia, furono gli eventi che seguirono subito dopo la caduta in disgrazia del Messico, che devono essere esaminati e che, per molti versi, hanno aperto la strada a quello che sta accadendo oggi in Europa.

Evidentemente in preda al panico per le potenziali ripercussioni della Tequila Crisis sulle banche statunitensi, l’amministrazione Clinton mise rapidamente insieme un enorme pacchetto di fondi, apparentemente per salvare il sistema finanziario messicano. Dopo tutto, era il minimo che potesse fare per aiutare il paese vicino in difficoltà.

Il fatto che Robert Rubin, l’allora Segretario al Tesoro di Clinton, fosse anche un ex Co-Presidente della Goldman Sachs (solo recentemente conosciuta per quel vampiro che è realmente) che si era aggressivamente ricavata una nicchia nei mercati emergenti e in particolare in Messico, è ovviamente solo una coincidenza.

Secondo l’edizione 1995 del Multinational Monitor, il Messico era “il primo ed il principale dei clienti di Goldman Sachs nei mercati emergenti”, da quando Rubin personalmente aveva fatto pressioni sull’ex Presidente messicano Carlos Salinas de Gortari per consentire che la Goldman Sachs gestisse la privatizzazione della Teléfonos de México. Rubin, nel 1990, portò alla Goldman un contratto per gestire un’offerta pubblica globale da 2,3 miliardi di dollari. Goldman successivamente affidò quella che era la più grande azienda pubblica del Messico, quella televisiva all’azienda privata del Grupo Televisa.

Ma non era solo il governo USA che sembrava deciso a dare una mano alle banche del Messico e, indirettamente, ai loro ben più importanti creditori. L’FMI mise a disposizione un pacchetto di oltre 17 miliardi di dollari – tre volte e mezzo oltre il massimo mai assegnato. Anche la Bank of International Settlements (BIS) – la banca centrale delle banche centrali – mise il suo zampino su questo atto, contribuendo con altri 10 miliardi di dollari.

Con tutto questo fiume di denaro che scorreva dentro e fuori dal Messico, non si può fare a meno di chiedersi dove dovesse andare a finire e che cosa ci si dovesse pagare.

Per la prima domanda, Lawrence Kudlow, redattore economico della rivista conservatrice National Review, affermò sotto giuramento al Congresso che i beneficiari non erano né il peso messicano né l’economia messicana:

“Si tratta di un piano di salvataggio delle banche americane, delle società di intermediazione, dei fondi pensione e delle compagnie di assicurazione che hanno comprato il debito messicano a breve termine, circa 16 miliardi di dollari in tesobonos e di circa 2,5 miliardi di peso denominati in buoni del Tesoro (CETES).”

Così, proprio come è successo con i salvataggi di Grecia, Irlanda e Portogallo, i soldi prestati dal FMI e dai governi nazionali furono subito stornati dal governo del paese beneficiario e dalle banche verso le casse di alcune delle più grandi delle istituzioni finanziarie private del mondo. Il denaro toccò appena il suolo messicano!

Le istituzioni finanziarie recuperarono tutto – o almeno la maggior parte – dei soldi che avevano scommesso in Messico durante gli anni del boom. Così è iniziata l’era moderna del gioco d’azzardo “nessun rischio, tutto guadagno” che è diventata la morale corrente nella finanza globale.

Eppure, anche se il piano di salvataggio messicano era, a tutti gli effetti, un semplice trucco di bilancio, con cui sono stati trasferiti i fondi dai contribuenti degli Stati Uniti alle banche e agli investitori degli Stati Uniti per mezzo del sistema finanziario messicano, il popolo messicano restava sempre attaccato all’amo del debito da pagare (più, ovviamente, gli interessi composti).

Dopo tutto, qualcuno deve pagare per la generosità delle banche!

Dopo aver presentato un piano di austerità minimalista nel mese di gennaio, respinto dai mercati perché inconsistente, il 9 marzo l’amministrazione Zedillo impose un piano di assalto, una vera e propria aggressione alle imprese messicane e ai consumatori (le abbiamo già sentite queste parole in Europa?)

Con un colpo di penna, l’IVA salì dal 10% al 15%, i prezzi del carburante del 33% e le tariffe dei servizi residenziali del 20%. Il governo bloccò anche gli aumenti dei salari minimi al 10% contro una inflazione al 50%, che aveva causato un forte calo del potere d’acquisto dei lavoratori a salario minimo. L’azione del governo portò anche i tassi di interesse sul credito al consumo fino al 125%.

Atto III

Ancora oggi, a 19 anni dall’inizio della crisi, il paese continua a versare sangue per il debito tossico generato durante gli “anni del miracolo”. Secondo le stime più recenti, tra il 1976 e il 2000, il potere d’acquisto del salario minimo medio è sceso di un incredibile 74 %, ed è stato rivalutato di un misero 0,5%.

Come nella fase di post-crisi argentina, la classe media del paese è stata decimata e quel poco che ne rimane sta pagando per gli oltre 3 miliardi di dollari di interessi che ogni anno si sommano al debito del paese.

Per le grandi banche statunitensi che hanno contribuito a fomentare il miracolo messicano, gli ultimi 19 anni sono stati un po’ più gentili. Secondo le ultime stime sull’economia americana nella debacle dei sub-prime, essendo letteralmente “too big to fail”, si possono ancora permettere di tenere gli occhi puntati su una preda molto più grande.

Con il senno di poi, sembra che il Miracolo messicano e la Tequila Crisis siano stati solo un allenamento per la partita vera che oggi si gioca in Europa.

La domanda è: Gli europei staranno al gioco?

Don Quijones, scrittore e traduttore freelance vive a Barcellona, il suo blog, RagingBullshit.com, è un modesto tentativo di ripulire dalla ……, quello che raccontano leader politici ed economici sui media mainstream.

Fonte: http://www.testosteronepit.com/

Link: http://www.testosteronepit.com/home/2013/3/30/the-tequila-crisis-the-prelude-to-europes-economic-storm.html

30.03.2013

Traduzione per www.ComeDonChisciotte.org a cura di BOSQUE PRIMARIO

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