DI CARLO BERTANI
“Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso”
Serafico, ponderato, tranquillo: allo scoppio dell’atomica coreana, il Ministro degli Esteri D’Alema risponde con una deflagrazione di savoir faire, d’equilibrata compostezza e di partecipe empatia nei confronti dei telespettatori inorriditi.
Sì, inorriditi ed allarmati per quelle immagini di tregenda che giungono dalla Corea del Nord: tornano gli incubi delle “Piazze Rosse” dove sfilano argentei cilindri appuntiti, pronti a scatenare l’inferno nucleare sulla testa dei nostri figli.
Con inguaribile gusto retrò, passano in sottofondo alla breve intervista immagini in bianco e nero di giovani americani che si nascondono sotto i banchi di scuola (sic!) per proteggersi dall’olocausto nucleare. Vengono alla mente le mascherine di carta per proteggersi dall’epidemia d’antrace del 2001, che poteva provenire soltanto dalla fialetta (di acqua distillata, probabilmente) che Powell si portò all’ONU. Una delle peggiori pièce teatrali del secolo, insieme ad Eltsin che balla – ubriaco – al suono dell’inno nazionale tedesco ed al povero Mario Cecchi Gori il quale – appena ricevuto un piatto come premio per la sua attività cinematografica – gli casca e si frantuma in mille pezzi in diretta TV. Roba da Blob.
L’atomica coreana è il Blob delle atomiche – questo tutti lo sanno – e ne è perfettamente al corrente anche Massimo D’Alema, che è persona intelligentissima: proprio per questa ragione sa recitare come i grandi attori, improvvisando in un attimo una parte già evidentemente studiata, preparata con cura nel suo ufficio alla Farnesina.
«Ministro, ha già pensato all’atomica coreana?» «Sì, facciamo una ripresa di tre quarti vicino ad un pannello colorato…il vestito grigio chiaro va bene…» «Ministro, mi riferivo al testo…» «Il testo? Ma cosa vuole che ci sia da dire sull’atomica coreana!»
Sull’atomica coreana c’è così poco e così tanto da dire da riempire un jingle pubblicitario di 26 secondi oppure un dibattito di tre ore, dipende da cosa si vuole veramente raccontare.
Se ci fermiamo al jingle di 26 secondi è tutto chiaro: i coreani sono dei pezzenti, il dittatore Kim–Jo–Il è un pazzo, con quel terribile ordigno vogliono radere al suolo la Corea del Sud ed il Giappone, la Cina e la Russia parlano tanto ma non hanno fatto niente per fermarli.
Già, fermarli.
Massimino – con molto far play, bisogna riconoscerlo – afferma che il regime di Pyongyang non è fra i più “democratici” e che, quindi, quella bomba rappresenta un pericolo.
Qui dovrebbe finire il jingle pubblicitario, ma D’Alema è furbo e si para il sederino dai possibili attacchi da sinistra: «C’è un problema di proliferazione nucleare, un problema che le grandi potenze non hanno saputo governare…»
Già, governare sulle bombe atomiche, vegliare sulle spolette all’Uranio: mica facile – sottintende il buon Massimo – ci voleva maggior attenzione, più impegno. “Concertazione”, verrebbe quasi da dire, facciamo un bel “tavolo” sulle bombe atomiche, ci tagliamo due fette di Plutonio per fare un panino e ce lo mangiamo mentre ascoltiamo il “concerto” del jazz-ensemble di Hiroshima.
Sembra quasi che la colpa della proliferazione nucleare sia tutta dei coreani e degli iraniani: maledetti questi orientali che scopano in modo così esplosivo, e proliferano.
Massimino pare dimenticarsi che – al termine della Seconda Guerra Mondiale – una sola nazione possedeva l’atomica, gli USA, e dopo poco l’ebbe anche l’URSS.
La prima “proliferazione” riguardò le altre potenze vincitrici: Gran Bretagna, Francia e Cina reclamarono la loro parte di radiazioni concentrate e custodite, all’evenienza, per il domani. Come facciamo noi quando risparmiamo un buono postale per il futuro dei nostri figli.
Guarda a caso, le cinque nazioni erano le stesse che avevano diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che funziona in questo modo: l’Assemblea dell’ONU discute per mesi, s’accapiglia, si confronta, s’accorda, vota.
