DI SERGIO DI CORI MODIGLIANI
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Tutto ciò come risultato del vuoto immondo lasciato dagli intellettuali venduti
Il più grande trionfo dell’oligarchia finanziaria sovra-nazionale, acquisito definitivamente nell’arco degli ultimi vent’anni, consiste nell’essere riusciti a “monetizzare l’esistenza” degli individui. Questo sì, a loro insaputa.
Poco a poco, hanno condotto una strategica battaglia iniziata verso la fine degli anni ’70, con l’ottima scusa della guerra fredda.
Hanno iniziato costruendo, in diversi luoghi del pianeta, delle centrali operative della comunicazione globale, accogliendo ingenti capitali mafiosi che sono serviti come base finanziaria per costruire giganteschi monopoli mediatici, grazie ai quali hanno iniziato l’iniziale trasformazione alchemica dei media e dei professionisti che ne facevano parte.
Il più grande trionfo dell’oligarchia finanziaria sovra-nazionale, acquisito definitivamente nell’arco degli ultimi vent’anni, consiste nell’essere riusciti a “monetizzare l’esistenza” degli individui. Questo sì, a loro insaputa.
Poco a poco, hanno condotto una strategica battaglia iniziata verso la fine degli anni ’70, con l’ottima scusa della guerra fredda.
Agli inizi degli anni ’80, (ormai ampiamente identificata come data esatta) è iniziata la prima grande battaglia, vinta dai padroni di Ronald Reagan che abbatterono –in molti casi anche con la violenza, a seconda del territorio e dei continenti- il concetto di informazione mediatica, spostando il baricentro dell’attività giornalistica dall’investigativo al gossip. Su quello costruirono un gigantesco mercato, grazie al quale hanno cominciato a costruire dei centri operativi finanziari il cui obiettivo era smaccatamente e squisitamente politico, ben mascherato dietro il termine, allora molto trendy (1985) “nuova economia del terziario avanzato”. L’intero sistema di informazione planetario (grazie anche alla caduta del comunismo e quindi all’apertura del mercato globale e crollo delle ideologie) si spostò abbattendo il concetto di Cultura e trasformandolo da “trasmissione di Sapere” a “Uso e consumo di nozioni a finalità marketing”. In tal modo, abbattute le barriere di resistenza sociale, la finanza speculativa ha cominciato ad allargare lo spettro delle proprie attività occupando la produzione della “economia delle merci” (che produce ricchezza reale sia per le nazioni che per i popoli e in ultima istanza per ogni singolo individuo) sostituendola con la cosiddetta “necessità di gestire la società dei servizi”. Furono gli anni in cui –tanto per fare un chiaro esempio italiano, uno solo valido per tutti- una florida azienda leader italiana nel mondo, come la Pirelli, che produceva pneumatici e gomma per elettrodomestici, ovverossia beni di largo consumo non soggetti a crisi di consumo, cambiò ottica di politica industriale e si gettò nella telefonia mobile, nella pubblicità, e nell’industria televisiva, acquisendo Telecom Italia, perfettamente in linea con ciò che stava accadendo nelle altre nazioni di capitalismo avanzato. In tal modo, l’industria mondiale (senza accorgersi di star operando il proprio suicidio) affidò alla finanza un ruolo privilegiato rispetto alla produzione di merci iniziando la lunga marcia verso il proprio strozzamento. Una volta (siamo ormai agli inizi del nuovo millennio) realizzato il piano economico di espoliazione del comparto industriale, nell’indifferenza generale, fu un gioco da ragazzi selezionare nelle singole nazioni la dirigenza partitica adeguata per fare in modo che la Politica “eseguisse” gli ordini dell’oligarchia. Ormai completamente distaccata dall’economia, ormai priva di adeguate informazioni perché l’intero sistema mediatico era stato accorpato, privi di qualsivoglia riferimento culturale perché avevano eliminato o acquistato o addormentato la classe intellettuale, cominciarono a gettare il fertile humus necessario per far varare il sistema di leggi necessarie per consentire la nascita di quella che il filosofo statunitense Richard Rorty (deceduto ahimè nel 2007) in una sua splendida conferenza tenuta a Berkeley, in California, nel maggio del 2002, aveva selezionato e definito come “la nascita di a new overclass, una generazione di semi-dei che i media provvederanno a definire “tecnici”, i quali sono al di sopra delle leggi e al di sopra delle istituzioni e al di sopra e al di fuori delle loro rispettive etnie e culture locali, perché non risponderanno più né ai partiti né ai governi, bensì a una ristrettissima pattuglia di oligarchi globali in grado di poter annientare il destino di una intera nazione con una semplice telefonata, senza bisogno alcuno di schierare carri armati o aerei da bombardamento; non avranno bisogno neppure della polizia, ci penserà la finanza a decidere e a stabilire la gestione dei conflitti micro-sociali”. Questa nuova “overclass” (trad.: classe superiore) avrebbe gettato le basi di quella che due mesi dopo a Harvard, il prof. Noam Chomsky avrebbe identificato e definito come “la genesi del nuovo pensiero nazista globale” che si sarebbe affermata secondo le modalità di quella che lui chiamò a friendly dictatorship (trad. una dittatura amichevole dal volto buono) ovverossia l’applicazione e pianificazione sistematica di una nuova organizzazione mondiale che applica alla lettera la strategia hitleriana della “soluzione finale” laddove gli ebrei, zingari, omosessuali, disabili, ecc., sono tutti i cittadini. Completamente ignari di ciò che accade.
