MA GLI STATI UNITI STANNO FACENDO LE GUERRE PER ISRAELE ?

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blankDI LINDA S. HEARD

La profezia di Oded Yinon

Sono in molti, all’interno e fuori della realtà musulmana, a chiedersi quali siano le vere ragioni che si celano dietro l’invasione statunitense dell’Iraq e alla smania Usa di vedere caduti i governi di Siria ed Iran.
In realtà Iraq, Siria e Iran non hanno mai rappresentato una minaccia diretta per il continente americano, sia per il loro atteggiamento distaccato che per la loro distanza geografica dal “vicinato”. Viene naturale domandarsi allora per quale motivo gli Stati Uniti siano disposti ad investire tante risorse umane e finanziarie per contrastare regimi straneri che non approvano.Provando a formulare alcune teorie al riguardo, all’apice della lista starebbe la richiesta di petrolio (risorsa non rinnovabile e in via di esaurimento) da parte degli Usa, ma in realtà questi ultimi ricevono benpoco del loro oro nero dal Medio Oriente e dal Golfo, la maggior parte viene fornita loro dall’America del Sud e dall’Africa.

Un’ulteriore spiegazione potrebbe fornirla la questione del monopolio dei petrol-dollari, che sia l’Iraq sia l’Iran hanno cercato di combattere vendendo il loro petrolio in Euro. Qualcosa di vero ci potrebbe essere. Questo non giustifica però il fatto che la Siria si trovi sulla linea di fuoco.

Gli Stati Uniti affermano di voler portare la “democrazia” nella regione, ma la loro reazione nei confronti del governo scita in Iraq, guidato dal partito Dawa (1) che ha stretti legami con l’Iran, e il modo in cui hanno isolato il nuovo governo palestinese guidato da Hamas democraticamente eletto, fanno perdere loro credibiltà. La democrazia non porterà agli Usa governi alleati, ciò che l’amministrazione Bush cerca veramente.

Dunque, gli Stati Uniti stanno forse manipolando e rimodellando l’area per fare in modo che Israele rimanga per sempre la sola superpotenza regionale?

Tutto ciò non è così bizzarro come si potrebbe immaginare di primo acchito. Basta leggere il seguente breve brano, stranamente profetico, tratto da un articolo pubblicato nel 1982 su Kivunim (rivista dell’Organizzazione Sionista Mondiale) e scritto da Oded Yinon, un giornalista israeliano dai legami con il ministero degli Esteri di Israele.

La strategia di Yinon si basa su alcune premesse comprendenti la trasformazione di Israele in una potenza imperiale, che porti allo smembramento di tutti i territori arabi e alla loro successiva spartizione in piccoli stati impotenti, non equipaggiati per fronteggiare tale potenza militare. Riporto qui di seguito quello che Yinon disse sull’Iraq:

“La dissoluzione di Siria e Iraq in aree separate che riuniscano in un unico gruppo persone di diversa etnia e religione, proprio come avviene in Libano, è per Israele uno degli obiettivi primari sul fronte orientale. L’Iraq in particolare, ricco di petrolio da una parte, ma totalmente diviso dall’altra, è, fra gli obiettivi israeliani, uno dei maggiori candidati. Il suo smembramento è anche più importante per noi rispetto a quello siriano, essendo l’Iraq più forte della Siria. A breve termine, è proprio la potenza irachena a costituire la maggiore minaccia per Israele.

“Una guerra fra Iran e Iraq lacererebbe quest’ultimo causando la sua sconfitta interna ancor prima che riesca ad organizzare una lotta su un ampio fronte contro di noi.. Ogni tipo di scontro inter-arabo sarà a nostro favore e accellererà il nostro scopo più importante di dividere l’Iraq in piccoli statarelli, come per la Siria e il Libano.

E ancora:

“In Iraq una divisione in province sulla base di criteri etnici e religiosi, come in Siria all’epoca dell’impero ottomano, è possible. Così tre (o più) stati sorgerebbero intorno alle tre maggiori città – Bassora, Baghdad e Mosul – così le aree scite del sud si separeranno dal nord sunnita e curdo.”

Tutto ciò non vi suona familiare ?

Adesso, a ventiquattro anni di distanza, focalizziamo l’attenzione sulla realtà attuale.

La guerra fra Iran ed Iraq, durata otto anni e terminata nel 1988, provocò oltre un milione di vittime, ma non vi fece seguito lo smembramento desiderato da Yinon; l’Iraq si mantenne un’entità forte ed omogenea.

Anche nel 1991, nonostante il preoccupante indebolimento risultante dalla Guerra del Golfo, causata dall’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein, il paese rimase unito.

Furono l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 e la successiva occupazione a destabilizzare il paese e a spaccarlo in linee “settarie”. La sua nuova struttura è disegnata intorno ad una federazione non compatta, con un’autonomia parziale sia nei confronti dei curdi (al nord) che degli sciiti (al sud), mentre nel paese adesso imperversano conflitti settari, religiosi ed etnici da alcuni considerati guerra civile.

