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La Redazione

 

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L’ultima guerra

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A cura di Davide
Il 8 Ottobre 2016
87 Views

DI PIOTR

megachip.globalist.it

  1. È col cuore grave che sono costretto a prendere atto che dal giorno 6 ottobre 2016 una guerra tra la Russia e gli USA è possibile in ogni momento. Una guerra che può avere devastanti effetti anche per noi. Per quanto sia orrendo e penoso parlarne, bisogna farlo, perché i grandi media nascondono questa serissima eventualità. Non ne parlano perché vogliono continuare a farci pensare a una guerra mondiale come a un videogioco e perché vogliono continuare a convincerci che lo Zio Sam alla fine prevarrà, perché è il più forte e perché è nel giusto, qualsiasi cosa faccia.

Perché un’affermazione così brutale (o catastrofista, come mi vien detto)?

Bene, questo è lo svolgimento del dramma, in tre atti:

Atto 1. A margine dell’Assemblea Generale dell’ONU di qualche giorno fa, il segretario di Stato, John Kerry, si incontra con esponenti dei “ribelli” siriani, i quali sono preoccupati per come stanno andando le cose e soprattutto per il fatto che gli USA non abbiano mai attaccato militarmente Damasco. Kerry farfuglia le cose che potete leggere nell’articolo “Ad Aleppo si gioca il destino del mondo“, che per il tema qui riguarda in sintesi suonano così:

“Le cose sono andate storte fin da subito e con l’intervento russo sono andate ancora peggio. Non ce l’aspettavamo e ora intervenire direttamente contro Damasco vuol dire scontarsi direttamente coi Russi” [1].

Questo colloquio, che dovrebbe essere riservato, viene registrato (evidentemente da uno dei “ribelli”) e passato al New York Times, ex quotidiano liberal e oggi attestato su posizioni che fanno quasi rimpiangere persino Nixon boia. Il NYT lo spiffera immediatamente. Perché? Perché essendo un giornale clintonoide deve sostenere il superfalco Hillary Clinton. Una posizione che potremmo tradurre brutalmente così: “Vedete in che schifo di situazione siamo finiti per colpa di questa politica tentennante? Dobbiamo far vedere i sorci verdi ai Russi. Ed è quello che vuole Hillary non Donald”.

Atto 2. L’addetto stampa della Casa Bianca, John Earnest, fa sapere ai giornalisti che si sta discutendo sulla possibilità di una campagna militare diretta contro la Siria (quella indiretta appaltata ai tagliagole è in difficoltà).

Perché viene fatto sapere? Di solito gli attacchi si tengono segreti, a meno di non volere fare propaganda e pubblicità alla propria possanza, dimostrazione di muscoli, come i giocatori di wrestling prima degli incontri, per esaltare i propri fan (e infatti questa notizia è stata riportata con entusiasmo dai nostri media). Ma può andar bene con uno Stato isolato internazionalmente, come lo era l’Iraq al momento della guerra del Golfo (all’epoca l’Unione Sovietica stava collassando) e poi indebolito da anni di embargo al momento dell’invasione (Putin era impegnato a rimarginare le ferite inferte alla Russia dal suo predecessore, il cleptocrate Boris Eltsin, pupazzo di Washington). Invece non può andar bene con la Siria, compatta oltre ogni aspettativa e sostenuta da una rediviva Russia che ha mostrato di possedere non solo determinazione ma anche armi micidiali e precisissime che nessuno si aspettava.

Perché allora questo annuncio?

La cosa viene spifferata per tre motivi: a) spaventare la Russia e vedere come reagisce , b) dar fiato alle trombe dei clintonoidi in vista delle elezioni, c) rassicurare gli alleati e i vassalli che, come si dice nello sport, gli USA “ci sono ancora”.

Questa dichiarazione è raddoppiata dalle parole – nascoste dai nostri media – pronunciate dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito degli Stati Uniti, Mark Milley, a una conferenza delle Forze Armate statunitensi. Sono affermazioni impressionanti, scandite con un’aggressività sconvolgente. Cose che non si sentivano in Occidente dai tempi di Hitler e Mussolini. Un vero “Spezzeremo le reni”.

Nel suo discorso risaltano due affermazioni.

La prima:

Voglio essere chiaro con coloro che, in tutto il mondo, vogliono distruggere il nostro stile di vita e quello dei nostri alleati e amici . noi vi fermeremo e vi colpiremo più duramente di quanto siate mai stati colpiti. Non c’è alcun dubbio a riguardo.

