DI CARLO BERTANI
Ieri sera ho guardato Anno Zero: erano mesi che non lo facevo più, e che risparmiavo d’incazzarmi. Peggio per me.
Quello che mi ha fatto trasalire è stata la nonchalance con la quale hanno sorvolato – tutti – d’approfondire l’immonda questione del petrolio lucano. Non so se ne ha parlato Travaglio in apertura, perché quando ho acceso il televisore il programma era già iniziato.
Si viene così a sapere che i lucani ricevono soltanto il 7% dei proventi petroliferi: qui, San Toro afferma che “nessuno paga il petrolio così poco”. Il che, è vero solo in parte. Qualcuno potrebbe pensare che il 7% sia poco…magari il 10% no…insomma: la maggioranza degli italiani conosce poco la ripartizione dei proventi petroliferi e, un programma serio, su un aspetto così importante non doveva sorvolare.
Soprattutto, perché c’è un precedente che sarebbe stato giusto raccontare. Lo farò io.
Siamo nell’Iran del primo dopoguerra: il giovane Scià Reza Phalavi è più dedito alla joie de vivre ed alle belle donne che alle cure dello Stato, d’altro canto può ben fidarsi del suo Primo Ministro, Mohammad Mossadeq.
Mossadeq fa parte dell’intellighenzia iraniana: è un avvocato che ha studiato in Svizzera, un liberale, ma anche un nazionalista nel senso migliore del termine, ossia una persona attenta ai bisogni della nazione.
Il suo problema è la compagnia d’estrazione petrolifera nazionale che – di veramente nazionale – ha ben poco, visto che si chiama Anglo-Iranian Oil Company. Lo strano connubio si spiega subito citando la ripartizione dei proventi petroliferi: il 6% alla parte “Iranian” ed il rimanente 94% alla “Anglo”.
Mossadeq chiede più volte agli inglesi di rivedere gli accordi – vorrebbe che le paghe degli operai iraniani fossero aumentate, e che da quel 94% uscissero fondi per sanità ed istruzione – ma gli inglesi rispondono picche.
Come si può notare, non è un pericoloso castrista a chiederlo, ma un signore composto, profondamente religioso e misurato nei gesti e nelle parole.
Le persone poco appariscenti sono a volte le più decise: all’ennesimo rifiuto inglese, nell’Ottobre del 1951 Mossadeq nazionalizza la compagnia petrolifera e manda i britannici a quel paese.
Gli inglesi, ovviamente, non la prendono molto bene, ma possono fare ben poco: la potenza britannica è in declino e, pochi anni dopo, si sarebbe ritirata definitivamente dai mari “ad est di Suez”. Finito? Ma per carità…
Quando non ci arriva Londra, ecco che giungono in aiuto i “cugini” americani, con i quali – decenni dopo – pattuglieranno le strade della Mesopotamia per rapinare il petrolio iracheno.
Eisenhower, dapprima, sottovaluta la situazione e ritiene che basti rivolgersi ad alcuni ufficiali della Guardia Imperiale (addestrati negli USA) per “sistemare” la faccenda. Ha sottovalutato Mossadeq e, soprattutto, la sua “sintonia” con le gerarchie dell’islam sciita.
L’ayatollah Kashani – suprema guida degli sciiti iraniani all’epoca – riesce a conoscere anzitempo il piano del colpo di stato, ed avverte Mossadeq: il golpe fallisce.
In quel periodo, lo schivo Mossadeq viene ricevuto al Cairo in pompa magna, come gran difensore dei diritti dei poveracci che siedono sui giacimenti petroliferi. Ne trovassero uno in Lucania.
Per Washington, la misura è colma e non si può tollerare un simile affronto: nel 1953, viene inviato in Iran il generale Norman Schwarzkopf – che aveva curato l’addestramento della Guardia Imperiale Iraniana – il quale giunge a Teheran – come ricorda Igor Man in un’intervista – con parecchi sacchi di dollari”.
Nell’Agosto del 1953, per Mossadeq non c’è scampo: grazie ad un provvidenziale avviso, ricevuto ancora una volta dall’ayatollah Kashani, riesce a fuggire nella sua città natia ed a ritirarsi a vita privata. Gli “imperiali” non osano “recapitargli” a domicilio quel che era previsto a Teheran, ossia una “visita” al suo ufficio con raffiche di mitragliatrice e bombe a mano per toglierlo di mezzo.
