DI KARL MULLER
mondialisation.ca
Appena un anno e mezzo fa, nel maggio 2008, il 55% dei votanti irlandesi diceva no al Trattato di Lisbona. Il 2 ottobre 2009 erano solo il 35%, sebbene il Trattato sia lo stesso.
Una cosa simile è possibile grazie ai metodi dell’UE. Ed è alquanto inquietante, poiché questi metodi han raggiunto alto livello di machiavellismo.
Abbiamo spezzato le gambe agli Irlandesi. Sappiamo bene che sono loro ad aver sofferto maggiormente della politica finanziaria dell’UE, ma se ne sa molto meno del fatto che l’UE se l’è presa duramente con l’identità religiosa di questo popolo. Così duramente, che all’inizio del giugno 2009, molti mesi prima del referendum, il Frankfurter Allgemeine Zeitung, parlando della campagna contro la Chiesa cattolica d’Irlanda, in un articolo intitolato “L’Irlanda dubita di sé stessa”, giungeva a questa conclusione: “Secondo i sondaggi d’opinione irlandesi, questa volta il sì al Trattato di Lisbona sarà maggioritario”.
Naomi Klein ha chiamato la strategia usata verso l’Irlanda “strategia dello choc” e ha scritto un importante libro in proposito [1]. Si tratta di una politica di forza che, servendosi di metodi brutali, mette la popolazione di un paese in uno stato di choc paralizzante e usa questa paralisi per imporre una politica contraria agli interessi del popolo.
E ora, il presidente della Repubblica Ceca Václav Klaus è al centro del mirino. All’inizio del dicembre 2008, si è potuto rendere conto del modo in cui l’UE tratta chi non vuole sottomettersi ai diktat di Berlino, Parigi, Londra e Bruxelles. Un gruppo di deputati del Parlamento europeo è andato a trovarlo e l’ha obbligato a pubblicare, dopo l’incontro, il verbale dei loro incontri [2]. Vi si leggono chiaramente le idee del parlamentare Daniel Cohn-Bendit: “Il suo parere sul Trattato di Lisbona non mi interessa. Dovrà ratificarlo. Inoltre, voglio che mi spieghi il grado di amicizia che la lega al Signor Ganley [capo del partito irlandese Libertas, la cui campagna ha contribuito in maniera notevole al successo del no al referendum del maggio 2008]. Come può incontrare un uomo di cui non si conoscono i finanziatori? Vista la vostra funzione, non deve rincontrarlo”.
Il presidente ceco ha reagito in un modo abbastanza comprensibile: “Da sei anni [da quando è presidente], nessuno mi ha mai parlato con questo tono. Non siamo sulle barricate di Parigi. Credevo che tra di noi non si usassero più questi metodi da 19 anni. Vedo che mi sono sbagliato. Non avevo vissuto niente del genere da 19 anni. Credevo che tutto questo appartenesse al passato, che vivessimo in una democrazia, ma l’UE funziona proprio come una post-democrazia. Avete parlato di valori europei. Questi sono innanzitutto la libertà e la democrazia ed è a questo valori che sono maggiormente attaccati i cittadini dell’UE, ma oggi essi spariscono pian piano”.
Ecco il punto di vista ufficiale: il presidente dell’UE Reinfeldt prima dell’incontro con il primo ministro ceco Fischer a Bruxelles, ha dichiarato: “Nel conflitto riguardante la ratificazione del Trattato di Lisbona, l’Unione europea non vuole esercitare pressioni sulla Repubblica Ceca. Dobbiamo rispettare il processo di ratificazione in questo paese”. (Deutschlandfunk, 7 ottobre).
Anche il Neue Zürcher Zeitung – pur non essendo la Svizzera membro dell’UE – scriveva, il 6 ottobre: “L’ultimo atto della tragedia ceca sul Trattato di Lisbona con Václav Klaus nel ruolo principale, finirà presto. Se il presidente non vuole piegarsi, la cosa più logica sarebbero le sue dimissioni”.
È facile capire cosa l’aspetta. Nel frattempo, ci si chiede già chi dovrebbe occupare il nuovo posto di presidente dell’UE. Molti parlano dell’ex primo ministro britannico Tony Blair. Bene, bisogna sapere che Blair è un bugiardo e un criminale di guerra che ha perso la stima di tutto il pianeta. Se questa proposta è seria – e ci sono varie ragioni per crederlo – questo vuol forse dire che l’UE non prende affatto in considerazione l’opinione mondiale.
Ma questo può anche voler dire che coloro che tirano i fili nell’UE non vogliono che quest’ultima sia capace d’agire e preferiscono un insieme di Stati paralizzati e impotenti, Stati che devono essere tenuti al guinzaglio da un paio di Stati, nell’interesse di grandi potenze nazionali e diretti dall’alta finanza: primi fra tutti, la Francia di Sarkozy e la Germania di Merkel. Bisogna prendere sul serio le nuove maggioranze del Consiglio formatesi in base al Trattato di Lisbona e l’avvertimento lanciato dal ministro lussemburghese degli Affari esteri Jean Asselborn all’inizio dello scorso maggio: “L’UE è cambiata: è sottomessa alla volontà di un direttorio di grandi e di qualche loro vassallo”.
Da molto tempo, la Germania, la Francia (e la Gran Bretagna) conducono una politica di grandi potenze, servendosi dell’UE per raggiungere i propri scopi: in particolar modo, la Germania in Europa dell’Est e del Sud-Est, la Francia nello spazio mediterraneo. Quanto alla Gran Bretagna, essa continua la politica di ex potenza coloniale.
Il Trattato di Lisbona è un trattato leonino per gli altri paesi europei. Non vale la pena aderire all’UE e quelli che sono obbligati a farlo, potrebbero chiedersi se non dovrebbero uscirne.
Karl Müller
Fonte: www.mondialisation.ca
Link: http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=15779
22.10.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARINA
[1] Naomi Klein, Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, Rizzoli, Milano 2007
[2] Cfr. http://www.welt.de/welt_print/article2848566/Kein-Besuch-von-Freunden.html