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Le specie animali si stanno estinguendo più velocemente di quanto si osi ammettere. Il resoconto degli scienziati

DI ANDREW BUNCOMBE E SEVERIN CARRELL

L’orso polare è uno dei predatori più famosi del mondo naturale – il re dei grandi deserti Artici. Ma, come il vasto territorio Artico, l’orso polare è ora vittima di una minaccia senza precedenti. Entrambi stanno scomparendo ad una velocità allarmante.
Lo scioglimento dei ghiacciai e l’allungamento delle estati stanno distruggendo l’habitat degli orsi, e man mano che i banchi di ghiaccio si ritirano, la fame conduce gran parte degli animali disperati all’interno degli insediamenti umani, dove finiscono per essere vittime di colpi d’arma da fuoco. Molti orsi polari muoiono annegati ogni volta che tentano di nuotare per centinaia di miglia alla ricerca di banchi di ghiaccio che si fanno sempre più rari. I cacciatori locali trovano i loro cadaveri che galleggiano sull’acqua un tempo coperta da uno spesso strato di ghiaccio.È un fenomeno che allarma quelli che vivono intorno all’Artico. Molti temono che i loro figli non conosceranno mai l’orso polare. “Il ghiaccio si sta spostando sempre più a nord,” dice Charlie Johnson, 64, un Nupiak dell’Alaska, proveniente da Nome, nella parte più occidentale dello stato. “Nel Mare di Bering il ghiaccio scompare sempre prima. Sul pendio settentrionale, si sta ritirando di 300 o 400 miglia al largo.”

Lo scorso anno, i cacciatori hanno trovato mezza dozzina di orsi annegati a circa 200 miglia a nord di Barrow, sulla costa settentrionale dell’Alaska. “Sembra che abbiano cercato di raggiungere la sponda a nuoto … Un orso polare può riuscire a nuotare per 100 miglia ma non per 400.”

La sua testimonianza allarmante, rilasciata ad una conferenza sul riscaldamento globale e le comunità native, tenutasi la scorsa settimana nella capitale dell’Alaska, Anchorage, non è che uno dei tanti cambiamenti che stanno attraversando il pianeta. I cambiamenti climatici minacciano la sopravvivenza di centinaia di specie – una minaccia senza eguali a partire dall’ultima era glaciale, conclusasi circa 10,000 anni fa.

La grande maggioranza, come avvertiranno gli scienziati questa settimana, sono animali migratori – balene bianche, orsi polari, gazzelle, uccelli selvatici e tartarughe – la cui sopravvivenza dipende da un’intricata rete di caratteristiche ambientali, disponibilità di cibo e condizioni climatiche, fattori che per alcune specie, possono estendersi per un territorio di 6,500 miglia. Ogni anello di questa catena si sta lentamente ma percettibilmente alterando.

Questa settimana, i più autorevoli ecologisti e ambientalisti d’Europa si incontreranno ad Aviemore, nelle Highlands Scozzesi, per una conferenza sull’impatto del cambiamento climatico sulle specie migratorie, un evento organizzato dal governo Britannico come parte della sua presidenza dell’Unione Europea. È un luogo ben scelto. La maggiore fonte di occupazione invernale ad Aviemore – lo sci – è una vittima dell’innalzamento della temperatura invernale. I pendii nevosi nel Cairngorms, che un tempo presentavano cime innevate tutto l’anno alle altitudini più elevate, di recente sono stati chiusi quando è venuta a mancare la neve invernale. Lo zigolo delle nevi, la pernice di Scozia e la pavoncella – alcuni tra gli uccelli più rari della Scozia – hanno anch’essi poche probabilità di sopravvivere man mano che i loro ambienti invernali rigidi e periferici vanno scomparendo.

Un resoconto presentato questa settimana ad Aviemore rivela che questo è un modello destinato a ripetersi in tutto il mondo. Nella tundra a sud del circolo Artico, i caribù sono minacciati da “impatti multipli dovuti al cambiamento climatico”. La neve più alta alle latitudini più elevate rende la vita difficile alle mandrie dei caribù in viaggio. La maggiore velocità e regolarità dei cicli di “gelo-disgelo” rende molto più complicato il processo del tirar fuori del cibo scavando spesse croste di ghiaccio coperte di neve. Gli inverni sempre più umidi e più caldi stanno riducendo il numero delle nascite di vitelli che vanno a buon fine, mentre aumentano le malattie e gli attacchi degli insetti.