Al termine di tanto trambusto, la proposta giunge in Consiglio di Sicurezza: anche lì si discute, ci si accapiglia, si vota. Piccolo particolare: durante la votazione uno dei cinque tira fuori il jolly, alza la paletta – come ad un gioco di Mike Bongiorno – ed esprime il veto. Di tutto quello che si è discusso per mesi non me ne frega un accidente: io metto il veto e la cosa è chiusa. Se non vi piace, ricordate che – proprio in questo istante – ho un sottomarino con 24 missili – ciascuno dei quali porta tre testate – che incrocia a cinquanta miglia dalle coste di quel paese…come si chiama…Patacchistan, Kafirius, Repubblica Democratica del Mais Verdeggiante…va beh, non me lo ricordo, però tenete sempre a mente quel mostro d’acciaio con le sue 72 bombe nucleari pronte. Basta schiacciare un bottone: chiaro?
Sui danni prodotti dal diritto di veto piangono ancora oggi milioni di palestinesi – per le risoluzioni 242 e 338 che Israele non rispettò mai perché viziate da “artifizi linguistici” voluti dagli USA (altrimenti era pronto il veto) – ma anche gli ungheresi ed i cecoslovacchi ricordano ancora i “sonori” veti posti da Kruscev e da Breznev per i massacri perpetrati dai russi nei loro paesi. Tutti hanno qualcosa da rimostrare per i vari veti, dagli armeni ai curdi, fino all’ultimo paese dimenticato dell’Africa nera.
Il diritto di veto, però, non sarebbe nulla se non fosse appoggiato da qualcosa di più solido di una mano alzata in una riunione, se non ci fosse quel sottomarino che aspetta – silenzioso – 500 metri sotto la superficie del mare.
«Il potere passa attraverso la canna del fucile» affermava Mao Tze Dong, e Mao era un contadino che raccontava le cose come stavano: non mi venite a raccontar le balle delle mani alzate e delle palette colorate. Se dietro alla schiena non avverto il gelido contatto di un fucile puntato, col cavolo che mi lascio impressionare da una paletta: quella roba serve solo nei giochetti di Mike.
Succede poi che qualcuno – che può vantare buone amicizie in alto loco – riesce ad ottenere un po’ di quelle micidiali bombette: non importa chi compra e chi vende – francesi, russi, inglesi, cinesi od americani – l’importante è l’assenso a possedere qualche chilo d’uranio confezionato e “pronto a muovere”.
I primi ad ottenerlo sono gli israeliani – si sa che a Washington contano buone amicizie – ma nel gran balletto delle atomiche danzanti si procede a coppie: ecco che la maestosa URSS si degna di concedere l’atomica alla grande “amica” India.
Eh sì, perché c’è l’equilibrio nucleare dei ricchi e quello dei poveri, soltanto che queste cose Massimino non le racconta: come faccio in un jingle di 26 secondi? Beh, puoi sempre chiedere a mamma RAI di fare una bella trasmissione d’approfondimento, dove saranno invitati tutti i vari “esperti” di regime – direttore di qui…presidente di là…rettore dell’Università dell’Acqua Santa…coordinatore del comitato per la “buona” bomba atomica – come hai fatto durante la guerra in Libano. Come dici? Non lo hai fatto? E’ vero: scusa mi sbagliavo, durante la guerra in Libano nessuno è venuto a spiegarci perché si lasciava ad Israele campo libero per bombardare i quartieri civili di Beirut sud. Come dici? Scusa, non ho sentito bene…erano tutti in Costa Smeralda e non avevi i loro numeri telefonici?
Ma, suvvia Massimino: potevi chiederli a Telecom! Lo sai che Telecom sa anche quanti pennarelli ci sono – in questo preciso istante – sulla mia scrivania? Sono efficientissimi: un servizio d’alto profilo reso alla collettività per la circolazione dell’informazione. Basta chiamare un numero verde (riservato) e, se hai pagato la tassa detta “dello spione”, ti raccontano anche quanta cocaina è entrata oggi a Montecitorio. Se non te lo dicono, chiedilo a quelli delle “Iene”, il tampone che hanno eseguito all’insaputa dei nostri politici non sbaglia [1] .
Se la notizia della droga che circola a Montecitorio è una “bomba” risaputa, può fare il paio con la vera bomba, quella coreana. Solo che la prima è la “bomba” dei ricchi, l’altra quella dei poveri.
Se i due primi parvenu che giunsero all’atomica furono – oggi, diremmo per “par condicio” – Israele e l’India, qualcuno pensò di mettersi “in fila”. Oh, vuoi vedere che rimanendo per anni sotto le finestre di quella gente – prima o dopo – gettano via qualche bomba di vecchio tipo, un po’ d’Uranio oramai datato, qualche spoletta da riciclare?
Mentre la fila iniziava ad ingrossarsi, avvenne la “crisi cubana” fra Israele e l’India, soltanto che quasi nessuno se n’accorse.