Tutto ciò per spiegare (e rispondo anche collettivamente ai tanti commenti e tantissime lettere ricevute) la motivazione per cui insisto nel seguitare a dare un giudizio positivo della “operazione politica Beppe Grillo”, a mio avviso, una scheggia impazzita del sistema, non prevista, non prevedibile, non calcolata preventivamente. Impiegheranno diversi mesi prima di riuscire a trovare il sistema giusto (che magari noi non sapremo mai) per cercare di farlo virare o cadere o tacere. Ma nel frattempo, tante e tante persone saranno entrate nella stanza “dell’acquisizione di consapevolezza del diritto di cittadinanza basato sul principio che uno vale uno” l’unica risposta intellettualmente vincente contro il nazismo: non esiste razza superiore, non esiste necessità di privilegio, non esiste il sangue blu, perché stiamo tutti sul Titanic, quindi, o ci salviamo tutti oppure anneghiamo.
I detrattori lo accusano di essere “un guitto”. Non so che cosa pensi lui. Io gli consiglierei di dire “ma grazie, che bel complimento”. I guitti, infatti, erano quelli che nel secolo XVI, soprattutto in Gran Bretagna, avevano una speciale licenza per andare nelle corti e –con la scusa di divertire il re e i cortigiani- avevano il permesso di prenderlo in giro, attaccarlo, addirittura sbeffeggiarlo, mostrare a tutti che “il re è nudo”, raccontando come e dove il re ruttasse, facesse la cacca, facesse i capricci, si grattasse i pidocchi. E c’erano anche “i guitti d’osteria” che facevano altrettanto raccontando al popolo analfabeta che cosa combinasse l’aristocrazia ai loro danni. Tra i guitti dell’epoca, uno, più geniale degli altri, si mise anche a studiare e un mattino, divenuto ormai un intellettuale pensante, decise di abbandonare la commedia satirica (era il suo pane quotidiano) e cominciò a scrivere delle tragedie sul Potere. Si chiamava William Shakespeare. Ogni tanto ai guitti andava male perché c’era qualche potente che si irritava, tant’è vero che alla fine del ‘500 le carceri inglesi erano piene di guitti, in numero senz’altro maggiore rispetto a ladri e assassini. Ma cento anni dopo, il grande filosofo David Hume, in un suo delizioso libello, rendeva omaggio ai guitti sostenendo che erano “stati i primi ad aprire la breccia per far pensare le persone, per avviarli alla riflessione, per porsi delle domande, e quindi, trovare le risposte adeguate che soltanto un profondo interrogativo sulla natura umana può fornire”.
Grillo è un cavallo di Troia.
E’ il nostro Ulisse, a me piace vivere questa storia così.
Beppe Grillo non è una testa di cazzo come vogliono far credere Massimo D’Alema, Pierferdinando Casini, Pierluigi Bersani.
E’ una testa d’ariete.
Tutta un’altra cosa.
E’ un animale da sfondamento, perché lui si diverte a fare ciò che fa, proprio come i guitti.
E’ questo che fa diventare matti i suoi detrattori: non lo capiscono.
Perché non colgono il Senso di tutto ciò.
Non vedono dove stia “il suo interesse”.
Non possono credere che il suo vero interesse stia proprio in questo: nel guadagnare una caterva di applausi a scena aperta (lui che con il palcoscenico ci è nato e ci vive) per il solo fatto di riuscire a sbugiardare, smascherare, denudare la totale incompetenza, inefficienza, insipienza, insufficienza, di una classe politica immonda composta da semplici e banali ragionieri che veicolano interessi terzi della overclass dell’esimio prof. Rorty.