E la seconda:

Siamo in grado e continueremo ad esserlo di dispiegarci rapidamente. E distruggeremo qualsiasi nemico, ovunque e in qualsiasi momento“.

Sarebbe semplice retorica guerresca, se non fosse per una cosa molto inquietante: in mezzo a quelle due affermazioni sono citati esplicitamente quattro Paesi, cioè la Russia, la Cina, l’Iran e la Corea del Nord, cioè poco meno di un terzo dell’Umanità, che quindi da quelle due affermazioni viene serrata in una parentesi di fuoco.

Attenzione che qui ricompare la dottrina di Bush jr: “Non negozieremo mai il nostro stile di vita”, che significa: “Non accetteremo mai una rinegoziazione dei nostri interessi e quindi della posizione di potenza che li sorregge”.

Il delirio di queste parole è sottolineato dalla precisazione che segue:

Inoltre, il campo di battaglia sarà enormemente complesso, quasi certamente in aree urbane densamente popolate, contro un nemico sfuggente e ambiguo che unisce a terrorismo, guerriglia e abilità convenzionali una numerosa popolazione civile“.

A parte la parola “terrorismo” che va bene in ogni occasione e nello specifico serve a lasciar spazio alle ambiguità e alle eventuali smentite, a chi si riferisce il super-generale quando parla di “numerosa popolazione civile”?

A me vengono in mente per prima cosa la Cina e poi la Russia. Se è così il nostro pluridecorato generale si è dimenticato delle prime due regole del “Manuale di guerra” del Maresciallo Montgomery: “Prima regola: non marciare mai su Mosca. Seconda regola: non marciare mai su Pechino”.

C’è da essere spaventati da un’insania simile. Non vi pare? Io lo sono, e molto. Anche perché fa parte di quella occupazione della scena da parte dei settori neocons che sta sempre più manifestandosi in questa sorta di vacanza di potere che ci sarà fino a gennaio.

Da qui a gennaio può succedere di tutto. E dopo anche qualcosa di peggio [2].

Atto 3. Ed ecco come reagisce la Russia. Non lo sapete perché i grandi media non ve lo dicono, perché non è bene che lo sappiate, perché l’orso russo deve essere dipinto come grosso, cattivo ma alla fine vulnerabile. Ma la dichiarazione è ufficiale ed è stata immediata. Il portavoce del ministero russo della Difesa, il generale Igor Konashenkov, ha per prima cosa rammentato agli Stati Uniti la gittata e le capacità di intercettazione dei missili dei sistemi di difesa antiaerea S-300 e S-400 schierati in Siria.

Ha poi sottolineato che questi sistemi sono in Siria non in funzione offensiva ma per difendere le forze russe ivi dislocate e che gli Stati Uniti sono invitati ad essere matematicamente certi che saranno usati se i soldati russi verranno attaccati da chicchessia.

E infine – ecco dove si voleva arrivare – ha ricordato che i soldati russi operano sul terreno con le forze armate siriane e che quindi ogni attacco a queste sarà considerato un attacco alle forze armate russe [3].

  1. Ecco quanto. Nel frattempo 40 milioni di Russi hanno partecipato a un’esercitazione di difesa antiatomica. Nessuno fa interrompere la vita normale privata e produttiva a 40 milioni di persone se non fosse veramente preoccupato.

Francamente non so come andrà a finire. Gli USA all’inizio del III millennio avevano una sola preoccupazione: la Cina. I think tank neoconservatori prevedevano che il Regno di Mezzo sarebbe diventato un avversario strategico nel 2017. Il loro obiettivo principale era il “pivot to Asia” e per smuovere alla svelta la strategia statunitense in quella direzione speravano in “some catastrophic and catalyzing event, like a new Pearl Harbor“. Questo nel settembre 2000. Nel settembre 2001 furono esauditi con le Torri Gemelle. La Russia all’epoca dava pochi pensieri. Vero, al posto di Eltsin c’era già Putin, ma la svendita criminale e mafiosa della ex Unione Sovietica da parte del primo e l’orgia di neoliberismo che la stava attraversando la mantenevano ancora in uno stato di estrema debolezza e di vassallaggio. In vista della svendita, Eltsin aveva fatto valutare la Madre Russia, dal sottosuolo, alla superficie, all’atmosfera, da economisti di Harvard, così come si fa valutare la cantina, l’appartamento e il terrazzo di un immobile. Il risultato netto fu che dal 1992 al 2000 il numero dei decessi in “sovrappiù” fu calcolato dai demografi tra i cinque e i sei milioni (Wall Street Journal) e l’accorciamento dell’aspettativa di vita dei russi fu di sette anni. Putin fermò il degrado e invertì con decisione la tendenza. C’è poco da meravigliarsi se i sondaggi occidentali gli accreditano un consenso personale che varia dall’80 al 90 per cento dei Russi.

