DI DANIELE RAINERI
ilfoglio.it
Meglio farsene una ragione: il virus ebola arriverà in Europa. Ci sono circa seimila passeggeri ogni settimana che prendono aerei verso Londra dai quattro paesi più a rischio dell’Africa occidentale, e ce ne sono altrettanti verso Parigi. Sul lungo termine e considerata la cosa dal punto di vista statistico, è impossibile che in Europa non arrivi un paziente X che porta con sé ebola (nella fase di incubazione, che dura settimane e non dà alcun segno). Senza contare che ci sono altre migliaia di passeggeri diretti dalla costa ovest dell’Africa ogni settimana verso altre grandi città come il Cairo, e quelle sono a loro volta collegate – e molto meglio – con l’Europa, e chi volesse troncare i contatti con la piccola Sierra Leone o con la Liberia poi dovrebbe spiegare come si fa oggi a isolare l’Italia dall’Egitto. Oppure da Londra. O da Parigi.
Il direttore per l’Europa dell’Organizzazione mondiale della sanità, Zszusanna Jakab, due giorni fa è stata intervistata da Reuters e ha detto l’ovvio: “Lo sbarco di ebola in Europa è inevitabile”. Detto questo, starsene a spiare dove potrebbe saltare fuori il paziente X in Europa oppure in Italia sta tra la nevrosi e la perdita di tempo (ultime segnalazioni: un inglese morto a Skopje, in Macedonia, e un sospetto a Cergy-Pontoise, Parigi). Da quando un primo caso di ebola è stato segnalato a Dallas, nel Texas, ci sono state cinquemila segnalazioni di altri casi nel giro di una settimana e sono tutte risultate false.
Il pendolo del sentimento pubblico oscilla fra la psicosi di massa e la spavalderia noncurante. La psicosi è anche il frutto di un errore di prospettiva, perché ci sono quarantamila adulti americani che ogni anno muoiono per malattie che sono facilmente prevenibili come il morbillo e la pertosse e la cosa è pacificamente accettata o ignorata. Nel mondo ci sono cinquecento milioni di casi di malaria ogni anno e le morti di malaria non si possono contare con esattezza ma sono stimate sopra il milione. Per ora ebola con i suoi 3.500 decessi al confronto è uno starnuto africano.
Un caso di ebola completamente europeo c’è già, è l’infermiera di Madrid che ha assistito un missionario ammalato – e poi morto – ed è diventata il “paziente zero” (uno studio epidemiologico indicava in Parigi la città dove era più probabile che ebola sarebbe arrivato prima, per i collegamenti aerei, e invece: Madrid). Ieri il Telegraph ha pubblicato un pezzo in cui spiegava che dalla capitale spagnola atterrano in Gran Bretagna trenta voli ogni giorno, con circa cinquemila passeggeri e che le linee aeree si stanno attrezzando in modo da minimizzare il rischio di un’epidemia (queste righe sono per chi ha la nevrosi dell’untore nero: la vostra peggiore ansia in questo momento ha il volto di un madrileno).
Nota: non ci sono finora casi conosciuti di trasmissione di ebola tra passeggeri di uno stesso aereo, perché le probabilità sono estremamente basse. Nel 1996 un uomo con sintomi chiari di ebola (e quindi in potenza già contagioso, perché la possibilità di contagio comincia soltanto con i sintomi) prese un aereo dal Gabon a Johannesburg, in Sudafrica, per raggiungere cure mediche migliori. Aveva la febbre sopra 40,5 gradi e segni di emorragia interna. Riuscì ad arrivare in ospedale a destinazione e non infettò nessuno durante il viaggio aereo, e neppure prima né dopo, scrive un rapporto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. Nel 2004, un uomo d’affari che era in visita in Sierra Leone volò malconcio prima a Londra e poi negli Stati Uniti con la febbre di Lassa, un virus emorragico africano assai simile a ebola, che si trasmette nello stesso modo con il contatto fra fluidi corporei. Aveva febbre, diarrea e dolori alla schiena. La diagnosi precisa però gli fu fatta soltanto quando arrivò finalmente in un ospedale del New Jersey, e il Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie rintracciò tutti gli altri 188 passeggeri dei due voli, ma nessuno fu contagiato.
Detto questo, l’antiallarmismo distratto su ebola è – come l’allarmismo che indulge e solletica gli spettatori – una brutta cosa. L’infermiera spagnola contagiata è stata una delle poche persone in Europa a entrare in contatto con un morto di ebola, eppure quando si è presentata in ospedale dicendo di avere sintomi (aveva la febbre) le sono state date due aspirine. Era in vacanza e continuava a chiedere ai dottori se per caso non avesse contratto il virus, ma è andata a sostenere le prove per un concorso pubblico assieme ad altre ventimila persone. Girava con la mascherina, sospettando il peggio, “penso di avere ebola” diceva, ma è stata ignorata. Una volta l’hanno messa in sala d’aspetto assieme agli altri. Cinque giorni dopo avere superato la soglia fatidica dei 38,6 gradi di febbre – che annuncia ebola – è stata ricoverata. La psicosi è peggio della malattia, ma pure i raptus di scemenza collettiva non scherzano. La Spagna dice ora di avere seguìto tutti i severi protocolli anti epidemia previsti in questi casi, ma da troppe parti ha sbagliato. Basta capire bene dove.
Daniele Raineri
Fonte: www.ilfoglio.it
10.10.2014