La redazione non esercita un filtro sui commenti dei lettori, a meno di segnalazioni riguardo contenuti che violino le regole.

Precisa che gli unici proprietari e responsabili dei commenti sono gli autori degli stessi e che in nessun caso comedonchisciotte.org potrà essere considerato responsabile per commenti lesivi dei diritti di terzi.

La redazione informa che verranno immediatamente rimossi:

Messaggi che entrano automaticamente in coda di moderazione per essere approvati prima di pubblicarli o vengono sospesi dopo la pubblicazione:

Nota: se un commento entra in coda di moderazione (e quindi non appare immediatamente sul sito), è inutile e dannoso inviare di nuovo lo stesso commento, magari modificando qualcosa, perché, in questo caso, il sistema classifica l’utente come spammer e non mostra più nessun commento di quell’utente.
Quindi, cosa si deve fare quando un commento entra in coda di moderazione? bisogna solo aspettare che un moderatore veda il commento e lo approvi, non ci sono altre operazioni da fare, se non attendere.

Per qualsiasi informazione o comunicazione in merito, scrivere alla redazione dal modulo nella pagina dei Contatti

Una persona può avere un solo account utente registrato nel sito.

Commentare con utenti diversi è una pratica da trolls e vengono immediatamente bannati tutti gli utenti afferenti ad un’unica entità, senza preavviso.

SANZIONI IN CASO DI VIOLAZIONE DEL REGOLAMENTO STABILITE DALLA REDAZIONE CDC:

1) Primo avviso da parte del moderatore (in rappresentanza della redazione) e cancellazione del commento.

2) Secondo avviso da parte del moderatore (in rappresentanza della redazione) e conseguente ammonizione: l’account del commentatore verrà sospeso temporaneamente per 72 ore previo avviso individuale

3) Terzo avviso da parte del moderatore (in rappresentanza della redazione) e conseguente blocco dell’account con l’impossibilità permanente di accedere al portale web

Consigliamo caldamente di leggere anche la pagina delle F.A.Q. le domande frequenti e la nostra Netiquette

La Redazione

 

I piu' letti degli ultimi 7 giorni

I piu' letti degli ultimi 30 giorni

MADE IN BANGLADESH (IL CAPITALISMO DEL TERRORE)

blank
A cura di Davide
Il 1 Maggio 2013
39 Views

DI VIJAY PRASHAD
counterpunch.org

Mercoledì 24 Aprile, il giorno dopo che le autorità bengalesi hanno chiesto ai proprietari di evacuare la loro fabbrica di indumenti che dava impiego a quasi tremila lavoratori, l’edificio è crollato. L’edificio, Rana Plaza, situato nel sobborgo Dhaka di Savar, produceva vestiti per la catena di prodotti che si estende dai campi di cotone del Sud Asia attraverso i lavoratori e le macchine del Bangladesh fino ai punti vendita nel mondo occidentale. Molti marchi famosi erano cuciti quì (tra le aziende italiane la Benetton, ndr), così come lo sono i vestiti che sono appesi agli scaffali satanici di Wal-Mart. I soccorritori sono stati in grado di salvare duemila persone da quando questo articolo è stato scritto, confermando che oltre trecento sono morti.I numeri finali sono destinati a crescere. Vale molto la pena menzionare che il bilancio delle vittime nell’incendio dell’industria Triangle Shirtwaist a New York del 1911 era 146. Il bilancio delle vittime qui è già due volte tanto. Questo “incidente” arriva 5 mesi dopo (24 Novembre 2012) l’incendio della fabbrica di indumenti Tazreen che ha ucciso almeno 112 lavoratori.

La lista degli “incidenti” è lunga e dolorosa. Nell’Aprile 2005, è crollata una fabbrica di indumenti a Savar, uccidendo 75 lavoratori. Nel Febbraio 2006, un’altra fabbrica è crollata a Dhaka, uccidendone 18. Nel Giugno 2010, un edificio è crollato a Dhaka, uccidendone 25. Queste sono le “fabbriche” della globalizzazione del ventunesimo secolo -rifugi costruiti poveramente per un processo di produzione assemblato attraverso lunghe giornate lavorative, macchinari di terza mano, e lavoratori le cui stesse vite sono sottomesse agli imperativi della produzione just-in-time.