Correva l’anno 1991, e l’antica Mesopotamia era percorsa da un nuovo fremito di fuoco e d’acciaio: una vera Tempesta del Deserto, la Desert Storm di Bush I Il Vecchio contro l’apostata Saddam Hussein, che dopo tanti anni di fedele amicizia aveva sputato sulla mano americana invece di baciarla. In gioventù – dopo un fallito golpe – il buon Saddam si rifugiò nell’ambasciata americana del Cairo e ci rimase per due anni, dopodichè condusse per conto del Pentagono dieci anni di guerra contro l’Iraq, tanto che Tareq Aziz, imprigionato come un ladro, si lamentava: «Ma come: con Rumsfeld ci vedevamo spesso…». Mai fidarsi troppo degli amici.
Mentre i B-52 USA bombardavano Baghdad, Saddam rispondeva con i vecchi Scud lanciandoli su Israele: erano missili decrepiti, ma il tanto osannato sistema Patriot non riusciva a “beccarli”, e quando li “beccava” era ancora peggio, perché cadevano sulla testa della gente i resti dello Scud e del Patriot. Nessuno ci fece troppo caso…miglioreremo i missili…fino alle fregate israeliane sulle quali Hezbollah ha fatto il tiro al bersaglio.
In mezzo a tanto clamore, Tel Aviv era stufa di ricevere missili sulla testa – che causarono circa 150 vittime civili – ed iniziò a spazientirsi: c’era da capirli.
Quando l’incazzatura traboccò, Israele iniziò a meditare d’inviare i propri aerei a rendere la pariglia a Saddam, ma gli americani s’opposero: se intervenite ci mandate all’aria la grande coalizione che abbiamo creato per sconfiggere quell’idiota. Evidentemente, “Egitto ed Israele uniti nella lotta” non funziona, e non funzionerà mai.
Gli israeliani insistettero e gli americani risposero con una di quelle argomentazioni che non concedono scampo: se volete intervenire fatelo pure, ma noi non vi daremo i codici d’accesso per i vostri velivoli. Risultato: un qualsiasi caccia israeliano che fosse entrato nello spazio aereo iracheno sarebbe stato considerato alla stregua di un velivolo “sconosciuto”, e quindi da abbattere. Porta chiusa.
Tel Aviv, allora, gettò la spada sulla bilancia: se Saddam ci manda un altro Scud rispondiamo con le armi nucleari. Quella era una minaccia seria, e gli USA non avevano argomentazioni né mezzi da opporre – salvo la forza – opzione ovviamente improponibile.
“USA ed URSS unite nella lotta” invece ha funzionato a lungo, più di quello che si creda.
Si fa avanti Rajiv Ghandi – premier indiano (vicino a Mosca) – ed afferma candidamente che i missili indiani sono in grado di “ombreggiare” Israele, termine tecnico per chiarire che l’India potrebbe rispondere al lancio di un’atomica su Baghdad con un’altra su Tel Aviv. Fine della storia, salvo per un piccolo particolare: Rajiv Ghandi viene assassinato pochi mesi dopo da un estremista Sikh, con una corona di fiori imbottita d’esplosivo. Che caso. Si sa, i Sikh sono sempre incazzati…
Quello citato è un classico esempio di’equilibrio nucleare portato avanti mediante medie potenze, ma gestito direttamente dalle grandi.
In questo bailamme d’esternazioni inorridite nei confronti della Corea del Nord, stupisce osservare l’ovattato silenzio che circonda l’atomica pakistana: furbacchioni ‘sti pakistani – sembrano sussurrare tutti scotendo la testa – si sono “fatti” l’atomica senza dire niente a nessuno…
Vogliamo continuare con i segreti di Pulcinella? Vogliamo farci – per una volta – raccontare la verità dai Soloni dell’informazione di regime? Tacciono. Va beh, facciamolo noi per l’ennesima volta…
L’atomica pakistana – per la realizzazione della quale c’è stato probabilmente anche un intervento nord-coreano – è la figlia del Dio minore che siede in Consiglio di Sicurezza: senza la Cina, non ci sarebbe mai stata un’atomica pakistana. Dove potevano – i pakistani – trovare “sponda” per costruire l’atomica, se non dalle parti dell’altro grande paese asiatico?
Ci sono già un po’ troppe cose che il Pentagono e la CIA non riescono a sapere per tempo: buttano giù i due più alti grattacieli di New York…i pakistani si fabbricano l’atomica…le contromisure elettroniche di Hezbollah sono più efficienti di quelle israeliane…oh, pronto, Langley, Virginia? Non sarebbe ora di darsi una sveglia?
