DI ALESSIO MANNINO
ilribelle.com
Ormai lo capisce anche un elettore di Casini che non abbiamo più sovranità, neppure mezza. Neanche più la libertà di decidere quante tasse estorcerci da soli. Quali e con quali sigle, sì, ma l’ammontare della rapina discende dai calcoli di pochi signori a Bruxelles, Francoforte e nelle piazze finanziarie mondiali. Il nostro governo non aveva più la facoltà di battere moneta da tempo immemore, così come fin dal 1945 non ha nessuna reale indipendenza militare visto che i nostri soldati si muovono soltanto se irreggimentati in missioni di finta pace targate Nato o Onu. L’Euro-gabbia bancaria, con l’euro a fare da guinzaglio e catena, è il compimento di una progressiva e inesorabile occupazione internazionale della nostra Italietta tornata, come agli albori della modernità, serva e complice di famelici stranieri. Il nostro già barzellettesco Stato non batte moneta, di fatto non ha autonomia fiscale, è privo di indipendenza geopolitica e si è consegnato mani e piedi ad una tecnostruttura sovranazionale schiava della speculazione: tecnicamente, non è più in nulla uno Stato sovrano, libero. Una depredazione di sovranità avvenuta in modo indolore, sottile, mascherato, coperto dai falsi ideali dell’atlantismo, del libero mercato e della mistica europeista. Non a nostra insaputa, sia chiaro, ma col nostro consenso o con la nostra indifferenza. Ne stiamo pagando amaramente il fio, che si chiama Monti, dittatura dei mercati, Esm, tassazione usuraia, occupazione come optional, immigrazione senza controllo, oblio della storia e paesaggio sbranato. In una parola: disumanizzazione.
Queste conclusioni ci sono note da tempo. Ma oggi la situazione politica ribolle di spinte sovversive, di frustrazione scoperta, di risentimenti popolari. I padroni del vapore stanno cercando di incanalarla nell’alveo agevolmente controllabile della rabbia contro la sola casta dei politici (scandali regionali), perché si sa, i poltronari e sbafatori a ufo dei partiti sono bersagli facili, i colpevoli perfetti perché minori, più pacchiani, più esposti al pubblico ludibrio. Chi comanda sul serio – l’alta finanza, i banchieri, i fondi privati e sovrani, le multinazionali, i salotti buoni – se ne sta al riparo nel dietro le quinte, difeso da un’immunità ideologica e spesso anche informativa: finisce sui giornali al massimo per qualche eccesso di arroganza o marachella giudiziaria, cadendo regolarmente in piedi, quando non è addirittura lodato coi magnificat come fosse un filantropo e sincero democratico (il modello insuperabile di tartuferia su scala planetaria è lo spietato finanziere George Soros).
E allora dàgli alla cosiddetta “casta” (povere caste indiane, che volgare abuso della vostra antichissima tradizione per colpa dei Stella e Rizzo, i giornalisti orbi di un occhio, l’occhio per l’economia padrona e predona). Giusto, perché quelle mezze cartucce senza merito né onore che grufolano coi nostri soldi nel Palazzo sono parassiti da spazzare via. Ma fare gli indignados contro Proci e porci non può essere l’unica molla di scontento, già la pur monca ondata Occupy in tutto il mondo ha alzato il mirino contro l’élite mondialista del denaro. Come non può continuare ad esserlo la pura e sacrosanta pars destruens su voragini di marcio politico, economico e morale come il debito inestinguibile, la partitocrazia vessatoria, il centralismo idiota, la precarietà esistenziale, la servitù da lavoro, le ingiustizie sociali. Bisogna provare a dire dei sì. Trovare denominatori comuni, nodi irrinunciabili attorno a cui fare quadrato. Per fare cosa? La mia idea personale l’ho già esposta su questo giornale, ed è di cavalcare la tigre del grillismo. Consapevoli di tutti i suoi errori, le sue confusioni concettuali, le sue mancanze programmatiche e i suoi limiti umani e politici (dall’ingenuità media da oratorio delle sue truppe, all’incoerenza, secondo me fisiologica, fra democrazia integrale e verticismo carismatico del duo Grillo-Casaleggio). La politica è movimento, e occorre tener conto delle forze. E oggi, la forza d’attrazione per i ribelli, operanti e potenziali, è trainata dal Movimento 5 Stelle. Lì c’è un campo da poter arare. Escludere a priori la possibilità di agire su di esso e con esso costituirebbe un peccato di snobismo e settarismo tipico di chi si rifiuta il principio di realtà per abbarbicarsi nel proprio sterile microscopico orticello.