Nello scrivere riguardo al regime di fabbrica in Inghilterra durante il diciannovesimo secolo, Karl Marx ha evidenziato “Ma il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro di plusvalore, scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici. Usurpa il tempo necessario per la crescita, lo sviluppo e la sana conservazione del corpo. Ruba il tempo che è indispensabile per consumare aria libera e luce solare…
Lesina sul tempo dei pasti e lo incorpora, dove è possibile, nel processo produttivo stesso, cosicché al lavoratore viene dato il cibo come a un puro e semplice mezzo di produzione, come si dà carbone alla caldaia a vapore, come sego ed olio alle macchine. Riduce il sonno sano che serve a raccogliere, rinnovare, rinfrescare le energie vitali, a tante ore di torpore quante ne rende indispensabili il riavviamento di un organismo assolutamente esaurito.”
(Il capitale, capitolo10).

Queste fabbriche del Bangladesh sono parte del paesaggio della globalizzazione che è imitato nelle fabbriche lungo il confine USA-Messico, ad Haiti, in Sri Lanka, e in altri posti che hanno aperto le loro porte all’uso furbo delle industrie di indumenti del nuovo ordine di produzione e di commercio degli anni 90. Nazioni silenziose che non avevano né la volontà patriottica di combattere per i propri cittadini né alcuna preoccupazione per la debilitazione a lungo termine del loro ordine sociale sono corse a dare il benvenuto alla produzione di indumenti.

I grandi produttori di indumenti non volevano più investire in fabbriche – sono diventati sub-appaltatori, offrendo margini molto ristretti di profitto e quindi forzando a dirigere le fabbriche come campi di prigionia del lavoro. Il regime del sub-appalto ha permesso a queste aziende di negare ogni colpa per quello che era fatto dai reali proprietari di queste piccole fabbriche, permettendo loro di godere dei benefici di prodotti economici senza avere le loro coscienze macchiate dal sudore e dal sangue dei lavoratori. Ha anche permesso ai consumatori nel mondo occidentale di comprare una vasta quantità di merce, spesso con un consumo finanziato dal debito, senza preoccuparsi dei metodi di produzione. Uno scoppio occasionale di sentimenti liberali si voltava contro questa o quella compagnia, ma non c’era una complessiva rivalutazione del modo in cui i tipi di bene della catena di Wal-Mart hanno fatto normali i generi di pratiche di affari che hanno provocato questa o quella compagnia.

I lavoratori del Bangladesh non sono stati così proni come i consumatori nel mondo occidentale. Già nel Giugno 2012, migliaia di lavoratori nella zona industriale di Ashulia, fuori Dhaka, hanno protestato per salari maggiori e migliori condizioni di lavoro. Per giorni e giorni, questi lavoratori hanno chiuso 300 fabbriche, bloccando l’autostrada Dhaka-Tangali a Narasinghapur. I lavoratori guadagnano fra i 3000 taka (35$) e i 5.500 taka (70$) al mese; essi volevano un aumento fra i 1500 taka (19$) e 2000 taka (25$) al mese. Il governo ha mandato tremila poliziotti per sorvegliare il luogo, e il primo ministro ha dichiarato, con offerte per calmare gli animi, che avrebbe affrontato a fondo il problema.
Fu istituito un comitato di 3 membri, ma niente ne uscì di sostanziale.

