DI MASSIMO FINI
ilfattoquotidiano.it
Nei talebani io non difendo solo il diritto elementare di un popolo, o parte di esso, a resistere all’occupazione straniera, comunque motivata. In ciò che accade in Afghanistan io vedo, simbolicamente e concretamente, la lotta dell’uomo contro la macchina. Da una parte gente che si batte con i propri corpi, il proprio coraggio, fisico e morale, con armi del secolo scorso, dall’altra i robot, i Dardo e i Predator, aerei senza equipaggio, i missili che colpiscono a distanza di 300 chilometri e, più in generale, un apparato tecnologico sofisticatissimo dove la parte del combattente è ridotta al minimo.
In ciò che accade in Afghanistan io vedo, simbolicamente e concretamente, la lotta dell’uomo contro il denaro. In Afghanistan alcuni dei Paesi più ricchi del mondo hanno aggredito uno dei più poveri, ma non ce l’hanno fatta a piegarlo. Abbiamo cercato di comprarli in tutti i modi, i talebani, ma non ci siamo riusciti. Sulla testa del Mullah Omar, dopo la sua rocambolesca fuga in moto, pendeva una taglia di 50 milioni di dollari. Con una cifra simile, da quelle parti, si compra tutto l’Afghanistan e anche un po’ di Pakistan. Ma non se n’è trovato uno solo che tradisse Omar. Quando Abdul Salam Zaeef, ex ambasciatore talebano in Pakistan, fu catturato e imprigionato, venne sottoposto al consueto trattamento tipo “Abu Ghraib”, spogliato nudo dai militari americani, uomini e donne, e deriso mentre un commilitone scattava fotografie (sono i metodi della “cultura superiore” totalmente estranei a quella afghana, del resto i talebani non hanno mai torturato i prigionieri, li hanno sempre trattati con rispetto).
Racconta Zaeef (“My life with the Taliban”) che gli americani volevano da lui una cosa sola: delle indicazioni per trovare il Mullah, in cambio gli offrivano la libertà e molti soldi. Zaeef rispose: non si vende un amico e un compagno di battaglia per la libertà e tanto meno per denaro. La Cia, toccando il fondo dell’ignominia e del ridicolo, non sapendo cos’altro fare per “conquistare i cuori e le menti degli afghani” è arrivata a offrire ai capi tribali, che hanno più mogli, il viagra. Gli americani sono convinti che tutto si possa comprare col denaro. Invece non si può comprare chi è disposto a morire per le proprie idee, giuste o sbagliate che siano (“Ni se compra ni se viende el cariño viertadero“, non si compra e non si vende l’amore vero dice una vecchia canzone spagnola). Non si può comprare chi non fa del denaro la propria priorità.
Omar, quando era al potere, viveva in un ufficio amministrativo di sette stanze, zeppo di funzionari che lo aiutavano nel suo lavoro e le sue tre mogli e i cinque figli hanno continuato ad abitare nel poverissimo villaggio della sua giovinezza, Sungesar, senza cambiare in alcun modo il loro tenore di vita, né Sungesar ha ricevuto alcun vantaggio dal fatto che uno dei suoi “enfants de Pays” era diventato il capo del Paese. La rivoluzione talebana è interessante anche per altri motivi. Si apparenta, in un certo senso, alla Rivoluzione francese che spazzò via il mondo feudale per imporre poi all’Europa, sulla punta delle baionette di Napoleone, un unico diritto. Anche i talebani spazzarono via il mondo feudale afghano, quello dei “signori della guerra”, e al posto dell’arbitrio imposero, nel loro Paese, un’unica legge, la Sharia. La differenza è che mentre la borghesia guardava in avanti, i talebani guardano indietro, a un mondo regolato, sul piano del costume, da leggi arcaiche risalenti al VII secolo arabo-musulmano senza però respingere alcune, poche e mirate conquiste tecnologiche della modernità. Una sorta di “Medioevo sostenibile” che a me pare più innovativo e comunque più interessante del nostro “sviluppo sostenibile”.
Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
Link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/13/l’uomo-e-la-macchina-nei-talebani-io-non/76633/
13.11.2010