DI GIULIETTO CHIESA
ilfattoquotidiano.it
Il suicidio progettato di Lucio Magri non significa probabilmente nulla per un giovane di oggi.
Per uno della mia generazione, invece, significa molto.
L’ho conosciuto poco, di persona, e da lontano. Non è dunque per questo che sono rimasto colpito e toccato da vicino. Ma per giorni, e tutt’ora, mentre ne scrivo, è rimasto come un rumore di fondo in mezzo ai miei pensieri.
Scandagliare l’animo umano è sempre impresa insormontabile, esercizio eterno e senza certo destino, in cui solo alcuni, pochissimi, riescono meglio di altri, ed è quando raggiungono l’arte. Tanto più difficile, sul filo dell’indecenza, tentare questa operazione sul limitare senza traccia tra la vita e la morte, in quel punto di non ritorno in cui non può più esserci nessuna spiegazione, nessuna risposta; in quella discontinuità assoluta dove ogni regola umana, ogni convenzione, ogni artificio, perde i suoi contorni e sfuma.
Mi pare – così ho capito, così sto pensando, ma io sono vivo – che Lucio Magri non abbia voluto, con il suo gesto, lasciare nessun messaggio, a prescindere se vi sia qualcosa di scritto, che sarà trovato, forse, dopo, da qualche parte.
Il messaggio è nel gesto. Un gesto brusco, definitivo, di chi tira le somme e scopre, o pensa, di avere vissuto inutilmente, perché vede che tutto quello in cui ha creduto, per cui ha gioito o sofferto, è stato cancellato e travolto dal suo “contrario”.
Un prendere atto, freddamente, senza più passione, che non c’è gloria nella sconfitta e che non ha senso vivere di ricordi se si è giunti alla conclusione che la vita è stata sprecata.
Io non giudico. Affacciarsi su quel momento, su quelle conclusioni, giudicandole, sarebbe operazione inaccettabile. Su quel confine non può esserci equilibrio.
Io non penso che la vita di Lucio Magri sia stata sprecata. Come non lo è, mai, quella di coloro che non sono stati indifferenti, che hanno creduto in qualche cosa, e si sono battuti perché avvenisse. Ovvio che questo giudizio, in qualche modo, vale anche per me, come speranza. Anche se penso che ciò che si fa, anche ciò che si pensa, resti comunque, da qualche parte, in qualche anfratto del cosmo. E se era buono, se era puro, ha migliorato le cose.
Ma provo dolore perché vedo che quel “contrario” che è avvenuto, quella cancellazione di significati che si è prodotta, durante la vita di Lucio Magri e la mia, è annuncio di tempesta per quelli che verranno.
Giulietto Chiesa
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
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2.12.2011