Lo stesso vale per i trampolieri migratori come il piovanello rosso e per la foca del nord. Secondo la relazione, anche la specie compromessa delle spatole, sta rischiando l’estinzione. Questi animali rappresentano una “preoccupazione centrale”. Nella relazione si dice che “le specie non possono spostarsi più a nord man mano che i loro climi si fanno più caldi. Non hanno più un posto dove andare…possiamo vedere, in modo molto chiaro, che la maggior parte delle specie migratorie si stanno lasciando trasportare verso i poli.”

Il resoconto, passato al The Independent on Sunday, e richiesto dal Dipartimento per l’Ambiente, l’Alimentazione e le Questioni Rurali (Defra), è fonte di oscure predizioni sul futuro della popolazione animale. Nel rapporto si legge che “è stato scoperto che gli habitats delle specie migratorie, più vulnerabili ai cambiamenti climatici, sono la tundra, la foresta nebulosa, i mari ghiacciati e le basse zone costiere”. “L’aumento della siccità e la diminuzione dell’acqua dal sottosuolo, in particolare nei luoghi chiave usati come ‘postazioni prova’ della migrazione, sono stati identificati come minacce gravi derivanti dal mutamento climatico.”

Alcune delle scoperte riguardano:

Quattro delle cinque specie di uccelli migratori rilevati dalle Nazioni Unite si trovano a dover far fronte a problematiche che vanno dalla riduzione delle riserve acquifere del sottosuolo all’aumento della siccità, all’incremento delle zone desertiche e allo spostamento delle riserve di cibo che, al momento della migrazione non si trovano più nelle loro fondamentali “stazioni di rifornimento”.

Un terzo dei luoghi di nidificazione delle tartarughe nei Carabi – che ospitano un numero sempre minore di tartarughe verdi, tartarughe a becco di falco e tartarughe caretta caretta – potrebbero essere sommersi da un aumento del livello del mare pari a 50 cm (20 pollici). Questo ridurrà “drasticamente” il loro numero. Allo stesso tempo si assisterà alla lenta scomparsa delle acque basse usate dalla foca monaca del Mediterraneo (già considerata in via di estinzione), dai delfini, dai dugongo e dai lamantini.

Balene, salmoni, merluzzi, pinguini e gabbiani tridattili sono vittime degli spostamenti nella distribuzione e nella profusione di krill e plankton, che “a causa dell’aumento della temperatura della superficie del mare, sono diminuiti fino a raggiungere valori pari a un centesimo o un millesimo quelli precedenti.”

La costruzione di un numero sempre maggiore di dighe, come risposta alla mancanza d’acqua e ad una crescente richiesta della stessa, sta danneggiando il naturale modello migratorio del tucuxi, il delfino di fiume Sudamericano, “con risultati potenzialmente pericolosi”.

Sono sempre meno i luì, i merli, i tordi americani e i tordi canterini che migrano dal Regno Unito a causa degli inverni sempre più caldi. Anche il tempo di nidificazione si è accorciato di due o tre settimane rispetto a 30 anni fa, e ciò è prova di un sostanziale cambiamento nell’orologio biologico degli uccelli.

La rivista scientifica Nature, lo scorso anno ha predetto che fino al 37 per cento delle specie terrestri sono a pericolo di estinzione entro il 2050. E il rapporto della Defra presenta più problemi che soluzioni. Per affrontare queste crisi bisognerà compiere un sforzo ben più complesso del semplice costruire nuove riserve naturali – un problema riconosciuto dallo stesso Jim Knight, il ministro per difesa della natura.

