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La Redazione

 

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MA QUALE CRISI ?

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A cura di Davide
Il 28 Ottobre 2008
26 Views

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DI ANTONELLA RANDAZZO

Ormai da tanti giorni i titoli dei giornali gridano alla “crisi finanziaria”. Ovunque si parla di questo, e si fanno congetture su quello che potrà accadere o di come “salvare” il salvabile. E’ stata creata una generale situazione di allarme, alzando il livello emotivo e seminando paura.
In realtà occorre chiedersi se realmente quello che sta succedendo rappresenta per noi tutti una “crisi”. In fondo cosa sta accadendo? Il sistema finanziario, che sappiamo essere radicalmente iniquo e truffaldino, sta mostrando le sue falle.
Ma questo è un male o un bene?
Adesso mi direte “ma sei impazzita? E’ ovvio che è un male se rischiamo tutti di perdere i nostri soldi!”
E io replico: ma quali soldi? Nel contesto attuale non esiste denaro come valore ma soltanto come mezzo di dominio. Infatti, le nostre banconote, come ormai molti sanno, non sono altro che debito verso le banche che le stampano e fanno pagare pezzi di carta come avessero valore nominale più gli interessi. Gran parte dei nostri guadagni serve a pagare questo debito.

La domanda è: il fallimento delle banche e la crisi finanziaria potrebbero rappresentare per i popoli la possibilità di uscire dall’asservimento?
Negli ultimi secoli ci sono state diverse occasioni per abbattere il sistema, ma a causa della paura del cambiamento non sono state colte.
Sono gli stessi banchieri, in una certa misura (non sono infallibili), a provocare o rendere possibili le crisi, sia attraverso il meccanismo “immettere o sottrarre banconote dal mercato”, sia attraverso il sistema delle bolle speculative. Occorre notare che le crisi possono persino servire a provocare affezione al sistema, attraverso la paura del cambiamento.
Nel 1929, i banchieri fecero aumentare i prezzi delle azioni, fino a quando raggiunsero livelli molto elevati. L’aumento vertiginoso doveva servire ad attrarre molte persone. A metà del 1929, ben nove milioni di americani avevano investito in borsa. A questo punto, i banchieri avevano tutto l’interesse a provocare la crisi. Il crollo sarebbe servito ad impossessarsi di una quantità enorme di beni (negozi, industrie, piccole banche, case, automobili ecc.) di coloro che non avrebbero più potuto pagare i debiti.
L’aumento o il ribasso azionario sono dovuti ad elementi di natura informativa o psicologica, e i banchieri possono controllare e condizionare le notizie che riguardano la Borsa.
Nell’ottobre del 1929, la caduta del valore delle azioni, provocata dai banchieri di Wall Street, produsse effetti devastanti. Le banche esigevano i pagamenti e i clienti non potevano pagare. Le industrie cessarono la produzione, e molte persone rimasero disoccupate. Piccole banche e industrie diventarono proprietà dei grandi banchieri che avevano innescato la crisi. Milioni di persone rimasero disoccupate o andarono in bancarotta, e alcune di esse si suicidarono.
La truffa del crollo del 1929 era stata ben compresa da Emile Moreau, governatore della banca di Francia, che l’8 febbraio del 1928 aveva scritto nel suo diario: “Le banche avevano ritirato improvvisamente dal mercato diciottomila milioni di dollari, cancellando le aperture di credito e chiedendone la restituzione”.(1) I banchieri avevano agito in modo da bloccare l’economia, e questo si sarebbe riversato anche sul mercato borsistico. Sarebbe inevitabilmente scoppiata una grave crisi, che si ebbe il 29 ottobre del 1929.

Cosa accadde dopo?
Accadde che milioni di lavoratori rimasti senza denaro e senza lavoro si sollevarono, ma non furono in grado di cogliere l’occasione per occupare le fabbriche confiscate dai banchieri o per non riconoscere più il vecchio sistema finanziario che si era rivelato truffaldino.
Alcuni però si resero conto dell’opportunità, e stavano per organizzarsi in modo da abbattere il vecchio sistema, ma a quel punto intervenne lo stesso presidente, che si mostrò pronto ad offrire lui la via d’uscita. A quel punto, si rivelava più comodo e rassicurante continuare a riconoscere la “protezione” delle autorità piuttosto che lavorare arduamente per demolire il potere dell’èlite.

