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La Redazione

 

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MA E’ PROPRIO VERO CHE E’ PIU’ FACILE ESSERE DI SINISTRA CHE NON DI DESTRA ?

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A cura di Davide
Il 19 Ottobre 2008
67 Views

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DI FRANCESCO LAMENDOLA
Arianna editrice

Il libro di Raffaele Simone (edito da Garzanti), Il Mostro Mite, vuole essere una risposta all’interrogativo posto dalla rovinosa frana dei partiti e delle forze di sinistra prodottasi negli ultimi anni, in Italia come nel resto del mondo.

La tesi è abbastanza semplice: ridotta all’essenziale, la si può riassumere nell’affermazione che essere di destra è semplice e naturale, non richiede particolari sforzi della coscienza o dell’intelligenza; mentre essere di sinistra è faticoso, perché comporta un atteggiamento penitenziale nei confronti del propri interessi e del proprio ego.

Simone sostiene che la sinistra, oggi (riportiamo dalla presentazione del suo libro), si trova a dover lottare contro due avversari di temibile forza: la natura penitenziale dell’essere di sinistra (in termini di sforzi e sacrifici che implica, nonché il bisogno di dimenticare e far dimenticare errori ed orrori del comunismo internazionale); e il Mostro Mite, ossia «la faccia sorridente che il Leviatano ha assunto nell’era globale».


Ancora: «La nuova società globalizzata è dominata da un modello di cultura affabile, avvolgente, consumista, indifferente alle miserie e all’altruismo, dominato dal vedere e dalla distanza dagli oggetti e dalle cose. È il “Mostro Mite”, la faccia sorridente e, tuttavia, sinistra e prepotente, della Neodestra. (…) è al “Mostro Mite” che la sinistra deve le sue tremende difficoltà attuali: ma non se ne è ancora accorta».

Vorremmo partire da quest’ultimo enunciato per svolgere una critica alla tesi di fondo dell’Autore: e non certo perché nutriamo la benché minima simpatia nei confronti del Mostro Mite, così come egli lo definisce, ma perché pensiamo che le categorie concettuali da lui adoperate, in senso ideologico tradizionale, per leggere il fenomeno che vorrebbe spiegare, a cominciare da quelle di «destra» e «sinistra», ci sembrano terribilmente superate e inadeguate al compito di render conto della complessità del momento storico-culturale che stiamo attraversando.

Dire che le attuali, tremende difficoltà della sinistra dipendono dalla diffusione del Mostro Mite, ossia del volto sorridente del Leviatano, significa commettere – a nostro parere – due errori significativi: partire da un equivoco di fondo; e riempire una insufficiente lettura sociologica della realtà con delle immagini poetiche suggestive, ma povere di spessore reale.

L’equivoco di fondo è che si possa parlare ancora di «destra» e di «sinistra» come si faceva venti, trenta o quarant’anni fa. Non vogliamo dire che siano concetti superati; ma è superata la rappresentazione che ce ne diamo, e che se ne danno gli stessi militanti – se pure ve ne sono ancora – di queste due aree politiche e culturali.

E non si tratta soltanto del fatto che il Partito Democratico ha totalmente ripudiato l’eredità marxista, o che l’onorevole Fini ha dichiarato che chi non accetta l’antifascismo non ha più diritto di stare dentro Alleanza Nazionale (per quanto, non si può dire che siano cambiamenti da poco o semplici espedienti strategici adottati dai due poli esistenti in Italia). Né solo del fatto che il laburista Blair è stato non meno tatcheriano della signora Tatcher; o che gli operai francesi, alle ultime elezioni politiche, hanno votato per Sarkozy: così come molti lavoratori americani, molti ispanici e molti neri degli Stati Uniti avevano votato, e per due volte, un candidato presidenziale come George Bush junior, pur sapendo benissimo fino a che punto il suo programma politico-sociale fosse conservatore e imperialista. No, non è solo per questo, sebbene tutto questo non sia certo poco.

La ragione principale per cui è fuorviante parlare di destra e di sinistra è dovuta al fatto che la destra e la sinistra non esistono più, se non come vuoti simulacri di una ideologia che è tramontata da un pezzo, anche per opera della globalizzazione; e che essere di destra o di sinistra non esprime più l’identificazione degli individui in determinati valori etici, sociali, politici, ma semplicemente la temporanea convenienza pratica per poter meglio tutelare i propri affari.