È dai tempi del Raj britannico in India che il liberismo ha portato disastri di immani proporzioni nei Paesi subordinati (e ora erode come un cannibale che mangia se stesso anche i Paesi al top della gerarchia). Per salvarsi la Russia non aveva altra scelta che insubordinarsi. Ed è quello che ha fatto Putin. Da qui il nuovo mal di testa (e l’odio) dei neoconservatori statunitensi.

Più che di pivot to Asia, l’egemonismo americano ha quindi ora bisogno di un pivot to Eurasia, un pivot da Lisbona a Vladivostok. La risposta militare al sogno di Putin del 2010 di creare un mercato unico dall’Atlantico al Mar del Giappone. Il 2010. Solo sei anni fa. Un’altra epoca storica. È la frenetica dinamica dello showdown della crisi sistemica.

  1. Quanto seriamente le élite americane pensano di poter rischiare o addirittura scatenare una guerra termonucleare?

Quando sento esponenti politici statunitensi anche di altissimo livello che straparlano di “eccezionalismo americano”, di “nazione indispensabile”, di “missione universale”, penso che non in pochi ci sia, al di là di aggressive tecniche di public relations, un vero invasamento ideologico, un auto-convincimento. La cosa peggiore.

Le élite più legate al mondo degli affari probabilmente sfruttano le intemperanze della prima, si nascondono dietro di esse, per mantenere le posizioni e se possibile guadagnarne altre, ma non so fino a che punto vogliano rischiare uno scontro diretto con la Russia. Queste élite economiche e soprattutto finanziarie, sono autonome dalla politica anche se la devono usare (e il favore è reciproco). Proprio la loro autonomizzazione dalla politica segna in Occidente lo stacco dallo stadio feudale e l’entrata in quello capitalistico. Lo stato del loro patrimonio è più importante di ogni fedeltà ideologica e nazionale (mentre l’Esercito degli Stati Uniti affondava nel pantano vietnamita, queste élite facevano espatriare i loro capitali nei paradisi off-shore: bella fedeltà!).

Da questo punto di vista la cosa sembrerebbe allora rassicurante. Perché per voler scatenare una guerra termonucleare occorre avere in testa un progetto, anche ideale, grandioso e le élite economico-finanziarie non sono capaci di progetti grandiosi. Possono essere immensamente ricche ma i loro progetti alla fine sono micragnosi. Però si rendono conto che senza l’egemonia americana, che è un fattore politico anche quando giocato con strumenti economici e finanziari, il loro patrimonio e quindi la loro posizione di forza nella lotta intercapitalistica si possono indebolire in misura drastica. E sono troppo micragnose per avere un piano di riserva, per poter accettare un ridimensionamento e sviluppare strategie e contesti fuori dagli schemi a cui sono abituate e che fino a quel momento le hanno fatte prosperare.

Alla fine temo che gli automatismi politici e quelli economico-finanziari si interlaccino dando luogo a un evento catastrophic and catalyzing che nessuno singolarmente in realtà voleva (se non alcuni invasati). Perché la loro interazione ha sempre dato luogo a dinamiche imperiali potenti.

Ma una volta non c’era la crisi sistemica e quindi queste dinamiche potevano sfogarsi, ad esempio cambiano le combinazioni input-output, variando le scelte. C’erano margini di manovra. Addirittura, l’impero statunitense poteva accontentarsi solo di mezzo mondo, il cosiddetto “mondo libero” (così chiamato anche se c’erano dentro dittatori fascisti sudamericani e l’Arabia Saudita). Ora la crisi sistemica rastrema sempre di più lo spazio delle soluzioni e allarga quello dei problemi. E l’egemonia deve essere estesa a tutto il mondo. Per contro ciò imprime maggior forza alle interazioni tra il potere del denaro e il potere del territorio e quindi gli urti in quello spazio sempre più stretto aumentano, sempre più violenti. Non c’è nessuna legge fisica che possa spiegare ciò, perché qui la meccanica dei fluidi e quella dei solidi si fondono.

