Di Belisario per ComeDonChisciotte.org
Il giocattolo patrio – la Nazionale di calcio dell’ Italia – è stato letteralmente smontato negli Europei in corso, e lo spettacolo – ancora più indecoroso nei seguiti – è sotto gli occhi di tutti.
Va chiarito subito, preliminarmente, che il calcio non riflette nè un Paese e nè il carattere nazionale, ma solo sè stesso. Chi afferma il contrario – come l’illustre Arrigo Sacchi – mira chiaramente a darsi un ruolo ulteriore, da maitre a penser nazionale, ossia oltre il calcio, ed ovviamente si guarda bene dall’applicare tale quanto mai dubbio assioma al Brasile del 1970 o all’ Argentina del 1978, Paesi al tempo entrambi guidati da sanguinarie dittature militari.
Tanto premesso, alcune dinamiche, calcistiche e non – come la reazione non a una sconfitta ma ad una vera e propria disfatta quale quella della Nazionale italiana agli Europei – riflettono invece pienamente la cultura del Paese, e meritano attenzione oltre il calcio.
E qui iniziano i dolori.
Il CT della Nazionale, Luciano Spalletti, ha letteralmente sbagliato tutto. Dicasi tutto.
Un CT non è un allenatore ma un selezionatore: deve prendere il meglio del gioco e dei giocatori espressi dal campionato. Spalletti – come Bearzot nel 1982 e Lippi nel 2006 – aveva pronta la difesa di una squadra, non la Juventus ma l’Inter, che ha preso pochissimi goals sia in campionato che in Champions League, e che gioca con la difesa a 3/5. Che fortuna, vero?
Niente da fare, già contro l’Inghilterra nelle qualificazioni per Euro 2024 (sconfitta 1-3), Spalletti decise di baloccarsi con una difesa a 4 e soprattutto inedita: Di Lorenzo, Scalvini, Acerbi e Udogie non avevano infatti MAI giocato insieme. La scelta, obiettivamente assurda per chiunque abbia giocato a calcio, fu fatta passare come un “esperimento”; non è praticamente volata una mosca, e lui ha continuato imperterrito, perché Spalletti vuole vedere il “suo calcio”, e che l’Italia intera si adegui.
Agli Europei, Spalletti ha portato ben 10 difensori – rinunciando ad alcuni centrocampisti interditori – ma salvo contro la Croazia, ha sempre giocato con la difesa a 4, alla quale il blocco interista non è abituato. Ovvio il perfido messaggio: chi non vuole giocare a 4 può accomodarsi in panchina, i sostituti ci sono.
La difesa a 4 condiziona tutta la squadra anche e soprattutto a centrocampo, ove infatti siamo stati sistematicamente in minoranza, specie contro Spagna e Svizzera.
A reggere il centrocampo, dopo aver insistito per mesi con l’ectoplasma Jorginho – grazie ai cui catastrofici errori, incluso sul fortunoso gol della Macedonia, non siamo andati all’ultimo Mondiale – ha improvvisamente promosso Fagioli, ossia un giovane che non ha praticamente giocato per due terzi del campionato, per via della nota squalifica, e che ha incolpevolmente mostrato tutti i suoi limiti.
Sul piano del discorso e del linguaggio pubblico, Spalletti ha fatto letteralmente paura. I suoi riferimenti a “giganti ed eroi” restano quanto mai imbarazzanti. Per non parlare di come ha apostrofato un giornalista che si era innocentemente azzardato a parlare di un “patto” con i giocatori sulla difesa a 3/5. Secondo uno Spalletti in piena vis tanto paranoica quanto volgare, al giornalista in questione mancavano ancora 14 anni di “pippe” – un insulto veramente tanto basso quanto gratuito.
Ma andiamo a quello che conta, ossia al gioco e ai risultati. Uscire sconfitti agli ottavi, ci sta. Vedasi la Croazia, uscita come noi contro la Macedonia per un gol a pochi secondi dalla fine, sistema o non sistema. Quello che è inaccettabile – come riscontrato dalla stampa sportiva di tutto l’intero mondo – è uscire senza giocare.
