DI SERGIO DI CORI MODIGLIANI
Libero pensiero
Non c’è nessuna crisi, nè all’orizzonte nè al presente.
Dice la nostra brava wikipedia: “crisi (dal greco κρίσις, decisione) è un cambiamento traumatico o stressante per un individuo, oppure una situazione sociale instabile e pericolosa”.
Quindi, in Italia, non c’è alcuna crisi, se non per i singoli individui.
Lo spiega molto bene, con micidiale sintesi, il Nobel per l’economia Paul Krugman, in un suo recente articolo apparso sul New York Times il 17 settembre 2013, che qui trovate per intero, nel caso vi interessi: http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/09/17/this-is-not-a-crisis/ dove parla degli Usa, si intende.
Vale ancora di più per l’Italia. La crisi c’è in Grecia, in Portogallo, in Spagna, in Irlanda.
Sono tutte nazioni della Unione Europea e sono tutte nazioni che hanno l’euro come moneta.
Sono tutte nazioni in crisi.
In Portogallo sono almeno tre mesi che manifestano ogni santo giorno per le strade e la situazione sociale è davvero instabile e pericolosa. Così come lo è in Grecia, travolta dall’austerità ma anche dagli scioperi in massa, e dal rigurgito dell’inevitabile fascismo violento dell’estrema destra. A tal punto da mettere il governo greco nelle condizioni di applicare delle “immediate misure di emergenza per l’ordine pubblico” dando precise e specifiche disposizioni per far arrestare ben quattro deputati eletti in parlamento, di cui due in diretta televisiva mentre stavano per parlare, portati via in manette. Le loro leggi, in materia di incolumità parlamentare e salvaguardia dei diritti per gli eletti, sono uguali alle nostre, ma -per l’appunto, lì c’è la crisi- sono state fatte valere misure immediate eccezionali come conseguenza di “uno stato di emergenza nazionale” per evitare il rischio di una guerra civile annunciata. In Irlanda il governo è riunito, praticamente in seduta permanente, nell’estremo tentativo di trovare una rapida soluzione ai problemi economici della nazione, dato che negli ultimi due mesi sono ricomparsi nuclei di nuova generazione del terrorismo irlandese e la gente è ritornata in piazza a manifestare. In Spagna, il movimento degli indignados ha obbligato a furor di popolo le centrali sindacali della Ugt a fare delle pressioni talmente massicce sul governo da costringere ob torto collo Rajoy a far varare delle “leggi speciali ad hoc” che hanno imposto alle banche locali, quelle che avevano usufruito dei fondi europei, di mettere “immediatamente” a disposizione delle imprese (e delle start up di giovani) risorse sufficienti a creare subito lavoro e occupazione. Il governo spagnolo si è mosso repentinamente ad agosto per evitare smottamenti e l’esplosione sociale del malcontento popolare.
In Italia non esiste alcuna crisi.
Forse non c’è neppure la crisi di governo.
C’è una crisi di nervi di singole persone, come ben specifica wikipedia, il che è un’altra cosa.
Ma al governo non interessa.
Non c’è nessuna crisi nell’industria, nè tantomeno c’è una crisi nel mondo imprenditoriale: è una balla.