In altre parole: il cittadino medio della società di massa, globalizzato e consumista, non crede più in niente: né nella religione, né nei valori, né nella politica; ergo, non crede veramente neanche all’appartenenza di destra o di sinistra. O, per dir meglio, crede ancora soltanto nella voce del suo portafoglio (oltre, beninteso, alla squadra di calcio del suo cuore): tutto il resto è romanticheria d’altri tempi.

Nemmeno la sorte del pianeta lo interessa o lo commuove più di tanto; nemmeno la consapevolezza che, seguitando di questo passo (sono gli stessi esponenti dell’apparato tecnoscientifico a dirlo), non ci sarà più alcun futuro per le prossime generazioni.

Gli basta vivere nel presente; e, in fondo, neanche di vivere ha più tanta voglia: è l’autodistruzione che sta cercando inconsciamente; ma pretende che ciò avvenga nel modo più piacevole possibile. Vuol sedere a banchetto e suonare la cetra, godendosi lo spettacolo di Roma in fiamme. Forse, è proprio il segreto senso di colpa per il crimine commesso contro il futuro delle giovani generazioni che lo spinge a comportarsi così.

Questo, l’equivoco di fondo commesso da Raffaele Simone.

L’insufficiente lettura sociologica della realtà attuale, che il linguaggio immaginoso e colorito non riesce a colmare, deriva dal fatto che, in buona sostanza, egli ritiene che il Mostro Mite altro non sia che il volto ambiguo della Neodestra: una specie di Supernemico con cui la misera sinistra, col suo obsoleto armamentario ideologico e morale, non è in grado di competere. È come se la sinistra, nell’atto stesso di interrogarsi sulle ragioni della propria disfatta, avesse già trovato un alibi su misura, capace di risparmiarle un autoesame troppo impietoso e umiliante.

Ma che cosa sarà mai questa Neodestra, addirittura con la N maiuscola, davanti alla quale ogni velleità di resistenza diviene illusoria, perché sarebbe come andare a combattere contro i carri armati, impugnando delle semplici fionde o delle cerbottane?

Nossignori, non esiste nessuna Neodestra (se non a parole, anche dei suoi pretesi sostenitori): essa non è altro che il fantasma, opposto e speculare, della Supersinistra ruggente degli anni Sessanta, quando – per parafrasare Nanni Balestrini – «volevamo tutto»: e il sogno pareva, effettivamente, lì, a portata di mano.

Ricordiamo un amico che ci raccontava un sogno, fatto durante la notte, dal quale si era svegliato letteralmente in estasi: che, dall’Albania, arrivavano in Italia i Cinesi. Erano tantissimi, erano tutti in bicicletta: e arrivavano, arrivavano, ondata su ondata, senza violenze e senza sparare un colpo, presumibilmente per instaurare la nuova età dell’oro. Peccato che, proprio in quegli anni, nel corso della Rivoluzione culturale, milioni di Cinesi siano morti ad opera del maoismo: ma questo, allora, nessuno voleva vederlo, in Occidente, fra le sinistre.

Però, sia chiara una cosa.

Quando diciamo che non esiste nessun Neodestra, non intendiamo certo dire che non esistono i Bush, i Berlusconi e i Sarkozy; intendiamo dire piuttosto che costoro non sono qualificabili «di destra», più di quanto Bill Clinton (che fece l’infame guerra contro la Serbia), Massimo D’Alema (che gli prestò le basi per bombardare Belgrado), Tony Blair (che si è unito di buona voglia a Bush junior nella più vergognosa di tutte le guerre: la seconda del Golfo) siano qualificabili come «di sinistra».

Attenzione: non è un problema puramente nominalistico. Se così fosse, si potrebbe sempre obiettare che, sì, è vero: destra e sinistra tendono a scambiarsi i ruoli e, talvolta, a sovrapporsi; ma, in effetti – e sia pure sotto mentite spoglie – esistono ancora.

Niente affatto: noi pensiamo che non esistano più; che le loro ideologie, in quanto tali, si siano dissolte: quella di sinistra, sotto il peso del crollo vituperevole dei sistemi sovietici; quella di destra, sotto la spinta prepotente dell’economia, che ha spazzato via ogni residuo di sentimentalismo e di romanticismo (e il fascismo, tanto per fare un esempio, crediamo sia stato una mescolanza di entrambe le cose).