Il presidente americano Franklin Delano Roosevelt dette vita, nel 1933, al New Deal. Il nuovo corso mirava ad approvare una serie di leggi a tutela del lavoratore dell’industria e sullo stato sociale. Per la prima volta nella storia degli Usa, il governo interveniva nella vita economica e sociale del paese, a favore delle classi inferiori. Furono approvate leggi come il National Recoveru Act, che comprendeva la legge sul risanamento industriale, in cui veniva determinato l’orario di lavoro, il salario minimo e la lotta contro il lavoro nero.
In tal modo Roosevelt salvò il sistema, a costo di riconoscere alcuni diritti ai lavoratori, che sarebbero stati smantellati a partire dagli anni Ottanta dai successivi presidenti.

L’incapacità di cambiare costò ai popoli una durissima guerra, in cui i soliti personaggi si dettero da fare per accrescere ulteriormente il loro potere e la loro ricchezza, a danno delle popolazioni che continuavano a cercare la soluzione alle crisi nel sistema stesso che le aveva create.
Come molti sanno, le guerre mondiali hanno modificato profondamente la società dei paesi europei, decretando il trionfo di una ristretta élite economico-finanziaria, l’unica che ha ottenuto enormi vantaggi, concentrando ulteriormente il potere nelle sue mani. Le classi medie, come quelle povere, hanno perso potere e ricchezza, e sono state indotte a dipendere dalle decisioni prese dai governi, che diverranno sempre più lo specchio del potere dell’élite.