I nostri giocatori non sapevano cosa fare, ossia se pressare o coprire gli spazi – le famose due fasi – completamente imbambolati. Proprio come un esercito che non sa se attaccare o difendere, e nel frattempo viene falciato. I giocatori non credevano più nemmeno in loro stessi. Ma molti di loro, oltre ad aver vinto un campionato, erano andati in semifinali e finali di Champions e Europa League.
La responsabilità di una simile disfatta non può che essere dell’allenatore, Luciano Spalletti – è chiaro come la luce.
E qui inizia il secondo tempo, se possibile peggiore del primo.
Il Presidente della Federcalcio, Gravina, addirittura alza i toni ed afferma che “la colpa è di tutti” e che “nessuno può pretendere le dimissioni sue e di Spalletti”. Ed i media sportivi italiani avviano lo sport nazionale, ossia il processo al sistema calcio. Tutto sembra radicale e sensato, perché il sistema calcio italiano ha ovviamente tanti problemi – a cominciare da stadi ormai indietro di almeno 30-40 anni – ma in realtà non lo è. Non siamo tutti colpevoli neanche un po’, ed anche un sistema calcio che funziona può generare sconfitte, perchè il calcio non è matematica, e la differenza tra avere e non avere un Baggio o tre Rodri resta esponenziale.
Così un generale che sbaglia rovinosamente 3 battaglie, con la truppa che semplicemente non combatte perché non è ben schierata in campo e non ha chiaro quello che deve fare, sarebbe innocente! Il problema sarebbe nel “sistema”!
Continuare ad affidare la truppa allo stesso generale è evidentemente ridicolo, quando si deve voltare pagina.
Spalletti – uno che notoriamente non risponde chiaro neanche alla domanda “che ore sono?” – sa che farsi seguire sarà ora molto dura, ed infatti ora inventa di voler ringiovanire la squadra – che è in realtà già tra le più giovani dell’ Europeo. E continua con le sue tirate, dirette ed indirette ma chiare, sulla scarsa qualità dei giocatori.
Ovvio per chi come il sottoscritto conosce altri Paesi che qui in ballo c’è niente di meno che il principio di responsabilità personale. In Italia, chi sbaglia NON paga. Il colpevole è sempre il sistema, ossia tutti e nessuno. Che comodo, vero? Gli esempi, anche sul piano politico, sono notori. Per esempio, Romano Prodi viene ancora trattato da “padre della Patria”, nonostante le sue schiaccianti responsabilità personali sul catastrofico cambio dell’ Euro a 1936 lire: al tempo, Romano Prodi era solo il Presidente della Commissione UE, ossia l’autorità nr 2 in materia, dopo il Presidente della BCE.
Dulcis in fundo, Spalletti è anche – notoriamente – un progressista. Plurimilionario, ma progressista. Ora, in un “lungo percorso di crescita morale e sportiva”, bisognerà arrivare al “suo calcio”, che guarda che caso presenta come un “calcio di valori”, sportivi e morali. Il redento Fagioli…..
Ricorda la lunga strada verso un mondo più giusto, o mi sbaglio?
E in questa ottica la prima cosa, secondo Spalletti, è essere orgogliosi della prestazione, anche nella sconfitta. Come si concili questa “logica” con la recente non sconfitta ma vergognosa disfatta, nessuno lo sa.
Ma il punto centrale è un altro: confondere i valori con prestazioni e risultati.
Il calcio dei presunti valori apre la strada al processo al sistema, in cui i colpevoli sono tutti e nessuno.
Quello di prestazioni e risultati porta invece alla responsabilità personale: chi sbaglia paga – fine del discorso.
Purtroppo ne siamo molto, ma molto lontani.
Meglio i processi al sistema, e tutti filosofi – proprio come Luciano Spalletti.
Di Belisario per ComeDonChisciotte.org
01.07.2024