DI MAURIZIO BLONDET
Come va l’Europa dopo il “no” franco-olandese?
Meglio di quanto dicano le prefiche inconsolabili della pseudo-costituzione.
Il Qatar ci ha appena acquistato 60 Airbus.
L’euro è calato rispetto al dollaro a 1,20, il che è bene per le esportazioni (merito involontario anche di Maroni).
Un altro beneficio viene segnalato da William Pfaff (1), il più lucido dei commentatori americani, e perciò ostile all’avventurismo di Bush. Il “no” francese e olandese, dice Pfaff, ha salvato l’Unione da un’espansione indefinita che sarebbe stata fatale alla coerenza politica dell’Europa e ad ogni speranza europea di giocare un ruolo indipendente nel mondo.
Già una UE a 25 ha seri problemi ad accordarsi su una politica estera; una UE che associasse 35 nazioni (alcune delle quali musulmane), ed aperta ad ulteriori e informi associazioni, sarebbe nel mondo una nullità ancora più totale di quel che è. Ed è proprio un’Europa così, allargata fino alla pletora, quella che Bush vuole, quando dichiara che “non è nell’interesse degli USA un’Europa indebolita, meno efficiente e meno efficace”.
Un’Europa come la vuole Bush è quella che ci preparavano gli eurocrati: riempita di satelliti americani (la “nuova Europa” di Rumsfeld), perciò sempre più servilmente prona a mettere le sue forze e le sue risorse al servizio degli Usa nelle sue avventure neo-coloniali, sotto l’egida della NATO. Una NATO che, nata su basi di uguaglianza e decisioni per consenso, ormai è per volontà americana un gruppo di satelliti del Pentagono.
L’ha detto con chiara brutalità Nicholas Burns alla conferenza della NATO in Svezia il 25 maggio scorso.
“Mettiamo le cose in chiaro: la NATO conduce le grandi operazioni militari”, e l’Europa le missioni di mantenimento della pace.
La NATO, ossia le coalizioni messe insieme con vari membri della vecchia NATO dagli USA e sotto il loro esclusivo comando.
L’Europa, ha voluto dire Burns, non si permetta di pensare ad una propria autonomia militare e di sicurezza:
“Se no ci saranno frizioni, e voi [europei] passerete dei brutti momenti”.
Una esplicita minaccia, che gli USA sarebbero in condizioni di replicare a volontà in un’UE allargata a tutti gli amici loro, a 35 domani, a 75 dopodomani.
Ma il “no” alla Costituzione di due Paesi fondatori ha cambiato le cose.
Siccome doveva essere approvata all’unanimità (regola posta dagli eurocrati, e che ora vorrebbero rimangiarsi: cambiare le regole del gioco quando sono loro a perdere è il loro vizio), essa è stata liquidata.
Escogiteranno qualche trucco per riproporre la pseudo-costituzione ai membri recalcitranti?
Ma dei 25 paesi, ben 20 non l’hanno ancora approvata.
E con l’aria che tira, bisogna essere duri di testa per non capire che possono arrivare altri sonori “no”.
Insomma, l’UE allargata è morta.
E se è morta, dice Pfaff, vuol dire che “gli Stati Uniti non avranno un’Europa che ammette la Turchia, l’Ucraina, la Georgia” e magari domani “altri membri del Medio Oriente [delicata allusione a Israele] e degli stati asiatici ex-sovietici”, la cui alleanza gli USA si stanno comprando ad uno ad uno.
Non è l’Europa che fa spazio a tutti quelli che gli americani vogliono premiare per la loro sudditanza, immettendoli nel grasso mercato europeo.
L’UE non è più il bidone della spazzatura globale in cui la Casa Bianca può gettare i rifiuti del mondo, solo perché servono a lei.
Non è il cassonetto aperto ai topi e ratti filo-americani vogliosi di rosicchiare la polpa della ricchezza europea.
L’Europa emersa dal “no” è più piccola, ma appunto perciò ridotta al suo nucleo duro, relativamente più coeso e meno sottomesso alle volontà del padrone globale. L’Europa è più divisa?
Sulla questione cruciale dell’autonomia dagli USA, essa è meno divisa di quanto Wahington pensi.
E’ vero che, liquidata la pseudo-costituzione, una UE che funziona col Trattato di Nizza rafforza nel processo decisionale comune, poniamo, la Polonia (serva degli USA); ma rafforza anche la posizione della Spagna di Zapatero, poco amico di Bush.
Il “no” francese e olandese, conclude Pfaff, segnala una cosa: oggi la “forza” (per usare un termine da Guerre Stellari) sta dalla parte dei popoli che vogliono un’Europa autonoma, che faccia da contrappeso agli Stati Uniti.
Popoli che hanno agito in base “all’impulso primordiale di affermare la propria identità e indipendenza” (2).
Forse Pfaff s’illude generosamente. Speriamo abbia ragione lui.
La strategia di un’identità e indipendenza europea è già segnata, sarebbe perfino facile percorrerla: ci conviene essere più vicini a Mosca e vendere armi alla Cina, riannodare gli storici legami coi Paesi arabi e petroliferi minacciati di saccheggio, insomma quel che ci conviene è l’esatto contrario della politica del Pentagono.
Sapremo attuare il nostro interesse comune europeo, di diventare quello che già siamo, una potenza amica, non minacciosa per l’ordine internazionale?
L’ultima notizia che ci viene da Bruxelles è la seguente: l’eurocrazia ha decretato che il gaelico sia lingua ufficiale europea, per l’esattezza la ventunesima.
Il gaelico. nuovo arrivato nella “torre di Babele”.
L’eurocrazia non impara niente e non cambia mai. La prima urgenza sarebbe sbarazzarsene.
Maurizio Blondet
Fonte:www.effedieffe.com
16.06.05
Note
1) William Pfaff, “A good crisis for the EU”, Herald Tribune, 14 giugno 2005.
2) Come abbiamo già avuto modo di notare, anche la massiccia astensione degli italiani al referendum sulla manipolazione della vita umana ha lo stesso profondo significato del “no” francese. Il referendum è stato voluto, propagandato, caldeggiato da tutti i poteri forti possibili e immaginabili, dai loro media e dai loro maggiordomi, dalla “autorità” (Ciampi), dalla “scienza”, e dalle “istituzioni” più massoniche: gli italiani hanno dimostrato di averne le scatole piene di questo potente establishment che ci dice che cosa dobbiamo decidere e cosa dobbiamo pensare.