Magari qualcosa sapevano ma hanno preferito non urlarla ai quattro venti: «Dio quanto è “macho” Musharraf» – probabilmente sussurra Bush mentre passeggia nello Studio Ovale – «quello il pilota lo ha fatto per davvero…mica come me che scappavo a bere nel ranch di Crawford…anche Laura a volte s’incazza e me lo ricorda…se avessi fatto il militare…a volte mi sento così di merda quando devo recitare la parte del comandante in capo…»
Democrazia? “Chi era costui”, pare affermare Bush II Il Giovane parafrasando il miglior Don Abbondio, perché mai dovremmo considerare la democrazia come un ingrediente necessario per avere l’atomica?
Non si può chiedere troppo alla sua razza: si sa che, mentre in Grecia si cercava di dare un senso a termini come “democrazia” ed “atomo”, i suoi antenati mangiavano radici.
E così “ci scappa” l’atomica pakistana, che ha avuto come madrina di battesimo la Cina e forse come padrino proprio la Corea del Nord. Di questo, però, non si può essere completamente certi: mater certa est, pater non semper.
Batti e ribatti, continua a picchiare sul tasto che la Corea del Nord è uno “Stato del Male” e questi si prendono paura: chi non lo farebbe?
I coreani sanno benissimo che gli USA hanno aperto il Vaso di Pandora e vogliono fare i conti con tutti i paesi che reputano “ostili”: cosa ci metterebbero ad inviare una decina di B-2 ed a radere al suolo Pyongyang?
Non c’è molto da radere al suolo in Corea del Nord: solo tanta fame e povertà di un regime assurdo, che non riesce a seguire l’esempio cinese in economia, ma non per questo è disposto a farsi bombardare.
Hanno una vecchia centrale nucleare, la riattivano, arricchiscono l’Uranio e fabbricano l’atomica: per la “consegna” hanno i missili Nodong, Taepodong 1 e 2, sufficienti come deterrente per scoraggiare qualsiasi aggressione.
Veramente, qualcuno crede che Pyongyang desideri attaccare con l’atomica gli USA? Cosa succederebbe il giorno dopo? La Corea del Nord si vedrebbe spostare il limite delle sue acque territoriali dalle parti del Madagascar. Ma non scherziamo con le cose serie.
La “terribile” novità dell’atomica coreana è che sfugge al controllo “congiunto” delle grandi potenze: manda all’aria il loro diritto di veto e le loro palette, così come lo sarebbe quella iraniana.
Il problema non è quindi quello del possesso dell’arma nucleare, ma del potere che essa contiene in termini politici: è giusto che tutte le nazioni del pianeta debbano sottostare a cinque stati che più di 60 anni fa vinsero una guerra? Anche l’Ucraina (allora URSS), il Brasile, la Grecia, la Jugoslavia, ecc vinsero la guerra, ma il diritto di veto possono sognarselo in cartolina.
Come si comportarono quelle nazioni per vincerla?
Il più terribile crimine contro l’umanità rimane sempre il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki – forse se la “giocano” con la Shoà nazista – ma anche con le armi convenzionali, durante la Seconda Guerra Mondiale, gli USA non giocarono ai birilli.
Perché radere al suolo la città di Dresda – priva d’installazioni militari, e questo quando la Germania era praticamente sconfitta – con il lancio studiato a tavolino di migliaia di tonnellate d’esplosivo in modo da creare un colossale “camino” che tutto inceneriva per semplice autocombustione?
Gli abitanti di Dresda cercarono scampo nelle acque del fiume Elba, ma le acque del fiume bollivano, a causa dello Sturm-Feuer causato appositamente e morirono a decine di migliaia.
Un vecchio amico della mia giovinezza – Franz Vogel – mi mostrò tutto ciò che il padre, Hans (prigioniero in Italia), riuscì a recuperare dalla vecchia casa di famiglia a Dresda: due piccoli carillon, ancora parzialmente funzionanti, attaccati a minuscoli brandelli di legno annerito. Era tutto quello che era rimasto dei loro parenti, della loro casa, delle loro vite.
I pessimi maestri non sputino sentenze.
Carlo Bertani
[email protected]
www.carlobertani.it
09.10.06
Note:
[1] Un onorevole su tre fa uso di stupefacenti, prevalentemente cannabis ma anche cocaina: è il risultato di un test eseguito, a loro insaputa, su cinquanta deputati dalle Iene, che ne proporranno i risultati nella prima puntata della nuova serie del programma, in onda martedì 10 ottobre alle ore 21 su Italia Uno.
Il test eseguito con uno stratagemma è il drug wipe, un tampone frontale che, spiega Davide Parenti, capo-autore del programma, “ha una percentuale di infallibilità del 100%”. Il 32% degli ‘intervistati’ è risultato positivo: di questo il 24% (dodici persone) alla cannabis, e l’8% (quattro persone) alla cocaina.
Naturalmente nel servizio-inchiesta non si riconosceranno i volti dei deputati sottoposti al test. Fonte: Affari Italiani – magazine di “Libero”