Uno dei problemi chiave dell’Africa sub-sahariana, per esempio, è legato alla povertà dilagante. Lo scorso mese, dopo aver visitato la Repubblica Democratica del Congo, per il signor Knight è stato difficile condannare la gente del luogo che si nutre di gorilla, una specie in estinzione. “Non puoi biasimare un individuo che ogni giorno deve riuscire a trovare un modo per sfamare la propria famiglia cercando di trarre vantaggio da ciò che lo circonda. È una vera sfida,” ha dichiarato.

Lo scontro tra natura e bisogni dell’uomo – un tema cruciale in tutta l’Africa – sembra si stia inasprendo. Man mano che la sua savana e le sue foreste iniziano a scivolare verso il sud, gli animali migratori si sposteranno insieme a loro. Alcuni fra i maggiori parchi nazionali e riserve del continente – come il Masai-Mara e il Serengeti – potrebbero perfino dover spostare i loro confini al fine di proteggere in modo più consono le loro specie più cacciate, l’elefante e lo gnu. Questo porterà ad un conflitto con le comunità locali.

C’è anche un notevole dislivello nella conoscenza scientifica tra ciò che è stato scoperto circa l’impatto dei cambiamenti climatici nel mondo industrializzato e i corrispondenti studi riguardanti i pesi meno sviluppati. Allo stesso modo gli esperti della pesca sanno molto di più riguardo specie quali il merluzzo e l’aglefino (1)
di quanto sappiano di pesci che gli esseri umani non mangiano.

Molti ambientalisti sono pessimisti circa la prospettiva di arrestare, e tanto meno di invertire, questa tendenza. “Stiamo combattendo una battaglia persa? Si, probabilmente si,” ha dichiarato un naturalista all’IoS lo scorso mese.

Nel corso della sua presidenza del G8 il Regno Unito sta cercando di porre al primo posto del suo programma globale la questione del cambiamento climatico; e sta ancora lottando per convincere il governo Americano, Giapponese e Australiano ad ammettere che le emissioni di gas prodotte dal genere umano rappresentano la minaccia maggiore. Questi tre governi continuano ad insistere che non v’è alcuna prova che indichi che il cambiamento climatico sia riconducibile a responsabilità umane.

E molti ambientalisti inglesi sospettano che l’impegno pubblico di Tony Blair, atto ad ottenete una convenzione più rigida che sostituisca il Protocollo di Kyoto e che punti ad una riduzione delle emissioni di anidride carbonica pari al 60 per cento entro il 2050, non sia in realtà appoggiata dal Governo.

Nonostante l’ostilità del Presidente George Bush ad una nuova convenzione sul clima globale, molti stati americani sono ben più radicali. Anche il comunicato del G8 dopo il summit di Gleneagles a Luglio, mostrava un Signor Bush intento a confermare che il pianeta si sta riscaldando.

La scorsa settimana in Alaska, delle immagini satellitari realizzate da due Università Statunitensi e dall’agenzia spaziale NASA, hanno rivelato che negli ultimi quattro anni le coltri di ghiaccio sul livello del mare nelle zone polari sono diminuite. “Stiamo andando verso un declino a lungo termine,” ha dichiarato Walt Meier del National Snow and Ice Data Centre.

Le comunità native delle zone Artiche non hanno bisogno delle immagini satellitari per dire questo. John Keogak, 47 anni, un Inuvialuit dei territori del Nord Ovest del Canada, caccia orsi polari, foche, caribù e bue muschiato. “L’orso polare fa parte della nostra cultura,” ha detto. “Loro usano il ghiaccio come terreno di caccia per le foche. Se non c’è ghiaccio gli orsi non hanno modo di riuscire a catturare le foche.” Ha dichiarato che il numero degli orsi sta calando e teme che i suoi figli possano non essere in condizione di cacciarli. Ha detto: “C’è un precoce scioglimento dei ghiacci; e un congelamento sempre più tardivo. Ora è tutto più rapido. Sta succedendo qualcosa.”

E ora, ha dichiarato il Signor Keogak,è evidente che l’orso polare sta fronteggiando un nemico inusuale – l’orso grizzly. Nel momento in cui la tundra sub-Artica e le distese desertiche si sgelano, il grizzly si sposta verso nord e va a colonizzare aree dove fino a poco fa, per lui sarebbe stato impossibile sopravvivere. La vita per l’orso polare dell’Alaska sta rapidamente diventando molto precaria.

