DI CARLO BERTANI
“Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro’ndera
ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà.
Buon Dio è già scappato, dove non si sa
buon Dio se n’è andato, chissà quando ritornerà.”
Fabrizio de André – Girotondo – dall’album Tutti morimmo a stento – 1968.
Tempo di finanziarie, tempo di mille questue ma anche di corruzioni in corso d’opera, sponsorizzazioni più o meno regolari – più o meno occulte – a questo o quel partito o corrente per ottenere sgravi, sovvenzioni, leggi ad hoc. Poche settimane fa è salito alla ribalta De Benedetti per la sua Sorgenia, ma non è l’eccezione, bensì la regola: non indigniamoci più di tanto, un De Benedetti qualunque non fa Primavera.
Un capitolo sempre chiuso e silente, in Italia, è quello che riguarda l’IRPEF, ossia l’imposta sul reddito: eppure è l’imposta più importante della Finanziaria, poiché lo Stato trae da quel gettito circa il 30% delle sue entrate. E sono sempre alla ricerca di nuove tasse e balzelli per incrementare la parte attiva.
Sulla gestione dell’economia italiana non stiamo a perdere troppo tempo: è amministrata da tecnici, in continua contrapposizione con la volontà di famelici dilettanti allo sbaraglio. Più in alto, i voleri dei potentati europei che dirigono a bacchetta i dilettanti allo sbaraglio: gente che non sarebbe nemmeno in grado di gestire un negozio e pretendono di guidare una nazione.
Beh, queste cose le sappiamo ma – proprio perché il dibattito è rovente (euro/no euro) – vi voglio ricordare le attuali aliquote dell’IRPEF, che contengono qualche sorpresa. Eccole:
0 – 15.000 euro > 23%
da 15.001 a 28.000 euro > 27%
da 28.001 a 55.000 euro > 38%
da 55.001 a 75.000 euro > 41%
oltre i 75.000 euro > 43%
Oltre all’aliquota, scattano le detrazioni: queste, però, sono oggetto di continui cambi e “rimodulazioni” che renderebbero questo articolo un dramma per tener dietro a tutte le invenzioni di questi governi. Una cosa, però, salta subito agli occhi.
Dalla tabella, si nota come un contribuente che dichiari 75.000 euro lordi (che corrispondono pressappoco a 40.000 euro netti, 3.300 euro al mese approssimati) paga la stessa aliquota di chi guadagna milioni di euro. Ossia: io che guadagno (magari!) 20.000 euro netti il mese (è il caso di politici e boiardi di stato) – approssimativamente – sono trattato come colui che ne guadagna 3.300, come se fosse la stessa cosa! Ancor più chi, di euro, ne guadagna 300.000 il mese: sempre come chi ne guadagna 3.300!
Un siffatto lavoro è stato portato avanti soprattutto dai governi di Silvio Berlusconi, ma gli altri mica hanno cambiato le aliquote: della serie, Dio li fa e poi li accoppia. La giustificazione? Semplice: non si riteneva “morale” che qualcuno fosse tassato per più di metà del proprio reddito.
Questo comporta – secondo la Consulta (vedi la recente sentenza della Corte Costituzionale sulle “pensioni d’oro”) – che i pensionati “d’oro” non possono pagare aliquote più alte rispetto a quelle che pagavano quando lavoravano. Sempre per la stessa ragione, una “morale” molto discutibile.
Così, dobbiamo sentirci ammansire discorsi sulla morale da chi ha dilapidato il bilancio dello Stato in mille rivoli di corruzione: si va da “er Batman” alla Di Girolamo “mandagli i controlli e vaffanculo”, e non stiamo a farla lunga.
A parte la morale, c’è un articolo della Costituzione che recita:
art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Il debito pubblico è volato al 132% sul PIL (2008 = 106%) e la giustificazione è sempre la stessa: la crisi…eccetera, eccetera…
Bighellonando sul Web, mi sono imbattuto nella serie storica delle aliquote IRPEF ed ho preso a paragone la Finanziaria 1983: trent’anni esatti. Nel 1983 – lo dico per i più giovani – non si stava tanto male, perché la politica di Reagan non aveva ancora generato i suoi devastanti frutti negli USA, poi ricaduti sul mondo intero. Della serie: bisogna pagare di meno la gente e farla lavorare di più e con meno certezze per il futuro, il nuovo diktat del potere. Grandi investimenti in armi – la marina delle “600 navi” per piegare l’URSS nella corsa agli armamenti – ed uno spiccato senso “morale” della ricchezza, già presente nel mondo protestante: risultato, l’indice di Gini (1) – che misura la disparità nella distribuzione della ricchezza – è schizzato verso l’alto.