Ma se la destra e la sinistra non esistono, non esistono nemmeno una Superdestra e una Supersinistra.

E che cosa è rimasto al loro posto? Un comitato d’affari: talmente cinico, che non ha alcun credo all’infuori del Dio denaro; e talmente cialtrone, che sarebbe pronto a servirsi di qualunque maschera, di qualunque travestimento, di qualunque inganno, menzogna o parola d’ordine fasulla, pur di manipolare a suo piacimento l’opinione pubblica.

In quella che un tempo era la destra, questo comitato d’affari è tale in senso stretto: si occupa, cioè, quasi esclusivamente di gestire la speculazione finanziaria a livello mondiale, in genere travestendosi da populismo sfegatato, più o meno in doppio petto, più o meno straccione.

In quella che un tempo era la sinistra, invece, il comitato d’affari si occupa prevalentemente di preservare le amatissime poltrone a un ceto politico, la cui unica ragion d’essere è quella di perpetuare se stesso, ovviamente con tutti i privilegi annessi e connessi, innalzando la bandiera della difesa dei più deboli e della giustizia sociale.

Quanto agli intellettuali, i pochi o pochissimi che possiedono ancora un minimo di spina dorsale, in genere se ne infischiano delle etichette di destra e di sinistra che i due schieramenti (o i fantasmi dei due schieramenti) gettano loro addosso come un marchio d’infamia, e se ne vanno per conto proprio, alla ricerca di una onesta nuova strada, che faccia tesoro di tante illusioni e delusioni sia dell’una che dell’altra parte; e si sforzano, ma per davvero, di pensare in termini di bene comune e di interesse collettivo.

In questo senso, può accadere benissimo che, ad esempio, nell’ambito della cosiddetta «nuova destra», si trovino posizioni che, specialmente sul terreno sociale, ecologico e culturale, sono molto più progressiste e innovative di quelle della sinistra tradizionale.

La cosa, del resto, non è una novità assoluta: i nostri storici di professione non se n’erano accorti prima, solo perché avevano il paraocchi ideologico – e, in generale, ce l’hanno ancora.

Siamo sicuri che il fascismo di sinistra, per fare un esempio, fosse proprio «di destra», punto e basta? Che un uomo come Tullio Cianetti, per fare solo un nome, fosse un reazionario e un difensore degli interessi delle classi padronali? E, viceversa: siamo proprio sicuri che il socialismo marxista sia sempre stato solo e rigorosamente «di sinistra»? Eppure, leggendo certe pagine di Antonio Labriola sulla politica coloniale, non si direbbe proprio: potrebbe averle scritte benissimo un Enrico Corradini, il fondatore del nazionalismo nostrano…

Chi non ne fosse persuaso, vada a rileggersi il bellissimo libro di Enrico Landolfi Rosso imperiale (Solfanelli Editore, Chieti, 2002), ovviamente passato sotto silenzio dalla storiografia accademica, interessata a presentarci il mondo in bianco e nero, senza sfumature e senza zone grigie.

E queste osservazioni non valgono solo per l’ambito specifico della politica dei politici, ma per tutto il mondo della cultura.

Emilio Salgari era di destra o di sinistra? Di sinistra, dice la Vulgata ufficiale: il suo Sandokan non era forse un irriducibile campione delle lotte anticoloniali? Eppure, basta leggere certi giudizi sui «popoli di colore», perché sorga più di qualche dubbio.

E Jack London, il campione del socialismo americano?

Certo, ne Il popolo dell’abisso egli denuncia la miseria degli operai dell’East End londinese; ma, in romanzi come L’avventura, non si perita di dar voce al più bieco razzismo nei confronti dei Melanesiani, presentati come cannibali e miserabili selvaggi, degni di solo di stare sotto la sferza dell’uomo bianco.

Ma lasciamo perdere, per ora, tale questione storiografica. Ci sarebbero troppe cose da dire al riguardo; lo faremo in un’altra sede.

Piuttosto, ci preme insinuare almeno il dubbio circa l’assunto che essere di destra sia cosa naturale e istintiva, perché fondamentalmente egoistica; mentre essere di sinistra sia cosa innaturale e faticosa, perché corrisponderebbe a un atteggiamento altruistico e solidaristico.