Scomparendo dalla faccia della terra

Gorilla di montagna

Già identificato come “a serio rischio d’estinzione”, solo circa 700 gorilla di montagna, incluso l’elemento maschile del ‘silverback’ (2) migrano all’interno delle folte foreste delle montagne vulcaniche del Virunga nella Repubblica Democratica del Congo, del Ruanda e dell’Uganda. Dopo un secolo di persecuzioni da parte degli esseri umani ora si trova di fronte l’estinzione. Adesso le sue foreste di montagna, uniche nel loro genere ma periferiche – già pesantemente ridotte dalla silvicoltura – stanno diminuendo a causa dei cambiamenti climatici. Sarà costretto a salire sempre più in alto alla ricerca di climi più freddi, ma prima o poi non ci saranno più montagne da scalare.

Lungo tutta l’Africa, gli habitats si spostano all’aumentare delle temperature e delle zone aride, una situazione che compromette la migrazione di milioni di gnu, elefanti della savana e gazzelle di Thomson. Questo finirà per colpire le riserve di caccia e i parchi nazionali – costringendoli a spostare i loro confini.


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Tartaruga verde

Il numero delle tartarughe verdi maschio sta calando a causa dell’aumento delle temperature, fenomeno che sta minacciando fortemente la loro sopravvivenza. I nidi di tartaruga necessitano precisamente di una temperatura di 28.8°C per far nascere un uguale numero di maschi e femmine. Nell’Isola di Ascension, dove le temperature del nido superano 30.5°C, il numero delle tartarughe femmine supera quello dei maschi per un rapporto di tre ad uno. Anche ad Antigua, le temperature del nido delle tartarughe a becco di falco sono più elevate rispetto al livello di incubazione ideale. Anche le percentuali di sopravvivenza dopo la nascita sono ridotte a causa delle alte temperature. L’aumento del livello del mare sta facendo scomparire molte delle zone costiere in cui tutte le specie di tartarughe deponevano le loro uova. Un terzo di queste zone litorali dei Carabi andranno perdute a causa di un aumento di 50 cm del livello del mare.


Antilope Saiga

Questa rara antilope, sebbene sia a metà strada tra un’antilope e una pecora, e si trovi nelle zone della Russia e della Mongolia, è in grave pericolo di estinzione. Pesantemente cacciata, la sua migrazione autunnale per sfuggire al clima gelido e la migrazione primaverile nell’intento di trovare acqua e cibo, stanno per essere colpite dagli insoliti cicli climatici. L’instabilità climatica costringerà l’antilope a cercare nuove aree di pascolo finendo per scontrarsi con l’uomo. Le annate cattive possono ridurre il loro numero del 50 per cento, a causa dell’alta mortalità e del basso numero di nascite.
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Balena Bianca

La migrazione della balena bianca, uno dei mammiferi più grandi della terra, reso famoso dalla narrazione epica Moby-Dick di Herman Melville, è fortemente legata ai molluschi , la sua maggiore fonte di cibo. Il numero dei molluschi subisce l’influenza del riscaldamento delle acque e di fenomeni atmosferici quali El Niño. Agli esemplari di maschio adulto della balena bianca che superano i 20 metri di lunghezza piace l’acqua fredda dei pack . Il riscaldamento delle acque rallenta il processo di riproduzione della balena bianca a causa. della diminuzione della disponibilità di cibo. Intorno alle isole Galapagos, una diminuzione delle nascite è stata collegata ad un aumento delle temperature della superficie del mare. Plankton e krill, alimenti centrali per molti cetacei come la balena pilota, in alcune regioni sono calati a un centesimo dei valori precedenti a causa del riscaldamento delle acque.

Andrew Buncombe
Andrew Buncombe e Severin Carrell
d Severin
Fonte: www.zmag.org
Link: http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=56&ItemID=8862
310.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MONIA

NOTE DEL TRADUTTORE:

(1) Aglefino: varietà di merluzzo..
(2) Così chiamato per il chiaro tratto distintivo della sella argentea che ha sul dorso.

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