Ormai sappiamo che il sistema bancario, la Borsa e il sistema detto “capitalistico” hanno al loro interno aspetti paradossali, che siamo indotti ad accettare come “normali” o “essenziali”. Sappiamo che i cosiddetti organismi di “vigilanza” o di “controllo”, sono una truffa, in quanto lo stesso gruppo di persone è al contempo controllore e controllato. Le stesse persone che hanno il dominio finanziario si “travestono” da autorità che “tutelano” interessi collettivi.
Capiamo che si tratta di una messinscena, architettata in modo tale da far credere alle persone ciò che esse sono abituate a credere: che l’attuale sistema sia voluto dal popolo, sia a servizio del popolo, o comunque l’unico possibile.
Dobbiamo ricordare che sono le grandi banche ad avere nelle loro mai il potere speculativo della Borsa. Almeno il 70% del credito speculativo mondiale è nelle mani di tre grandi banche: Morgan Stanley, Goldman Sachs e Ubs. La Borsa è un sistema senza alcuna logica: è come una luce ad intermittenza irregolare, che pur essendo controllata dall’alto, dà l’illusione di potere anche a molti operatori e agenti. Fa parte del gioco, come anche il far credere che ci sia una logica di base o delle regole. In realtà la Borsa non ha regole certe, e le azioni non sono collegate alla situazione delle società a cui si riferiscono, né ad altri parametri chiari. Credere di avere potere investendo in Borsa è come credere che i banchieri siano a servizio della gente e vogliano condividere con tutti il potere. Certo, qualcuno può guadagnarci, e anche questo fa parte del gioco.
Ricordiamo anche che, come molti sanno, la Federal Reserve è formata da un gruppo di banche private controllate da personaggi come i Rothschild, i Rockefeller, i Morgan e i Warburg. Quando un banchiere muore o va in pensione, il potere viene ereditato dalla generazione successiva, in tal modo questo ristretto gruppo di famiglie esercita potere da diversi secoli.
Queste persone hanno il potere di impoverire qualsiasi area del pianeta, facendo crollare la valuta o sottraendo il denaro circolante. Ciò è avvenuto in Argentina, in Messico, nel sud-est asiatico e in molti altri paesi, con l’appoggio di personaggi che si curano di far eleggere.
Nel 1991 il presidente argentino Carlos Menem attuò riforme economiche devastanti, che peggiorarono la situazione già drammatica del paese. Egli prometteva al popolo importanti cambiamenti, mentre in segreto
si accordava con Washington per continuare le devastazioni economiche. Nel 1991, verrà addirittura inserita nella carta costituzionale, la parità di cambio tra il peso ed il dollaro, che favorirà un’economia basata sulle importazioni. La situazione economica si aggravò ulteriormente, e si arricchirono soltanto i pochi che avevano investito all’estero. Washington dette al governo argentino miliardi di dollari, per indurlo ad attuare altre riforme favorevoli all’élite. Il progetto era quello di far crollare l’intero sistema economico-finanziario argentino. Menem continuò a fare il doppio gioco, illudendo il popolo argentino di poter accrescere la ricchezza del paese attraverso la privatizzazione delle aziende pubbliche e la deregulation in numerosi settori, per attrarre gli investitori stranieri. In realtà, egli stava attuando riforme che avrebbero messo il paese nelle mani dell’élite americana. Le riforme, imposte dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, prevedevano il taglio della spesa pubblica e il licenziamento di migliaia di persone. Il debito estero raddoppiò, la povertà e la disoccupazione aumentarono, e la classe media venne cancellata. A metà degli anni Novanta, nacque il movimento dei piqueteros (disoccupati), che lottava per il lavoro, suscitando molti consensi popolari. I piqueteros rendevano visibili le persone costrette a rimanere ai margini del mondo del lavoro, che erano aumentate a dismisura in seguito alle riforme del Fmi.
Nel 1999 fu eletto Fernando De La Rua, che promise di lottare contro la corruzione e di processare i vecchi esponenti delle dittature militari. In realtà, egli si mostrava disposto a riprendere le politiche del precedente governo, e a questo scopo, chiamò al governo l’ex ministro menemista Domingo Cavallo, e altri sostenitori della linea neoliberista, che continuarono a privatizzare e fecero tagli a stipendi e pensioni.
Seguendo la linea imposta dal Fmi, il peso argentino fu svalutato del 70% rispetto al dollaro. Tutto fu privatizzato, anche i servizi (gas, telefono, trasporti, acqua, ecc.). I prezzi aumentarono del 42% e oltre 170 mila lavoratori furono licenziati. Cavallo tagliò gli stipendi e le pensioni del 13%, e attuò riforme che fecero crollare il consumo, le produzioni industriali e le esportazioni.
Le riforme del Fmi avevano messo l’intera economia argentina nelle mani di privati stranieri, che non avevano alcun interesse a rispettare le esigenze della popolazione, e ancora meno desideravano sacrificare facili profitti per i diritti dei lavoratori. Si ebbero tagli drastici alle spese sociali e ai sussidi a favore dell’agricoltura e dell’industria.
Nell’agosto del 2001, il Fmi fece aumentare il debito pubblico (che era stato congelato), da 8 a 14 miliardi di dollari. Nel dicembre dello stesso anno, Cavallo impose il congelamento dei depositi bancari, che impedì ai comuni cittadini di ritirare dalle banche i risparmi, mentre i grandi speculatori nazionali e internazionali avevano ritirato di colpo tutti gli investimenti. Anche le numerose corporation transnazionali, che prima avevano investito in Argentina, improvvisamente ritirarono la valuta e si rifugiarono altrove, lasciando il paese nel caos. Il New York Times scrisse che erano stati prelevati dalle banche “100 milioni di dollari al giorno”.(2)
Dal gennaio 2001, 30.000 negozi furono costretti a chiudere, e la povertà salì al 49%. Il “Los Angeles Times”, calcolò che l’élite argentina fece sparire 106 miliardi di dollari, nascondendoli nei paradisi fiscali esteri, e 30 miliardi di dollari furono investiti in titoli “intoccabili”, mentre il denaro della classe media veniva gravemente svalutato e congelato. Migliaia di risparmiatori si riversarono davanti alle banche gridando “dateci i nostri soldi”. La classe media, improvvisamente, dovette diventare cosciente che il sistema non tutelava i diritti fondamentali, e che i cittadini argentini avrebbero dovuto organizzarsi autonomamente per rimettere in sesto il paese. Milioni di persone del ceto medio rimasero senza nemmeno la possibilità di sfamarsi, e si aggiunsero ai milioni di poveri già presenti nel paese. Per quasi tre anni il popolo argentino protestò con blocchi stradali, scioperi, proteste e occupazioni, e venne quotidianamente represso dalle forze dell’ordine.
La sera del 19 dicembre 2001, De La Rua annunciò il crollo, e per tre giorni si ebbero disordini ovunque. Gli argentini chiedevano di riavere il loro denaro, e che fossero perseguiti i responsabili del saccheggio del paese.
Le repressioni governative provocarono 40 morti e 2000 feriti, e 40.000 persone vennero arrestate. Il 20 dicembre, la Plaza de Mayo divenne un campo di battaglia, in cui i poliziotti pestavano e sparavano.
Il Fmi, pur essendo il maggiore responsabile del collasso argentino, si considerò estraneo al disastro, e spacciò le strategie per saccheggiare il paese come “un programma che poteva essere sostenuto economicamente e politicamente”.(3) Le autorità della Bm e del Fmi cambiarono la versione dei fatti, per far apparire che avevano cercato di aiutare il paese ma non vi erano riusciti, nascondendo che proprio le loro “riforme” avevano causato la bancarotta.