In questo schemino convenzionale, a nostro parere, c’è una parte di verità e una parte di non verità. Se proprio vogliamo dividere il genere umano in due categorie contrapposte, quella degli egoisti e quella degli altruisti (cosa parecchio forzata, dato che entrambe le tendenze sono presenti, in varia misura, in ogni essere umano), allora non è proprio possibile, nemmeno con la maggior buona volontà di questo mondo, arrivare a farle coincidere con l’essere di destra o di sinistra.

Oppure vogliamo sostenere che un tipo come Stalin, in quanto capo dell’Unione Sovietica e padre spirituale (e materiale) della Terza Internazionale, era la quintessenza dell’altruismo e dello spirito di solidarietà?

Secondo l’approccio di Raffaele Simone, essere di destra sarebbe cosa naturale, mentre essere di sinistra richiederebe uno sforzo su se stessi, per vincere le nostre istintive tendenze all’egoismo.

Ma siamo sicuri che sia proprio così?

Non potrebbe essere vero il contrario: che essere di destra (dando per ammessa, e non concessa, l’identificazione fra destra e istinto egoistico) richieda uno sforzo almeno altrettanto grande, in quanto presupporrebbe di liberarsi da una cultura «facile», pietista e assistenzialista, il cui dogma fondamentale è che il povero e il debole hanno sempre ragione, e che il ricco e il potente hanno sempre torto?

In altre parole: ci vuole più coraggio intellettuale e morale per essere sempre e comunque dalla parte del debole, anche se, magari, ha torto marcio; oppure, al contrario, per saper dire – se ciò appare vero – che il debole ha torto e il forte ha ragione?

Noi crediamo che sia vera la seconda delle due alternative. E ne sappiano qualche cosa, ricordando il clima di autentico ricatto morale che imperava nei dintorni del Sessantotto, quando sembrava che l’unico Vangelo possibile fosse quello di Marx, e che l’unica maniera di amare la giustizia fosse quella di propagandarne il Verbo.

E allora?

Non vogliamo dire, a conclusione di queste riflessioni, che il Mostro Mite non esista. Esiste, eccome.

È il mostro del conformismo, della stupidità, del consumismo becero, dell’affarismo sbracato, della furberia da quattro soldi, dell’edonismo spicciolo, delle verità preconfezionate ad uso e consumo del popolo bue.

La società di massa, infatti, ha soprattutto questo di caratteristico: che sempre il potere cerca il consenso; anche quando si macchia dei crimini più atroci, anche quando inganna il popolo nella maniera più sfrontata e inverosimile.

La cultura di sinistra, in questi ultimi decenni – specialmente in Italia – ha una grave responsabilità storica: l’aver contribuito potentemente, per mezzo di una demagogica ricerca del consenso, all’appiattimento dello spirito critico e alla distruzione dell’indipendenza di pensiero, specialmente nei giovani.

Anch’essa, quindi, ha contribuito a creare il Mostro Mite, che di conformismo vive e prospera. Anzi, da questo punto di vista, le sue responsabilità sono perfino superiori a quelle della destra.

Ma questi, ormai, sono discorsi retrospettivi: perché, lo abbiamo già detto, destra e sinistra sono categorie politiche che appartengono irrimediabilmente al passato.

Oggi, non esistono più. Al loro posto, c’è solo un comitato d’affari.

E il Mostro Mite è proprio questo: il consenso che le masse riservano al comitato d’affari, lasciandosi manipolare nella maniera più esplicita, a dispetto di ogni evidenza e di ogni residuo, anche minimo, di buon senso.

Siamo noi, il Mostro Mite.

E l’abbiamo costruito insieme: la sinistra, non meno della destra.

Per cui non è nemmeno pensabile che lo si possa sconfiggere, se si continua a pensarlo come una controparte politica o ideologica, rispetto alla quale esisterebbe un’area culturale – quella della sinistra vera, della sinistra autentica -, che sarebbe del tutto pura innocente.

Queste sono favolette da raccontare ai bambini, e comodi alibi per chi non ha voglia di fare i conti sino in fondo con se stesso.

Il Mostro Mite si combatte solo ed esclusivamente ridestando il senso critico e l’indipendenza di giudizio, ossia restituendo gli individui alla loro dignità di persone, contro il livellamento e l’omologazione proprie ai meccanismi della società di massa.

Per essere uomini liberi, non occorrono tessere e attestati di destra o di sinistra.

Basta avere un poco di rispetto per se stessi.

Francesco Lamendola
Fonte: www.ariannaeditrice.it/
Link: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=21778
18.10.08

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