Se ci fosse la crisi, questa mattina alle ore 9, all’apertura delle borse, il Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, importante industriale, avrebbe convocato una conferenza stampa e, rinunciando alle sue consuete irritanti melensaggini, avrebbe fatto la seguente dichiarazione: “Il 20 marzo del 2013, in conseguenza di un precedente colloquio avuto con me il 10 marzo, l’allora presidente del consiglio uscente, prof. Mario Monti, ancora in carica per espletare le funzioni amministrative correnti, mi aveva dato la sua parola d’onore, nonchè ampie rassicurazioni, che di lì a brevissimo tempo, non oltre le due settimane, avrebbe messo a disposizione almeno 40 miliardi di euro per pagare i debiti della Pubblica Amministrazione ai creditori, cioè i titolari delle piccole e medie imprese in difficoltà. La cifra corrispondeva al 30% della somma totale, pari a 120 miliardi di euro. Ma era qualcosa di sostanziale, e ci faceva ben sperare. Il 6 aprile, il prof. Mario Monti, dichiarò di averle messe a disposizione. Non è accaduto nulla. Il 30 aprile del 2013, subito dopo il ritorno da Bruxelles, i neo eletti Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni mi diedero ampie rassicurazioni che avrebbero immediatamente messo a disposizione 40 miliardi di euro per le imprese che vantavano crediti ed erano in difficoltà. Il Ministro del Tesoro, dieci giorni dopo, mi convocò e mi spiegò che -data la situazione politica grave che imponeva l’abolizione delle entrate dell’Imu- quella cifra sarebbe stata versata in due tranches, una immediata dell’ordine di 20 miliardi di euro entro il 24 giugno del 2013, l’altra, per altri 20 miliardi di euro, entro e non oltre il 30 settembre 2013, avviando una specifica commissione di verifica e controllo che avrebbe lavorato dal giorno dopo per stabilire la correttezza identificativa delle aziende creditrici, evitando quindi sperperi ed errori. In data 7 settembre 2013, il presidente del consiglio mi comunicò che la commissione non era stata in grado di svolgere la propria mansione perchè travolta dalla “questione Berlusconi” e che comunque avrebbero versato 20 miliardi entro la fine del 2013 e altri 20 spalmandoli entro il 2014. Data la situazione attuale, non godendo l’attuale governo in carica di nessuna forma nè di credibilità nè di attendibilità, poichè i patti sanciti sono stati violati, e poichè è mio dovere, in quanto rappresentante dell’industria che lavora e produce, salvaguardare e difendere uno stato di necessità, dichiaro aperta una formale protesta attiva da parte di tutte le aziende iscritte a Confindustria, che, da domani, o non apriranno più le proprie fabbriche oppure non verseranno più l’Iva”.
Questa è una crisi.
Oppure, altra variante: i più importanti industriali iscritti in Confindustria licenziano in tronco Giorgio Squinzi perchè inadatto, inefficiente e inefficace e lo sostituiscono con un altro che eleggono in assemblea plenaria in diretta televisiva da Viale dell’Agricoltura a Roma.
Così il paese capisce che c’è una crisi economica e sociale in atto.
Macchè.
Quindi, vuol dire che se lo possono permettere. Perchè non c’è la crisi.
Lo stesso identico parametro va applicato alla Camusso, al Bonanni, all’Angeletti, in quanto segretari delle tre più importanti confederazioni sindacali, la GIL, la CISl, la UIL, esigendo l’immediato varo del cosiddetto “piano lavoro per la crescita e l’occupazione” presentato in pompa magna in data 20 maggio 2013 con applausi da parte dei sindacati che allora dissero “siamo sulla buona strada”.
Anche in questo caso si deduce che i lavoratori sindacalizzati non sono in crisi e non esiste una crisi economica del lavoro. Altrimenti avrebbero fatto come gli spagnoli, i greci, gli irlandesi e gli statunitensi. Oppure, avrebbero licenziato la Camusso, l’Angeletti e il Bonanni insieme allo Squinzi.
Non c’è neppure una crisi finanziaria.
Il Ministero del Tesoro vantava un credito di 98 miliardi di euro dai concessionari del gioco d’azzardo. Ha accettato di ridurlo a 1 miliardo e 600 milioni. Il 2 agosto 2013, il Ministro del Tesoro Saccomanni ha annunciato di aver ridotto quella cifra a 600 milioni. Quindi, vuol dire che lo Stato se lo può permettere.
Visto che può permetterselo, vuol dire che non c’è crisi.
La ragioneria di Stato ha dato specifiche disposizioni per spostare alle regioni una cifra che si aggira intorno a 200 milioni di euro supplementari, da attribuire a specifiche fondazioni culturali, come ad esempio quella dell’on. Renato Brunetta al quale la Regione Campania ha elargito 2,5 milioni, l’Università privata Luspio presieduta da Quagliarello, la fondazione di Amato, quella di D’Alema, la fondazione Mondadori, quella di Alfano, ecc.,ecc. Visto che lo Stato se lo può permettere, vuol dire che non c’è la crisi.
Non c’è neppure la crisi delle sovvenzioni culturali, visto che dieci giorni fa il governo ha emanato una misura “immediata di emergenza” per mettere a disposizione da subito 5 milioni di euro per il MAXXI, museo romano, immettendo anche la spesa dei dirigenti. Per non parlare di altri 24 milioni di euro che sono stati messi a disposizione per un numero di cooperative teatrali e culturali pari a circa 2,500 e spero che almeno se li siano meritati. Quindi, siccome lo Stato può permetterselo, vuol dire che non c’è la crisi.