Ma la crisi argentina non fu soltanto un disastro: molti lavoratori si accorsero che poteva essere un’opportunità per cambiare il sistema, almeno parzialmente. Il popolo si sollevò e cacciò ben tre presidenti (Fernando De la Rua, Federico Ramón Puerta, Adolfo Rodriguez Saà). Si formarono assemblee popolari, sulla base del modello di democrazia diretta, che portarono verso l’autogestione delle fabbriche abbandonate dai proprietari. Oltre 200 fabbriche furono occupate e rimesse in funzione. Gli operai pianificarono la creazione di cooperative, avviando una lotta per l’espropriazione e la statalizzazione delle fabbriche autogestite.
L’occupazione della prima fabbrica, la Yaguanè (surgelazione), si ebbe nel 1996, seguì nel 1998 l’Impa (industria di imballaggi e carta di alluminio) e nel 2000, 90 operai metalmeccanici della Gip formarono una cooperativa e presero possesso dell’azienda. Dopo il 2001 si ebbero oltre 1000 industrie fallite, e i lavoratori presero possesso di alcune di esse. Nel 2001 furono autogestite la Zanon (fabbrica di ceramiche) di Neuquen e la Brukman (tessile) di Buenos Aires, che i vecchi proprietari avevano abbandonato. La Zanon e altre fabbriche diventarono un esempio di successo del sistema dell’autogestione.
Oggi circa 170 aziende sono gestite da 10.000 operai, che hanno creato un assetto privo di gerarchie. In tal modo molti sprechi sono stati eliminati, in quanto, con il vecchio patronato, almeno il 65-70% dei guadagni costituivano il reddito dei dirigenti e dei proprietari.
Per tutelare il nuovo assetto, continuamente minacciato dall’èlite, si è formato il Movimento Nazionale delle Imprese Occupate (Mner), che chiede l’estensione dell’Articolo 17 della Costituzione, che prevede le espropriazioni per “interesse pubblico”. Secondo il Mner, anche espropriare un’azienda per creare occupazione significa operare per l’interesse pubblico.
I cittadini argentini si sono riappropriati di parte delle risorse del paese, dopo le devastazioni del Fmi. Oltre alle industrie, anche supermercati, miniere, case editrici ecc., abbandonati dai vecchi proprietari, sono stati rilevati dai lavoratori e rimessi in sesto. La lotta per riappropriarsi del proprio paese è anche una lotta per cancellare un passato fatto di ingiustizie e crimini. Racconta Raúl Godoy, segretario del Sindacato Ceramista di Neuquen: “Questa fabbrica (la Zanon) fu inaugurata nell’80, in piena dittatura. E come furono i mondiali, così anche queste grandi inaugurazioni contribuirono a far sì che il silenzio sulle morti, sui sequestri, sulla desaparecion continuasse impunito…. Ed oggi, a un anno dall’occupazione dell’impianto, posso dire con gioia che la fabbrica è inaugurata di nuovo, stavolta dalle Madri di Plaza de Mayo…. ed è una fabbrica nuova, una fabbrica degli operai, e delle Madri.”(4)

I lavoratori che autogestiscono le fabbriche, le
miniere ecc., hanno l’appoggio di quasi tutta la popolazione, compresi professori universitari e studenti. Per tutti gli argentini si tratta di far rinascere il paese da una devastazione colossale, architettata dall’élite statunitense per saccheggiare il paese. Il futuro dell’Argentina è affidato ai lavoratori, e alla loro capacità di autodeterminarsi. Si può considerare tutto questo come una rivoluzione pacifica, che determina un nuovo modo di intendere il lavoro e la proprietà. I lavoratori argentini, gestendo direttamente le fabbriche, stabilendo regole retributive eque e liberandosi del controllo dei “padroni”, hanno generato un assetto realmente democratico.
Nel gennaio del 2002, diventò presidente Eduardo Duhalde, che cercò di sganciare il peso argentino dal dollaro, in seguito alla svalutazione del 300% della valuta argentina, che aveva trascinato il paese verso l’iperinflazione.
Il 25 maggio del 2003 fu eletto presidente Nestor Kirchner, che iniziò da subito una grande campagna contro la corruzione nell’amministrazione pubblica. Egli promise al popolo di essere disposto a contrastare gli obblighi imposti dal Fmi per difendere i diritti della popolazione argentina.

Il caso dell’Argentina è soltanto un esempio di come una crisi possa generare desiderio di libertà e rinuncia all’asservimento. Gli argentini capirono quello che era avvenuto: la responsabilità dei banchieri nel provocare la crisi e nel trarne profitto.
Accettare il principio di autorità nel settore finanziario ci ha resi schiavi di un ristretto gruppo di personaggi. Questi personaggi sanno che il loro potere si basa sulla nostra creduloneria, ovvero sulla disponibilità a credere che la moneta sia coniata nell’interesse di tutti, che l’economia abbia “cicli naturali” o che la Borsa dipenda da fattori completamente non prevedibili e non sia controllata da nessuno.