  1. L’unica possibilità di uscirne vivi è che l’impero si de-imperializzi, accetti un mondo multipolare e in quello negozi la propria nuova posizione. Il contrario della dottrina dei neocon. Noi, l’Italia e i Paesi europei, dobbiamo facilitare, promuovere questa inversione di marcia. Per farlo dobbiamo opporci alle politiche imperiali, non c’è altro da fare [4].

Occorre privilegiare i rapporti non coi settori disponibili a un olocausto nucleare ma con quelli disponibili ad adattarsi al mondo multipolare. Un adattamento non semplice, ma imperativo, e che quindi ha bisogno di collaboratori non di leccapiedi. Se, come penso, solo il potere politico è in grado di avere un progetto grandioso, occorre allora che negli USA riesca ad esprimersi un potere il cui grandioso progetto sia quello di non fare una guerra [5].

Non sarebbe la fine dei problemi, perché l’inizio dei problemi è la cattiva infinità del processo di accumulazione.

E quindi non è nemmeno la rivoluzione, ma non si può fare nessuna rivoluzione se si è tutti morti.

È vero, spesso gli schemi si ripetono. Anche John Hobson all’inizio del secolo scorso implorava l’Impero Britannico di adeguarsi al nuovo mondo multipolare di allora per evitare una guerra mondiale. Ma l’Impero s’impuntò e così iniziò un lunghissimo conflitto armato segnato da due grandi battaglie. La prima fu chiamata I Guerra Mondiale e la successiva II Guerra Mondiale. L’Impero vinse nella conta finale dei morti, ma perse l’egemonia mondiale che passò agli USA.

È vero, il genere umano c’è ancora, ma gli schemi non si ripetono nelle stesse condizioni. Mai. Le devastazioni della I Guerra Mondiale (che doveva essere l’ “ultima guerra”) superarono quelle di tutte le guerre precedenti, ma vennero ampiamente surclassate da quelle della II Guerra Mondiale (che doveva essere l’ “ultima guerra”). Ma le devastazioni della III Guerra Mondiale non verranno superate da quelle seguenti perché non rimarrà più niente da devastare.

Quella con molta probabilità sarà veramente l’ultima guerra.

Postilla. Come dicevo, se si fanno discorsi come questi una delle accuse classiche è quella di “catastrofismo”. Ma cosa s’intende con “catastrofismo”?

La preoccupazione pacifista di John Hobson? Purtroppo aveva visto giusto e infatti ci fu la catastrofe della I Guerra Mondiale.

Oppure s’intende l’accusa di Sir Maynard Keynes alla propria parte, cioè alla Gran Bretagna (e alla Francia) che le imposizioni dei vincitori ai negoziati di pace di Versailles avrebbero lastricato la strada verso una seconda guerra mondiale? Purtroppo anche lui vide giusto.

Ma a volte “catastrofismo”, oggi, significa: “Ma dai! A noi queste cose non possono più capitare. Capitano solo ai popoli sfigati”. Innanzitutto quei popoli sono sfigati perché qualcuno a migliaia di chilometri di distanza ha deciso a tavolino che così dovevano essere. Pensavate forse che i Siriani si aspettassero questa catastrofe anche solo nel 2010? No, non se l’aspettavano affatto, vivevano in modo normale la loro vita di tutti i giorni e senza questa preoccupazione. Semmai erano contenti che le aperture di Bashar al-Assad attiravano un crescente afflusso di turisti. La loro sfortuna è stata l’avere a che fare con quelli che si reputano i padroni del mondo. Possiamo comunque dare una pacca sulle spalle alla madre siriana che piange il proprio figlio o la propria figlia dicendole: “Suvvia! Non essere così catastrofista!”.

In secondo luogo nemmeno ci si rende conto che la “sfiga” è dietro l’angolo. Lo shock del bombardamento di Belgrado fu quello – per chi si degnò di capirlo – della prima capitale europea bombardata in cinquant’anni dalla fine della II Guerra Mondiale. Lo shock del conflitto in Novorussia – per chi si degna di essere scioccato – è quella di una feroce guerra al centro della civile Europa.

Europa! De te fabula narratur!