L’attuale governo, dopo aver analizzato la spending review, ha deciso di non toccare neppure uno dei 25,256 enti e società inutili che complessivamente danno lavoro a circa 275.000 persone che non fanno nulla perchè non c’è nulla da fare nella loro ragione sociale, e che costano al contribuente circa 10 miliardi di euro all’anno. Tra questi, per dirne solo due, c’è la società che deve programmare lo studio per costruire il ponte di Messina e quella nata per promuovere la città di Roma come sede olimpionica nel 2020, mantenuta nonostante il ritiro della candidatura voluto da Mario Monti (per un guizzo di lucidità) e l’attribuzione della sede sia stata già decisa lo scorso 30 agosto a Buenos Aires: ha vinto Tokyo. L’ente che promuove questo obiettivo surreale seguita a essere operativo e si pensa ad una candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024. Il che vuol dire che se lo Stato italiano se lo può permettere, non c’è nessuna crisi.
Due anni fa, il primo ministro canadese telefonò di persona a Obama e gli disse che avevano annullato tutte le commesse per gli F35 “non ce lo possiamo permettere, è una questione di priorità del budget”. Fu diplomatico ed elegante, ma la rete -si sa- è canaglia. L’anno scorso c’è stato un piccolo incidente diplomatico perchè il premier canadese, a una festa ufficiale, si era fatto sfuggire che quegli aerei sono “delle vere carabattole che neppure funzionano bene, hanno fallito tutti i test”. Il nostro governo, invece, ha stanziato la cifra di svariati miliardi di euro per acquistarli. Quindi se lo può permettere, quindi non c’è crisi.
Nel maggio del 2012, Mario Monti, in qualità di premier, chiamò Bondi e gli affidò la redazione accurata della spending review. Venne effettuata presso tutti i ministeri, tranne uno, quello della Difesa. L’allora ministro in carica, ammiraglio Di Paola, spiegò a Monti che, data la delicatezza del dicastero (il nome lo giustifica, dato che si occupa di difenderci) l’analisi dei costi la voleva effettuare lui personalmente con i suoi consulenti scelti. Monti accettò. Il fatto è che quel ministro era molto particolare. Era la prima volta nella storia della Repubblica che c’era alla Difesa una persona competente e meritevole, dato che si trattava di un generale di corpo d’armata che era stato comandante generale della Nato a Bruxelles. Aveva trascorso i precedenti 24 anni in Belgio, lavorando con inglesi, norvegesi, olandesi e tedeschi. E quindi aveva assunto una visione militare pragmatica ed efficiente. Da bravo militare diligente fece un ottimo lavoro e alla fine di ottobre lo presentò: 286 pagine fitte fitte dalle quali si evinceva che l’Italia era il secondo paese al mondo, dopo la Corea del Nord, per il numero di generali in attività e aveva il più alto numero di generali e alti ufficiali in pensione (tutte d’oro si intende) in tutto l’occidente; nel pianeta era secondo soltanto alla Russia, la quale, se non altro, è una fortissima potenza militare e imperialista, quindi ha una giustificazione. Non solo. Il nostro bravo ministro identificò 25,680 “esuberi”, ovvero personale assunto al ministero, ciascuno dei quali aveva assunto la media di 4 consulenti personali a regime completo per un totale di 104.900 persone più o meno inutili che costavano al contribuente la cifra di circa 10 miliardi di euro all’anno. Andavano licenziati tutti, e subito, secondo lui. Era anche spiritoso, il nostro generale. Disse a Monti: “In Italia abbiamo gli esodati, ebbene, vorrà dire che da domani avremo gli essoldati”. Consegnò lo studio e se ne ritornò nel suo ufficio. Un mese dopo Monti gli spiegò che non si poteva toccare neppure una persona. Ma il generale era un militare e gli ordini se li faceva dare soltanto da altri militari. Inviò il plico alla commissione europea, una copia alla Troika, e infine una al comando generale operativo della Nato a Bruxelles, chiedendo ragguagli. Tutti gli diedero ragione, con applausi. Non solo. La Nato specificò che la nuova strategia militare comportava una riduzione di personale inevitabile: glielo diedero come ordine. Ritornò da Monti. Insorse un certo Ignazio la Russa, l’angelo custode di quei signori inutili, da lui assunti. Finì che cadde il governo, il nostro generale eliminato dalla scena politica, obbligato al pre-pensionamento. Si è ritirato a vita privata. Si deduce che, se lo Stato può permettersi di spendere 10 miliardi di euro all’anno per mantenere personale inutile alla Difesa allora vuol dire che la crisi non esiste.