Tornando alla Siria c’è da dire che, fino all’invasione irachena del Marzo 2003 guidata dal presidente Bashar Al-Assad, essa godeva di relazioni discretamente buone con l’Occidente. Non dimentichiamo che combattè come alleata a fianco degli Stati Uniti durante la Guerra del Golfo da questi ultimi capeggiata; inoltre la Siria votò, sebbene riluttante, a favore della risoluzione ONU che diede inizio all’ invasione e fu un alleato agguerrito nella cosiddetta “guerra al terrore”.

Quand’ecco che improvvisamente passò dalla parte del torto e fu accusata di ogni ‘crimine’, dal nascondere le fatidiche armi di distruzione di massa irachene, all’ospitare ribelli e terroristi e al concedere il libero transito di combattenti ed armi in Iraq.

Una forte pressione venne poi esercitata su Damasco per porre fine alla sua occupazione del Libano dopo l’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri. A tutt’oggi il governo siriano è indagato dalle Nazioni Unite per una presunta implicazione nel fatto.

Oggi l’azione d’indebolimento dell’amministrazione di Al-Assad da parte degli Stati Uniti passa attraverso il loro sostegno ai partiti siriani di opposizione. Gli esperti prevedono che, se tale manovra dovesse avere successo, la Siria, proprio come l’Iraq, cadrebbe vittima di conflitti settari e intestini.

Il Libano, da poco ripresosi da una lunga guerra civile e dall’occupazione israeliana, era sul punto di riacquisire qualche sembianza di unità, ma ora corre anche il pericolo di essere destabilizzato visto che i partiti si vanno organizzando in confederazioni pro e anti siriane.

Yinon descrive il mondo arabo-musulmano come una casa traballante fatta di carte messe insieme da stranieri e arbitrariamente divisa in stati, tutti costituiti da un’accozzaglia fra minoranze e gruppi etnici ostili l’un l’altro.

Yinon prosegue col rimpiangere la cessione israeliana del Sinai all’Egitto in seguito al trattato di pace di Camp David, dal momento che quella regione è ricca riserve di petrolio, di gas ed altre risorse naturali.

“Riguadagnare la penisola del Sinai è quindi una priorità politica ostacolata dal trattato di Camp David” – scrive – “E dovremmo agire in modo da riportare la situazione che esisteva in Sinai prima della visita di Sadat e dell’erroneo patto di pace sottoscritto con lui nel Marzo 1979”.

Yinon prevede inoltre che se l’Egitto dovesse subire divisioni e lacerazioni, altre province arabe cesserebbero di esistere nella loro forma attuale, e nell’Alto Egitto si verrebbe a formare uno stato cristiano copto. Al momento esistono crescenti problemi fra egiziani musulmani e copti, questi ultimi percepiti da alcuni estremisti musulmani come più fedeli agli Usa che non al loro paese. Tutto ciò è inevitabilmente sfociato in scontri aperti che spesso danno come risultato molte vittime.

Eccetto la divisione musulmani-copti, Yinon aveva commesso alcuni errori di calcolo in merito alla questione egiziana. Credeva che Il Cairo avrebbe rotto il trattato di pace con gli Israeliani dando loro la possibilità di riportare di nuovo i carri armati, sia nel Sinai che nelle altre aree desiderate, ma il governo egiziano, sotto la guida del sempre pragmatico presidente Hosni Mubarak, ha tenuto fede al trattato divenendo negli anni un importante alleato statunitense.

La soluzione che Yinon dette al crescente problema israelo-palestinese fu quella di raggruppare i palestinesi oltre il fiume Giordano ed etichettare la Giordania come uno stato palestinese.

Rifiutava il principio della terra per la pace affermando: “Non è possible continuare a vivere in questo paese con una situazione del genere senza pensare di separare le due nazioni, gli arabi in Giordania e gli ebrei a ovest del fiume.

Vera coesistenza e pace regneranno su questa terra solo quando gli arabi capiranno che senza il dominio ebraico fra il Giordano e il mare, essi non avranno mai nè esistenza nè sicurezza. Solo in Giordania essi avranno sicurezza e una nazione per loro.”

Mi trovo ancora una volta a contraddire Yinon e chi la pensa come lui. La Giordania ha abbandonato qualsiasi tipo di pensiero di panarabismo ben prima dell’abdicazione di re Hussein, e suo figlio, re Abdullah, è oggi il più fedele alleato statunitense della zona. Con il favore di una maggioranza palestinese di due terzi nel suo paese, Abdullah ha scelto di autopreservarsi aggrappandsi saldamente alle divise statunitensi.

L’idea di ammassare quattro milioni e mezzo di palestinesi oltre il Giordano non è stata ulteriormente sollecitata, nonostante tale possibilità sia in programma dal 2002, secondo un articolo del professor van Creveld pubblicato sul Britain’s daily Telegraph.

Allora, un’indagine demoscopica Gallup dimostrava che il 44% degli ebrei d’Israele era a favore dell’espulsione palestinese oltre il fiume Giordano.