 

Piotr

Fonte: http://megachip.globalist.it

Link: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=126608&typeb=0&l-ultima-guerra

8.10.2016

 

 

NOTE

[1] Alcuni commenti. In primo luogo le cose sono andate fin da subito male perché la popolazione siriana sta col suo presidente e l’esercito, tra l’altro quasi tutto sunnita e non sciita, non ha defezionato. Se uno fosse stato in Siria prima dell’aggressione avrebbe capito benissimo che le cose sarebbero andate in questo modo e che i Siriani abituati a decenni di laicità e di rispetto di tutte le religioni e, proprio da quando c’è Bashar al-Assad, di progressive e costanti aperture liberali, sarebbero disposti a combattere fino all’ultimo uomo pur di non cadere nelle mani dei tagliagole fondamentalisti.  Provate a pensare se Milano, Roma, e Torino fossero circondate da migliaia di fanatici con bandiere nerorociate provenienti da tutto il mondo e che vogliono imporre la Santa Inquisizione brandendo tenaglie e ferri roventi come simboli. Avrete un’idea esatta di cosa pensano in questo momento gli abitanti di Damasco, di Latakia e di Aleppo. In secondo luogo io penso che gli USA sapessero da tempo che Mosca stava per intervenire (il rifornimento della base russa è durato mesi). Infine il bombardamento statunitense contro la postazione dell’Esercito Arabo Siriano di Deir ez-Zor dove sono stati uccisi anche soldati russi, dimostra chiaramente che ogni intervento diretto degli USA contro Damasco rischia di essere un attacco diretto alla Russia. Lo si tenga bene a mente perché serve a capire l’ultimo passaggio, il terzo.

[2] Alcuni commentatori negano che sia in atto un “soft coup“, sulla base del fatto che se Obama non interviene, pur potendolo fare, allora vuol dire che è d’accordo, anzi, che i generali stanno eseguendo i suoi ordini. Ho già spiegato perché non la penso così. Qui ricordo solo che sulla Siria c’erano visioni strategiche contrastanti fin dall’inizio della crisi. Gli Stati Uniti non sono un monolite, come non lo è nessun Paese, nemmeno la Russia o la Cina. E la crisi sistemica approfondisce le divisioni, perché se è vero che le scelte sono minori, i contraccolpi di quelle sbagliate sono più violenti che mai.

[3] Per capire compiutamente che Mosca è veramente preoccupata e che quindi queste dichiarazioni non sono una dimostrazione muscolare, al contrario di quel che può succedere negli States, bisogna rendersi conto che rispetto alla NATO e alla Coalizione, la Russia in Siria è in una posizione di enorme inferiorità di uomini, di mezzi aerei e di mezzi navali. Questo per i signori e le signore che sbraitano che la Russia è aggressiva. Anche se volesse esserlo non potrebbe, perché non solo in Siria ma in generale è ancora in condizioni di grande debolezza nei confronti degli USA. Altrove ho anche spiegato chiaramente perché, comunque, la pace e non la guerra è nei suoi interessi. Ripeto, nei suoi interessi: non sto tirando in ballo patenti di sanità primigenia di una nazione rispetto a un’altra (la sanità o l’insania di una nazione, anche nei suoi aspetti ideologici, la crea la Storia, non la metafisica).

[4] Per certi versi gli USA fanno bene a non fidarsi troppo di noi. Ma non perché saremmo propensi a un delinking dalle loro politiche imperiali, ma, paradossalmente, proprio perché lecchiamo i piedi. Sanno benissimo che nutriamo un rancore sordo per tutte le schifezze e gli oltraggi che abbiamo dovuto ingoiare (si pensi solo al famoso “Fuck the EU!” di Victoria Nuland) e quindi al di là delle parole di circostanza e dell’ubbidienza acefala, saremmo ben contenti di vedere il nostro “amato alleato” schiantarsi contro un grosso ostacolo e uscirne totalmente rintronato. Dei veri amici dovrebbero evitare che l’altro si schianti e quindi dovrebbero cercare di farlo uscire dal cul-de-sac in cui si è infilato, non incitarlo festeggianti ad andare sempre più veloce contro il muro.

[5] Tutto sommato, un progetto grandioso simile era quello del New Deal Mondiale di Roosevelt, dopo la guerra. In questo new deal rientrava persino l’Unione Sovietica di Stalin. E Stalin ne era soddisfatto. Non ne erano invece soddisfatte certe élite statunitensi e gran parte del Congresso, sensibile al loro lobbying. Così, ma solo dopo il soddisfacente scoppio delle due atomiche su Hiroshima e Nagasaki, il nuovo presidente, Truman, decise che l’intero Mondo era troppo grande ed era meglio dividerlo in due parti, uno libero, da inglobare, e l’altro no. Era l’inizio della Guerra Fredda.

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