Potrei continuare, ahinoi.
Per parlare degli evasori, grandi e medi, i costi della politica (o meglio, dei politici) le auto blu, le guardie del corpo per mitomani dato che in Italia risultano circa 24.000 persone che ne usufruiscono, la maggior parte delle quali esseri anonimi, persone sconosciute, note soltanto ai loro parenti, ai loro cari e alle loro clientele, quindi non soggetti a nessuna forma nè di rischio nè di pericolo. Ebbene, se sommiamo l’intera spesa statale inutile arriviamo a una cifra annua complessiva intorno a svariate centinaia di miliardi di euro.
Quindi non c’è nessuna crisi economica.
E’ una balla.
E’ la semplice idea operativa di una classe politica dirigente che ha un gigantesco esercito: sono i 4.235.800 cittadini assunti in pianta stabile grazie alla malleveria partitica, la maggior parte dei quali senza alcun merito nè competenza tecnica specifica e adeguata, che sono disponibili a farsi scannare affinchè rimanga lo status quo e non cambi nulla. Lavorano di continuo per i partiti, anche senza saperlo. Rappresentano il 7% della popolazione italiana. Questa piccola percentuale ha sequestrato il restante 93% che lavora, paga le tasse e -quelli sì per davvero!!- vivono sulla propria pelle la crisi. E la cupola mediatica appartiene a questa categoria di affiliati per far sì che si parli di una crisi che non c’è.
Gli italiani, ormai risucchiati nel vortice, pensano che “la loro personale crisi” (che è reale) sia condivisa anche e soprattutto dal governo, dai sindacati, dalla Confindustria, dai ministri, dagli esponenti di partito.
Non è condiviso un bel niente.
Eppure non riescono a ribellarsi.
Forse perchè, in fondo in fondo, nel proprio cuore da provinciali piccolo-borghesi, pur sapendo come stanno le cose, preferiscono darsi da fare per riuscire a entrare in quel 7% piuttosto che rialzare la schiena, recuperare una dignità nazionale civica, ma soprattutto una dignità esistenziale per non trovarsi un giorno a farsi sputare in faccia dai propri figli che diranno loro: “tu padre, tu madre, perchè non hai fatto nulla per impedire che ciò accadesse?”.
Chi non si ribella, oggi, è un cattivo padre.
Chi non si ribella, oggi, è una cattiva madre.
Il primo passo consiste nella ricostruzione semantica interiore del significato di “tengo famiglia” usato ancora oggi come squallida giustificazione per poter essere corrotti, praticare l’illegalità e sostenere i criminali.
Il nuovo “tengo famiglia” (teniamocelo pure come autentico mantra antropologico nostrano) deve partire dall’idea che proprio perchè ai nostri figli ci teniamo, abbiamo il dovere di mandare a casa l’intera classe politica dirigente e imprenditoriale, e lo dobbiamo fare quanto prima possibile, altrimenti, essendo dei parassiti, finiranno per succhiare sangue, linfa, sogni e ambizioni ai nostri figli.
Magari ci fosse la crisi!
Una vera crisi comporta cambiamenti, opportunità, risveglio, tensione.
Beninteso, con strumenti democratici.
Ma l’Italia dorme, narcotizzata.
Fate qualcosa.
Facciamo qualcosa.
Dobbiamo aprire la crisi.
Dobbiamo andare tutti in crisi.
La crisi vera.
Il vero problema del paese è esattamente l’opposto di quanto vogliono farci credere.
Facciamo scoppiare la crisi di un sistema marcio e decrepito, macabro e necrofilo, per avviare la rifondazione di un paese normale.
Sergio Di Cori Modigliani
Fonte: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/
Link: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/09/magari-ci-fosse-la-crisi-come-ti.html
30.09.2013