In quegli anni, era considerato normale uscire la sera per andare a mangiare una pizza senza fare i conti col portafogli, oppure fare un acquisto – anche abbastanza oneroso – per la casa un Sabato pomeriggio qualunque, passando di fronte ad una vetrina.
Insomma, le potenzialità di spesa degli italiani erano enormemente più alte perché il lavoro c’era, il potere d’acquisto era garantito dalla “scala mobile”, i contratti erano rispettati e nessuno si sognava – com’è successo pochi giorni fa – di chiedere ai docenti di restituire lo scatto d’anzianità percepito nell’anno precedente.
Qualcuno dirà: non c’era l’euro. Vero. Siamo proprio sicuri che la ragione sia tutta lì? Non si discute, qui, l’emissione della moneta e tutte le truffe che si trascina appresso, bensì che – magicamente – risolta quella sia risolto tutto.
Così, ho preso la tabella IRPEF del 1983 (ovviamente in lire, anzi, milioni di lire) e l’ho “trasformata” in una tabella in euro col cambio 1 euro = 1.000 lire, com’è poi avvenuto nel grande impoverimento “programmato” iniziato nel 2002.
Ecco cosa ne è uscito:
fino a 11.000 euro > 18,00%
da 11.000 a 24.000 euro > 27,00%
da 24.000 a 30.000 euro > 35,00%
da 30.000 a 38.000 euro > 37,00%
da 38.000 a 60.000 euro > 41,00%
da 60.000 a 120.000 euro > 47,00%
da 120.000 a 250.000 euro > 56,00%
da 250.000 a 500.000 euro > 62,00%
oltre i 500.000 euro > 65,00%
La “trasformazione” s’è rivelata più congrua rispetto a quella col cambio normale (quasi due euro): ad esempio, notate che la prima aliquota non avrebbe senso (5.500 euro al 18%), mentre in questo modo un senso di realtà ce l’ha (ricordo che sono redditi lordi).
Se confrontate questa tabella con la precedente, osservate che gli scaglioni di reddito non sono poi così diversi, ed anche le aliquote non si discostano troppo dall’oggi. C’è, però, una differenza abissale sui redditi alti.
Come dicevamo sopra, oggi in Italia chi guadagna 75.000 lordi paga la stessa aliquota (ovviamente per la parte eccedente) di chi ha un reddito di 300.000 euro: i quali, ad onor del vero, non sono poi così poco numerosi come si crede.
In quell’Italia, chi aveva alti redditi (es. da 120 a 250 milioni) pagava un’aliquota del 56%, e chi era proprio un Paperone pagava il 65%: aliquote sparite nei parametri italiani.
Non all’estero: se ricordate la nota vicenda della cittadinanza russa dell’attore Gérard Depardieu – per protesta contro l’aumento delle tasse nel suo Paese – in Francia le tasse per gli alti redditi sono di circa il 70% e, nel caso dell’attore, arrivavano all’85%.
Aliquote molto alte, senza dubbio, che permettono, però, alla nazione francese di mantenere un welfare nel quale – ad esempio – vai da qualsiasi medico specialista e lo Stato ti rimborsa quasi tutto (una percentuale fra l’80 ed il 90%).
In questo modo, però, tu chiedi la ricevuta ed il medico è obbligato a consegnarla e dunque a pagare le tasse: in Italia, invece, l’abitudine consolidata e tollerata verso l’evasione si abbatte (ad esempio) come una nemesi sugli studi dentistici, e li sta rovinando. Gli italiani non sono più in grado d’accendere un mutuo per pagare le cure dentistiche: o vanno all’estero, oppure si rivolgono a studi consociati fra dentisti ed odontotecnici che tengono bassi i prezzi. Oppure, per cure di poco conto, si rivolgono alla sanità pubblica.
Anche in Spagna, mentre da noi impazzava la Fornero con le sue devastanti controriforme, il Parlamento aumentava le aliquote della loro IRPEF.