Sintetizzo in punti i cardini di un futuribile “programma minimo” della Ribellione.
– Un referendum sull’euro è una buona idea: la parola torni al popolo perché torni ad essere sovrano. Ma per dire NO all’Eurocrazia. Il sistema monetario europeo andrebbe radicalmente rifondato. Non essendo possibile farlo, lo Stato nazionale, attualmente depositario delle sovranità popolari, deve poter riprendersi il potere di emissione e circolazione delle moneta. Il ritorno alla valuta nazionale dovrebbe farsi a due condizioni: un’uscita regolamentata e organizzata in modo da alleviare le prime conseguenze negative, e un riassetto radicale della gestione monetaria, a partire dalla proprietà pubblica della nuovo divisa nazionale.
– Restare in Europa senza impiegare l’euro: in teoria, come fanno da sempre Gran Bretagna e Danimarca, si può, ma non ce lo concederanno mai. Posto che la battaglia va combattuta comunque, non può non essere completata con una proposta di riorganizzazione dell’Unione Europea. Niente Stati Uniti d’Europa o americanate simili: il continente ha la storica peculiarità delle identità locali da difendere. Euro-regioni autonome (amministrazione, buona parte del fisco, polizia ecc) dunque, con le vecchie nazioni a fare da cornici intermedie con competenze ridotte. Monete regionali complementari al neo-euro. Un governo europeo con poteri di politica estera e militare con una Dieta federale, entrambi espressioni delegate delle euro-regioni. Nel frattempo, in ogni caso, si recuperi la statualità nazionale ragionando all’interno di essa, che pur in crisi resta l’unico baluardo di resistenza alla globalizzazione e ai suoi moloch (Fmi, Wto ecc).
– Il metodo di autogoverno preferibile è la democrazia diretta in ambito locale, con una parte di delega rappresentativa limitata all’essenziale (come in Svizzera e più della Svizzera). Nel breve-medio termine, ricorrere ai mezzi offerti dalle istituzioni per cambiarle con la guerriglia interna.
– Il lavoro e l’economia non possono essere i fini dell’esistenza, ma tornare ad essere strumenti. Non la crescita infinita e fine a sé stessa, ma il reddito minimo di vita dev’essere l’obbiettivo di una politica economica finalmente umana. Riappropriandosi della moneta, togliendo alle banche l’esazione occulta dell’interesse rimodulando il circolante (non più liquidità speculativa, ma scambi tramite moneta deperibile e garantita da camere locali di compensazione), rinegoziando il debito estero, si potrebbe metter mano al mercato della manodopera in modo che sia sottratto alle piovre capitaliste.
– L’architettura istituzionale, coerentemente con l’aspirazione all’autogoverno più vicino possibile alla dimensione comunitaria, dovrà essere giocoforza federale. Questo anche deriva dal bisogno di rimettere radici, di riscoprire i caratteri ancora vivi e vivificanti delle tradizioni, ridare alla vita del singolo ritmi e condizioni a sua misura e del contesto naturale in cui vive (ottica bioregionale).
– Il soggetto politico per attuare soluzioni di così lungo termine non può che dirsi, proporsi ed essere palingenetico, radicale, rivoluzionario. Massimo pragmatismo sul qui e ora, ma nessuna concessione teorica sull’obbiettivo finale: rimettere al centro l’Uomo, concreto, storico, in carne e ossa, spirituale e vivaddio irrazionale, con le sue esigenze interiori di stabilità e armonia, i suoi giusti orgogli d’appartenenza e la sua santa animalità, irriducibile alle statistiche truffatrici e astrattezze schiavizzanti dell’ideologia finanziaria.
È solo un abbozzo, spero non sia un aborto. Vorrei che mi contestiate, mi critichiate, mi diciate che ho torto o ragione, purché concordiate con me sulla necessità di poggiare i piedi per terra non dimenticando che chi lotta davvero (io lo faccio con la penna, almeno per ora) guarda verso il cielo.
Alessio Mannino
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ottobre 2012
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