In parole semplici, l’accettazione psicologica appare fondamentale per mantenere il sistema, e addirittura le “crisi” possono rafforzare tale accettazione, provocando il vuoto che appare prima di un radicale cambiamento.
I banchieri si valgono di esperti in materie psicologiche e sociologiche, e sanno che le crisi sono utili quando una certa quantità di persone comprende la loro truffa e cercano il modo di uscirne.

Ovviamente, arriverà prima o poi la crisi definitiva che spazzerà l’attuale sistema di potere, Ma essa non potrà avvenire prima di una totale presa di coscienza delle popolazioni e dell’acquisizione di un forte senso di responsabilità necessario alla libertà.
Si dovrà comprendere che ogni “crisi” del sistema è vantaggiosa per popoli.
Il problema è che i popoli temono di creare un sistema che li veda sovrani, perché pensano di dover dipendere dall’esterno e di non essere in grado di reggersi da soli. Se così non fosse non esisterebbe di certo un sistema finanziario basato sul nulla, e controllato da pochi personaggi, che agiscono come una banda di pericolosi gangster.

Forse occorre chiedersi come superare la gabbia di massa, che ci imprigiona a tal punto che anche quando le sbarre si allentano gridiamo di paura. Occorre chiedersi in cosa crediamo realmente: se nella libertà che esige responsabilità e rischio, o nell’asservimento, che è dovuto alla paura e al senso di impotenza.
Cosa sono le banche per noi? Siamo sicuri di non poter fare a meno dei banchieri attuali? Siamo sicuri che il fallimento delle banche non possa essere un’opportunità per rivoluzionare il sistema finanziario? Certo, questo richiederebbe un impegno e un senso di responsabilità che i popoli non si sono mai assunti prima d’ora (tranne casi sporadici), ma è certo che prima o poi un sistema fondato sulla truffa crollerà. E’ dal nostro cambiamento che potrà derivare un cambiamento della realtà, e non saranno certo Berlusconi o Veltroni a dirci come demolire l’attuale regime.

I cambiamenti potrebbero essere già iniziati, grazie alla presa di coscienza di alcuni, e saranno irreversibili. Nel mondo molte persone vogliono uscire dal sistema. Questo è reale, anche se non vi verrà detto al telegiornale.
Arriverà il momento in cui ci sarà il crollo definitivo, prepariamoci per questo, superando ogni paura e credendo fermamente che il peggio sarà passato proprio nel momento del crollo.
Non dobbiamo più cedere il nostro potere ad autorità esterne, perché possiamo essere responsabili del nostro benessere, della nostra felicità e creare un sistema che non sia a servizio del profitto ma del bene collettivo. Possiamo iniziare sin da adesso a non essere più motivati dalla paura.
Non bisogna per forza avere uno spirito temerario e rivoluzionario per accogliere con favore le novità, che in apparenza potranno sembrare sgradevoli. Pensiamo a cosa hanno fatto negli ultimi secoli le grandi famiglie stegocratiche: guerre, povertà, fame e sofferenze di vario genere ed entità; due terzi degli abitanti del pianeta costretti a vivere in grave miseria, milioni di lavoratori-schiavi chiusi nelle industrie della Walt Disney, della Nike, della Coca Cola, ecc.; le mafie internazionali che estendono i loro affari sempre più in tutti i settori economici; la disoccupazione e il precariato lavorativo; l’inquinamento che aumenta a causa della resistenza ad applicare le nuove tecnologie energetiche; i sistemi politici sempre più basati sullo spettacolo e sulla corruzione, i media sempre più squallidi e degradanti, ecc.
Credete che rimpiangeremo qualcosa?

Antonella Randazzo
Fonte: http://antonellarandazzo.blogspot.com/
Link: http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/10/ma-quale-crisi.html
28.10.08

Articolo correlato “Psicologia della Finanza”
http://antonellarandazzo.blogspot.com/2007/11/psicologia-della-finanza-parte-i-le.html

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NOTE

1) Moreau Emile, Memorie di un governatore della Banca di Francia, Cariplo-Laterza, Roma-Bari 1986. www.centrostudimonetari.org
2) New York Transfer, 24 Aprile 2002.
3) Intervista a Thomas Dawson, responsabile delle relazioni esterne del Fondo Monetario Internazionale. http://italy.indymedia.org/news/2002/08/76632.php
4) http://italy.peacelink.org/latina/articles/art_19896.html

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