DI MARCO TRAVAGLIO
Ma perché non lasciano che Bettino Craxi riposi in pace? Perché, a ogni anniversario della sua morte, qualcuno ritira fuori la sua storia nel tentativo disperato di cancellarla? L’altra sera Attilio Romita, questo wandaosiris di scuola Mimun che legge il Tg1 (ma domenica sgallettava a Quelli che il calcio) s’è avventurato in un bilancio del craxismo, ricordando che, sì, il povero Bettino fu un po’ criticato per “eccessivo decisionismo”, ma a parte questo le aveva azzeccate tutte. Poi, purtroppo, per motivi che sfuggono, fu “costretto all’esilio” in Tunisia. Ha detto proprio così: esilio, questa è la verità ufficiale del cinegiornale ufficiale del regime. Lo stesso giorno, il Corriere si inerpicava nel medesimo cimento e liquidava la faccenda con queste leggiadre parole: “…oltre naturalmente al suo coinvolgimento nella questione morale”. Ma è tanto difficile chiamare le cose col loro nome, e dire che Craxi era un pregiudicato latitante che si era sottratto alla giustizia e alle leggi del suo Paese, avendo maturato due condanne definitive (5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo Eni-Sai; 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le mazzette della metropolitana milanese) e varie altre che stavano per diventarlo (3 anni in appello per la maxitangente Enimont, 5 anni e 5 mesi in primo grado per le bustarelle dell’Enel, 5 anni e 9 mesi in appello per il Conto Protezione)? Lo stesso Corriere parla del “lascito politico di Craxi”, mentre il Giornale parla dell’“eredità politica”. E il lascito finanziario, e l’eredità bancaria? E’ roba grossa anche quella: 50 miliardi sui conti svizzeri Northern Holding e Constellation Financière, più quelli (mai visti né calcolati) bloccati a Hong Kong perché quello stato non ha mai risposto alle rogatorie. Si spiega così, forse, la lucida analisi di Panorama: “Craxi è ricordato più all’estero che in Italia”. Soprattutto in Svizzera e a Hong Kong. Per non farci mancare nulla, anche il direttore dell’Istituto di cultura italiano a Parigi Giorgio Ferrara (che casualmente è il fratello di Giuliano) ha voluto ricordare la figura di Craxi anche in Francia con uno spettacolo teatrale.
Non per una serata, che sembrava poco. Ma per quattro. E ora minaccia di proseguire la tournée in Italia, dove peraltro non mancano le ballerine, e neppure i nani. Gli han dato una mano nell’allestimento Ernesto Galli della Loggia (che Craxi, gran conoscitore di uomini, definiva “intellettuale dei miei stivali”) e Marc Lazar. I due – riferisce il Corriere – hanno ricordato commossi “il dinamismo di Craxi, la sua polemica contro i comunisti, il recupero del liberalismo e del patriottismo”. Bisogna avere la faccia di un Galli della Loggia per accostare Craxi al liberalismo, vista la sua feroce avversione alle privatizzazioni, la famelica occupazione delle partecipazioni statali, delle banche, dei giornali e delle tv pubbliche e private, la bulimia nel moltiplicare la spesa pubblica, l’allergia per l’aula sorda e grigia del Parlamento (lui lo chiamava simpaticamente “parco buoi”), la guerra ai poteri di controllo (la stampa libera e, per ovvi motivi, la magistratura), la frequentazione con Licio Gelli, Calvi e altri piduisti, il decisivo contributo a suon di decreti ad personam alla creazione del più mostruoso trust mediatico del mondo: quello del suo amico e complice Berlusconi.
Un bell’esemplare di liberale,un einaudiano di scuola classica, non c’è che dire. E pure patriota, una via di mezzo tra Mazzini e Pisacane. Nulla di più patriottico che violare le legge del proprio paese, sostenere la trattativa con le Br nel caso Moro, lasciar fuggire in Iraq il terrorista Abu Abbas, accumulare miliardi in Svizzera e ad Hong Kong e darsi alla latitanza in Tunisia. Tace, inspiegabilmente, il ragionier Pera, che l’anno scorso volò ad Hammamet per dire che Craxi è stato “un patrimonio della Repubblica italiana” (ma sbagliò a coniugare i verbi: Craxi aveva un patrimonio, che apparteneva alla Repubblica italiana e che fra l’altro andrebbe restituito). Parla invece l’ex sindaco della Milano da bere Carlo Tognoli, quello che qualche buontempone della sinistra voleva candidare da qualche parte perché molto “riformista” e che ora s’è puntualmente accasato chez Formigoni. “La demonizzazione – sentenzia sul Messaggero – sta finendo. Ma Mani Pulite è stata un’enorme caccia alle streghe che, inevitabilmente, ha lasciato tracce”. Per esempio, la sua condanna definitiva a 3 anni e 3 mesi per ricettazione di svariate mazzette. Mazzette riformiste, s’intende.
Marco Travaglio
Fonte:http://banane.splinder.com/
23.01.05