In Italia no: la radice del pensiero di Silvio Berlusconi è proprio che le tasse sono un furto, di conseguenza si preferì danneggiare l’economia vera – “Main Street” – piuttosto che toccare le aliquote. Se ne disinteressò anche Monti, e Letta prosegue sulla stessa strada: non ci sono “voci” – il M5S “ascolta” Stiglitz, ma non ha nel suo programma (2) un punto specifico al riguardo – che qualcuno voglia toccare le aliquote IRPEF, considerate oramai una “sciagura”. Meglio osservare la gente che si suicida, oppure che scappa all’estero: nessuno fiata.
In altre parole: il “sogno” reaganiano iniziato con la “reaganomics” ha raggiunto il suo compimento oggi, quasi 30 anni dopo, e non è detto che non si vada oltre.
Come si può notare, l’euro giunge molto dopo quelle vicende, e non si tiri in ballo l’ECU che non ha mai avuto effetti così devastanti: in ogni modo, il destino dell’UE è segnato per il 2015, anno nel quale entrerà in piena attuazione il “fiscal compact”.
Nessuna delle economie mediterranee è in grado di reggere ad un simile impatto: l’Italia – partendo dal disastro odierno – dovrebbe “risparmiare” (tagli su tutto: chi più ha immaginazione non riesce a raggiungere nemmeno la periferia di quello che ci aspetta) 50 miliardi l’anno. Riflettiamo che il taglio di “soli” 8 miliardi intre anni (che servì a saldare il debito elettorale di Berlusconi sull’ICI), nella scuola, sta distruggendo l’istruzione italiana.
Non siamo in grado d’affrontare simili scenari, come non lo è la Spagna, il Portogallo e la Grecia, ma nemmeno alcune nazioni balcaniche o l’Irlanda. E la Francia?
Inutile accampare scuse: l’Europa – un bel sogno, nulla da eccepire, ma forse al tempo del Trattato di Roma – oggi sta fallendo. Come si può immaginare che l’Italia tiri fuori ogni anno 50 miliardi per vent’anni??? Partendo dal disastro attuale???
Se vogliamo puntualizzare un giro di boa di tutta la situazione – ma solo per la Storia, sia chiaro – lo possiamo cogliere nella famosa lettera (3) della BCE al governo italiano, a firma congiunta Draghi/Trichet, nella quale (per la prima volta!) un’istituzione tecnica esterna allo Stato inviava una lettera “d’intenti” al governo italiano.
Non è una cosa da poco: significa la fine della sovranità nazionale, anche per il contenuto politico che conteneva. Lì, erano già condensati tutti i punti poi approvati da Monti e, oggi, da Letta: leggete attentamente quelle righe, hanno eseguito il compito come degli scolaretti.
Siccome il prelievo di 50 miliardi l’anno per 20 anni sbaraccherà l’Italia già alla prima “rata”, il dibattito sull’uscita dall’euro non ha più molto senso: più realistico è quello sul “dopo euro”.
Diciamo subito che la moneta non ha importanza: può essere un “Euro2” con tasso di cambio diverso oppure una nuova moneta, perché – se noi torniamo alla Lira da soli e basta – il futuro è fosco.
Politicamente, sarebbe più vantaggioso stabilire accordi con i Paesi “PIIGS” i quali, a loro volta, sarebbero liberi di scegliere – in ambito internazionale – nuove alleanze guardando a nuovi mercati. Questa mossa scatenerebbe una nuova guerra in Europa, magari nucleare? Mi sembra poco probabile: è un altro degli escamotage che usano per tenerci buoni.
Non sarebbe una bestemmia stabilire accordi con i Paesi del BRICS che contengano nuovi scambi, magari del tipo merci/tecnologia, poiché siamo perfettamente in grado – se lo vogliamo – di reggere la concorrenza di Berlino sulla qualità (e soprattutto sul design) dei beni tecnologici.
Certo, si tratta di cambiare ragionamenti e priorità: vedremo se il M5S è all’altezza di questi, ardui, compiti perché non abbiamo il tempo d’attendere la “crescita” dei pur bravi ragazzi di Grillo. Purtroppo, l’emergenza vera – il fiscal compact – è dietro la porta.
In fin dei conti, siamo il Paese di Michelangelo e di Galileo, di Volta e di Marconi, della Levi Montalcini e di Rubbia. Ricordiamocelo, ogni tanto.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.it
Link: http://carlobertani.blogspot.it/2014/01/lultima-finanziaria.html
12.01.2014
(2) http://www.beppegrillo.it/movimento/2010/06/test.html
(3) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-29/testo-lettera-governo-italiano-091227.shtml?uuid=Aad8ZT8D (al fondo c’è il collegamento per la seconda parte)