Si torna così all’antico, al “94 a me e 6 a te, e stai ben zitto”: la soluzione, in definitiva, sarà una delle ragioni della caduta dello Scià. Con scarsi introiti, ed una casta militare sempre più corrotta e famelica da accontentare, Khomeini ne avrà ragione nel 1979.
Subito dopo la rivoluzione del 1979, in ogni modo, uno dei primi atti pubblici del nuovo governo sarà una colossale processione – circa un milione di persone – alla tomba di Mossadeq (che, nel frattempo, era morto di cancro), per testimoniare un legame che trascendeva i decenni, ossia la difesa di un bene iraniano dalla protervia occidentale.
Se qualcuno rimembrasse per caso un altro Norman Schwarzkopf, ed avesse ingenerato una sorta di caos temporale, ricordiamo che il “macellaio” dell’operazione “Desert Storm” del 1991 fu Norman Schwarzkopf II, ossia il figlio di cotanto padre. In definitiva, dopo Bush I Il Vecchio e Bush II Il Giovane, non c’è da stupirsi: buon sangue non mente.
In effetti, l’unico che – in modo assolutamente inconsapevole ma appropriato – ha centrato l’argomento è stato Vauro in una sua vignetta, nella quale il dialogo recitava: “Sai che c’è il petrolio in Basilicata?” “Non dirlo agli americani, altrimenti ci portano la democrazia”. E’ proprio vero che è il gran momento dei comici.
E torniamo in Basilicata, dove l’ENI si “sbraga” nel concedere un misero 1% in più rispetto a quello che accordavano gli inglesi agli iraniani nel 1950. Grazie, Scaroni: ci prosterniamo, eternamente riconoscenti.
Peccato che un tuo augusto predecessore – Enrico Mattei – sostenesse che i proventi petroliferi vanno divisi a metà fra paese produttore e compagnia petrolifera.
Mattei sbagliava, perché il 50% in mano alle compagnie è ancora troppo: forse, se avessero ricevuto solo il 7%, non avrebbero trovato i denari per comprare la bomba che lo fece fuori.
In realtà, la situazione lucana è ancora peggiore, perché a gestire quel misero 6% – nell’Iran del 1950 – c’era un onesto servitore dello Stato come Mossadeq, mentre oggi quel 7% viene “devoluto” ai politici locali, che lo utilizzano – ovviamente – a “fin di bene”. Usandolo per raccogliere voti e consensi, nelle mille camarille politiche locali.
Mi fa specie che nessuno abbia citato questo illustre precedente, perché avrebbe illuminato di giusta luce la vicenda: cari lucani, l’ENI e lo Stato vi considerano né più e né meno che ascari, truppe coloniali, alle quali elargire il “soldo”. Se fate i bravi. Se vi mettete a protestare, è pronto il “modello TAV” dei manganelli, oppure vi affameranno come sono abilissimi a fare i nostri politici, di destra e di sinistra.
Pazienza che non lo sapesse l’operaio della Thyssen, che sarà solo lo specchietto per le allodole nel nuovo PD, oppure il “nobil rampollo” Colaninno, in altre faccende affaccendato, ma c’erano in studio un noto sindacalista, attualmente Presidente della Camera dei Deputati ed un docente d’Economia, che è stato più volte Ministro della Repubblica.
Possibile che Bertinotti e Tremonti non sapessero nulla? Che non saltasse loro agli occhi che i lucani, oggi in Italia, sono trattati peggio degli iraniani dalle compagnie coloniali inglesi del 1950? Comprendiamo che la vicenda non sia proprio conosciuta da tutti, ma a quei livelli non si può ammettere una simile mancanza d’istruzione, perché getta le basi per nuovi tradimenti. O ignoranti o reticenti: scegliere.
Non saprei quale delle due ipotesi sia quella giusta, però so per certo che – proprio in questi giorni – il Ministero dell’Economia incamererà i dividendi per le azioni in suo possesso di ENI ed ENEL. Sono circa 3 miliardi di euro, approssimativamente 2 da ENI ed uno da ENEL. Qui, i due non devono scegliere: basta incassare.
Anche i lucani hanno una sola scelta: si possono incazzare.
Carlo Bertani
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6.03.08
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