Cosciente della futilità di negoziati con un governo subordinato alla logica della catena di produzione, a Dhaka è esplosa la violenza con l’emergere di sempre più notizie dall’edificio Rana. I lavoratori hanno chiuso l’area della fabbrica intorno a Dhaka, bloccando le strade e colpendo le auto. L’ottusità della Bangladesh Garment Manufacturers Assotiation (BGMEA), aggiunge fuoco alla rabbia dei lavoratori. Dopo le proteste a Giugno, il capo della BGMEA Shafiul Islam Mohiuddin ha accusato i lavoratori di essere coinvolti in “qualche tipo di cospirazione”. Ha spiegato che non c’è “nessuna logica per aumentare i salari dei lavoratori”. Questa volta il nuovo presidente della BGMEA Atiqul Islam ha suggerito che il problema non era la morte dei lavoratori o le condizioni misere nei quali i lavoratori lavorano ma “il disordine nella produzione è dovuto a agitazioni e hartals (scioperi)”. Questi scioperi, ha detto, sono “solo un altro colpo pesante al settore tessile”. Non c’è da stupirsi se coloro che hanno occupato le strade hanno così poca fiducia nei sub-appaltatori e nel governo.

I tentativi per cambiare significativamente la condizione dello sfruttamento sono stati sventati da una pressione coordinata del governo e dai vantaggi del delitto. Qualunque decenza si nasconda nel Labour Act del Bangladesh viene eclissata da un debole rafforzamento da parte del Inspections Department del Ministero del Lavoro. Ci sono solo 18 ispettori e assistenti per monitorare 100.000 fabbriche nell’area di Dhaka, dove sono situate la maggior parte delle fabbriche di indumenti. Se viene riscontrata un’infrazione, le multe sono troppo basse per generare qualunque riforma. Quando i lavoratori provano a formare unioni, la dura risposta dall’amministrazione è sufficiente a ridurre i loro sforzi. L’amministrazione preferisce le esplosioni anarchiche di violenza al fermo consolidamento del potere dei lavoratori. Di fatto, la violenza ha portato il governo del Bangladesh a creare una Crisis Management Cell e una Polizia Industriale non per monitorare le violazioni delle leggi lavorative, ma per spiare gli organizzatori dei lavoratori. Nell’Aprile 2012, agenti della capitale hanno rapito Aminul Islam, uno degli organizzatori chiave del Bangladesh Center for Worker Solidarity. È stato trovato morto pochi giorni dopo, con il corpo con evidenti segni di tortura.

Il Bangladesh è stato scosso nei mesi scorsi con proteste oltre la sua storia – la terribile violenza fra i combattenti per la libertà nel 1971 da Jamaat-e-Islami portarono migliaia di persone a Dhaka a nello Shanbagh; questa protesta è stata trasformata in una guerra civile politica tra i due più grandi partiti, mettendo da parte le richieste di giustizia per le vittime di quella violenza. Questa protesta ha infiammato la nazione, che è stata al contrario abbastanza ottimista riguardo al terrore quotidiano contro i lavoratori del settore tessile. L’ “incidente” dell’edificio Rana potrebbe fornire un cardine progressivo per un movimento di protesta che è altrimenti alla deriva.

Nel frattempo in occidente, la sottomissione alle guerre al terrorismo e sul declino nell’economia impediscono ogni genuina introspezione riguardo lo stile di vita che fa affidamento su un consumismo alimentato dal debito a spese dei lavoratori di Dhaka. Coloro che sono morti nell’edificio Rana sono vittime non solo dell’abuso dei sub-appaltatori, ma anche della globalizzazione del ventunesimo secolo.

Vijay Prashad
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2013/04/26/the-terror-of-capitalism/
26.04.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ILARIA GROPPI

ISCRIVETEVI AI NOSTRI CANALI
CANALE YOUTUBE: https://www.youtube.com/@ComeDonChisciotte2003
CANALE RUMBLE: https://rumble.com/user/comedonchisciotte
CANALE ODYSEE: https://odysee.com/@ComeDonChisciotte2003

CANALI UFFICIALI TELEGRAM:
Principale - https://t.me/comedonchisciotteorg
Notizie - https://t.me/comedonchisciotte_notizie
Salute - https://t.me/CDCPiuSalute
Video - https://t.me/comedonchisciotte_video

CANALE UFFICIALE WHATSAPP:
Principale - ComeDonChisciotte.org

Notifica di
6 Commenti
vecchi
nuovi più votati
Inline Feedbacks
View all comments

FORUM DEI LETTORI

RSS Come Don Chisciotte Forum – Argomenti recenti



blank