Il professore van Creveld era convinto che anche Sharon fosse d’accordo con questo piano. Nel suo articolo si sottolineava una citazione di Sharon nella quale si metteva in evidenza il fatto che i palestinesi siano maggioranza in Giordania e in cui ci si riferiva alla Giordania come al vero Stato palestinese. “La deduzione che i palestinesi dovrebbero andare lì è chiara”, scrisse Creveld.

Se pensate che sia un idea fantasiosa che gli Stati Uniti si potrebbero conformare a questa linea per gli interessi di Israele, allora è meglio ricordare le parole che il Primo Ministro israeliano, poi assassinato, Yitzhak Rabin, il quale scriveva nel suo libro che il governo di Israele era, in realtà, responsabile dell’elaborazione della politica americana in Medio Oriente dalla «guerra del sei giorni» in poi.

L’articolo di Yinon non si focalizza sull’Iran, ma parallelamente diamo un’occhiata ad alcune recenti affermazioni provenienti da Israele su questo argomento.

Durante una visita a Washington nel Novembre del 2003, due anni prima che gli Stati Uniti prendessero di mira l’Iran, il ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz disse agli ufficiali statunitensi che “in nessuna circostanza Israele avrebbe potuto accettare il possesso di armi nucleari da parte dell’Iran”.

Nello stesso mese Meir Dagan, direttore del Mossad, affermò davanti ad un Comitato Parlamentare che l’Iran rappresentava una “minaccia esistenziale” per Israele, rassicurando però i membri del Parlamento che Israele era comunque all’altezza di poter affrontare questa minaccia.

L’anno passato, la retorica israeliana su questo argomento è aumentata ulteriormente con il Ministro degli Affari Esteri israeliano, Silvan Shalom, che davanti ai giornalisti ha dichiarato: “l’idea che questo regime dispotico dell’Iran avrà un giorno una bomba nucleare è un incubo, non solo per noi ma anche per il mondo intero”.

L’attuale Primo Ministro israeliano, Ehud Olmert, prosegue poi la tradizione di esagerare la minaccia iraniana, sostenuto dall’impetuosa retorica dello sconsiderato leader di Teheran Mahmoud Ahmedinejad.

Un articolo apparso sul Daily Telegraph e datato 18 Febbraio annunciava “L’America sosterrebbe un attacco israeliano contro Iran” e mostra chiaramente che è proprio lo stato ebraico a lanciare la carica contro l’Iran.

L’articolo riportava una citazione di George W. Bush:

“Ovviamente se fossi un leader israeliano venuto a conoscenza di alcune delle affermazioni degli ayatollah iraniani che riguardano la sicurezza del mio paese, mi preoccuperei anch’io del possesso di armi nucleari da parte dell’Iran. In questo Israele è nostro alleato e in ciò ci siamo ardentemente ripromessi di sostenerlo; difenderemo il paese se la sua sicurezza dovesse venire minacciata.”

Un anno è passato e il governo statunitens non descrive più le presunte ambizioni nucleari iraniane come una minaccia a Israele, ma come una minaccia agli Stati Uniti. In questo modo una guerra contro l’Iran e le possibili ripercussioni che essa avrebbe, possono essere vendute al popolo americano.
D’improvviso gli interessi israeliani sono divenuti interessi statunitensi. La cosa interessante è che, secondo un recente sondaggio, più del 50% degli americani afferma di essere favorevole ad attacchi contro gli impianti nucleari iraniani.

Come scrive il cronista Doug Ireland nel suo articolo di denuncia “Il vero accento della storia di spionaggio dell’AIPAC cade tutto sull’Iran”:

“Una parola di troppo sfuggita a Bush che rivelava le sue reali intenzioni era una delle notizie di prima pagina del quotidiano Le Monde e di altri quotidiani europei, ma ricevette pochissima attenzione da parte dei principali media statunitensi”.

Justin Raimondo nel Settembre dello scorso anno scrisse:

“Questo caso ha ricevuto relativamente poca pubblicità in confronto alla sua importanza. Non è solo la questione dell’annichilimemento della lobby israeliana (il primo nella storiografia recente), ma piuttosto la rivelazione dell’esercito segreto israeliano nelle celate legioni statunitensi di propagandisti e spie, il cui compito non è solo quello di dirigere il caso verso Israele ma anche quello di sensibilizzare la politica Usa circa le necessità israeliane, e in tale processo penetrare i tanto ambiti segreti statunitensi.”

Tornando alla domanda se gli Usa stiano o meno finanziando le guerre a favore d’Israele, non potremo mai saperlo nè tantomeno averne la certezza dal momento che la Casa Bianca ha deciso di secretare i nastri e i documenti privati per 100 anni.

Se c’è una cosa che sappiamo però, è che il piano di Oded Yinon del 1982 per il Medio Oriente sta in gran parte prendendo forma. Si tratta di pura coincidenza? Yinon era un veggente? Forse! Oppure gli occidentali sono vittime di un progetto a lunga scadenza non fatto da loro e senza dubbio non nel loro interesse.

Linda S. Heard è una specialista britannica del Medio Oriente e vive al Cairo.

Fonte: http://counterpunch.org
Link: http://counterpunch.org/heard04252006.html
25.04.06

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DARK BABE

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