Moltissime persone che conosco si sono stupiti in questi giorni –tanto per fare un esempio unico valido per tutti- perché un intellettuale musicista, il prof. Claudio Ronco, un noto violoncellista, laureato al conservatorio di musica classica di Torino, sta affrontando gloriose polemiche perché lo difende. Ronco è esattamente come uno immagina che possa essere un violoncellista, professionista affermato di musica classica, con il suo bel frac, la barbetta, la bacchetta in mano da direttore d’orchestra. Questa mattina dava imperiosi ordini ai suoi amici feisbucchiani di andare a guardarsi il video che sta circolando per tutta l’Europa (in Italia non è stato trasmesso ma si trova su you tube, ecco il link per chi se lo vuole andare a vedere: euronews interview – Grillo in esclusiva su euronews: “La Merkel si riprenda il marco, noi facciamo”) e poi farsi una chiacchierata insieme aggirando gli stereotipi.
La testa d’ariete Grillo è andata a occupare il territorio vuoto lasciato dagli intellettuali italiani, quelli che nello scorso decennio si facevano pagare profumatamente per andare da Santoro ogni tanto a dire peste e corna di Berlusconi, ma il mattino dopo, firmavano i contratti “contagiosi” da Mondadori e tutte le sue associate. (Berlusconi, si sa, con chi lo serve è sempre stato molto ma molto generoso). Quella classe di intellettuali che ha pensato la scelta fosse o Mondadori appresso a Berlusconi (ma parlandone male per salvarsi l’anima e il consenso sociale, da bravi ipocriti italiani doppiogiochisti) o la Rizzoli appresso a Veltroni, accettando le consulenze in Rai e in Mediaset una dopo l’altra, a fior di bigliettoni, sempre a condizione di poter attaccare o Berlusconi o Bersani da cui dopo andavano a farsi dare i soldi. E’ la democrazia come è intesa nel cosiddetto mondo della Cultura in Italia, splendidamente sintetizzato dal duo Fazio/Littizzetto, due parrocchiani miliardari, inviati a imbonire le masse rappresentando la finzione eccellente.
Gli intellettuali italiani sono stati ammorbati dal “contagio” e criminalmente hanno lasciato un immenso vuoto.
Preferisco il guitto.
E sono d’accordo con l’intellettuale Claudio Ronco.
L’ultima volta che in Italia c’è stato un dibattito serio sulla classe degli intellettuali e sulla funzione degli intellettuali è stato nel 1998. Durò tre mesi. Un buco nell’acqua.
Nacque da un breve editoriale scritto da Umberto Eco sul settimanale L’Espresso in una rubrica che lui allora teneva e che si chiamava “La bustina di Minerva”. Il breve articolo si concludeva così: “l’unica cosa che può fare un intellettuale italiano quando la casa brucia è chiamare i pompieri”.
Un altro intellettuale si arrabbiò. Lo contestò. Era Antonio Tabucchi, che allora era in auto-esilio volontario tra Lisbona e Parigi. Salì, quindi, sul carro anche il prof. Alberto Asor Rosa, il più importante storico della letteratura italiana, il quale scrisse su rinascita un editoriale nel quale sosteneva che “tutto è nato dalla sovra-estimazione di Niccolò Machiavelli, un pensatore debole, scarsissimo, senza idee, un piccolo-borghese asservito che non ha mai inventato nulla, anzi, veicolava avanzi dell’Europa di allora” e Asor Rosa salì sul cavallo della necessaria lotta contro l’ipocrisia italiana doppiogiochista che si nasconde dietro il velo di questa orrenda frase “il fine giustifica i mezzi” intesa dalla classe politica e intellettuale italiana come giustificazione necessaria di qualsivoglia obbrobrio.
Asor Rosa smise subito. Gli saltarono addosso. Lui si fermò, scese da cavallo e si occupò della sua brillantissima carriera. Non era un combattente. Scelse il suicidio, optò per un sereno vitalizio. Tabucchi mandò tutti al diavolo e pubblicò un pamphlet su questo argomento in francese, a Parigi, dal titolo “La gastrite di Platone” che l’editore Sellerio tradusse in italiano e pubblicò qualche anno dopo. Ma ormai c’era già il vuoto.
Da allora, non si è mai più neppure trattato l’argomento.
Quando i maestri non ci sono, perché sono addormentati o sono scappati via appresso ai soldi, è cosa nota, il più vivace della classe, tra gli alunni, approfitta, sale in cattedra e dice: ragazzi, se non altro divertiamoci.
E comincia a sbeffeggiare il preside.
Preferisco pensare a Beppe Grillo che suicidarmi.
Sono le due uniche opzioni che l’immonda classe intellettuale di venduti italioti ci ha lasciato.
E a me piace vivere.
Gli intellettuali italiani hanno lasciato che la casa bruciasse e non hanno neanche avuto il pudore civile di chiamare i pompieri.
Sono loro i veri criminali.
Beppe Grillo li sta smascherando senza neppure nominarli.
Sergio Di Cori Modigliani
Fonte: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it
Link:
http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2012/05/meglio-beppe-grillo-che-il-suicidio.html
25.05.2012