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LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA IN VENEZUELA

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A cura di Davide
Il 15 Giugno 2016
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DI LISA SULLIVAN

consortiumnews.com

Mentre in America latina si riaffermano le politiche neo liberiste promosse dagli Usa, il governo socialista venezuelano è giunto a un punto di non ritorno, afflitto da una grave crisi economica; ma Lisa Sullivan vede emergere dal basso una lotta per la sopravvivenza da parte di molti venezuelani.

Per trentadue anni il Venezuela è stato la mia casa. Le sue montagne mi hanno regalato bellezza, i suoi barrios la musica, le sue lotte uno scopo e la sua gente molto amore. La sua rivoluzione bolivariana mi ha dato speranza. Come non sentire la speranza quando la maggior parte dei miei vicini – di età dai 2 ai 70 – studiano tutti, lì nella nostra piccola città produttrice di patate tra le montagne del Venezuela occidentale? Come non avere fiducia, quando diciotto famiglie vicine hanno ricevuto una nuova casa al posto delle loro vecchie, affollate catapecchie?

Nella foto: gente in fila a Caracas fuori da un supermercato

Come non essere grati quando grazie ad un intervento chirurgico di emergenza il mio compagno si è salvato la vita? O quando il mio amico cieco Chuy ha recuperato la vista? Ed entrambe le cose gratuitamente.

Ma oggi ecco cosa vedo dal mio portico: i miei vicini che scavano affannosamente su un campo già raccolto, nella speranza di trovare sotto terra qualche patata residua o caduta, per poter sfamare i loro piccoli denutriti. Perché per mesi gli scaffali dei negozi alimentari sono stati vuoti.

Come è potuto accadere? E’ questa la domanda che mi pongo ogni mattina quando mi sveglio e vedo Juan Carlos che fruga tra la terra del suo campo in cerca di patate; quando abbraccio Chichila in lacrime in fila dalle 2 del mattino nel disperato tentativo di trovare cibo per la sua numerosa famiglia; quando vedo la piccola Fabiola di dieci anni perdere peso ogni giorno davanti ai miei occhi. Per fortuna i miei manghi sono quasi maturi, saranno un po’ di sollievo per Fabi…

Spesso mi sveglio in piena notte e mi chiedo: quando e come finirà tutto questo? E poi mi domando anche: cosa posso fare io?

Quando penso che peggio di così non potrebbe andare, ecco che arriva il peggio. Quando i miei amici dagli Stati Uniti mi chiedono se sono vere tutte quelle cose spaventose che leggono sul Venezuela, vorrei dire di no. Perché so che gli avvoltoi stanno già volando in circolo sul paese e aspettano di vederlo morire. D’altra parte il Venezuela è il paese che ospita il più grande giacimento di petrolio del mondo.

Gran parte dei loro sospetti sulla raffica di articoli dedicati alla crisi del Venezuela sono alimentati dal fatto che quasi tutti iniziano e terminano sempre con lo stesso ritornello: socialismo = fame. Un ottimo esempio è proprio un recente articolo pubblicato su Town Hall dal titolo: “Il socialismo venezuelano non riesce a sfamare i suoi bambini”. L’articolo prosegue riportando che tra il 12 e il 26% dei bambini venezuelani sono attualmente denutriti (a seconda di dove vivono), il che equivale al 19,3% di denutrizione infantile nel paese.

Per fare un confronto, ho cercato in rete le cifre relative alla denutrizione infantile negli Stati Uniti. Ho scoperto che la maggior parte dei siti internet indica una percentuale del 20%. Così, nel paese più prospero del mondo il 20% dei bambini soffre la fame e in Venezuela la soffre il 19,3%. Dal momento che queste cifre sono praticamente uguali, forse è il caso che Town Hall si sbrighi a pubblicare un articolo altrettanto urgente dal titolo: “Il capitalismo degli Stati Uniti non riesce a sfamare i suoi bambini quasi quanto il socialismo venezuelano”.

Ma ci andiamo piano con il diffondere queste storie, poiché conosciamo i pericoli. Quante volte abbiamo visto i primi passi del solito intervento americano accompagnato da storie strazianti sbandierate sette giorni su sette dai mezzi d’informazione. Così facendo, preparano il terreno, in modo da poter giustificare qualsiasi cosa.

Tuttavia, nonostante la consapevolezza del perché siamo bombardati da storie penose sulla crisi in Venezuela, per rispetto agli amici, ai vicini e ai miei parenti in Venezuela, devo ammettere che questa crisi è reale e terribile. E’ una crisi fatta di grave carenza di cibo, beni di prima necessità e medicine. Le ragioni e le responsabilità di questa crisi sono molteplici e complesse. Oggi sono fortemente a rischio la salute, il benessere e il futuro di tantissimi venezuelani, soprattutto quelli più poveri, come i miei vicini.

Che cosa è successo?

Com’è possibile che il paese con il più grande giacimento petrolifero del mondo sia arrivato ad avere una popolazione affamata e disperata? Beh, questo dipende da a chi poniamo la domanda. L’opposizione accusa il presidente Nicolas Maduro. Maduro accusa gli Stati Uniti. La stampa accusa il socialismo. Il partito di governo di Maduro incolpa il capitalismo. Gli economisti danno la colpa al controllo dei prezzi. Le aziende incolpano la burocrazia. Tutti danno la colpa alla corruzione.

Tuttavia, la maggior parte della gente concorda sul fatto che il colpevole sia una parola a tre lettere: OIL – la fonte del 95% delle esportazioni del Venezuela. OIL – una liquidità fin troppo facile da cui attingere e importazioni a basso costo. OIL – il gigante delle esportazioni che scoraggia la produzione nazionale.

Vivendo in campagna in una comunità che produce cibo, e avendo viaggiato molto in passato in questo paese fertile e e lussureggiante, mi è difficile credere che a volte il Venezuela arriva ad importare più del 70% dei suo cibo. Ma non dovrei esserne sorpresa. Per decenni è stato sempre più economico importare alimenti che produrli.

Perlomeno è stato così fin a quando i prezzi del petrolio sono stati alti. E lo sono stati per un lungo periodo di tempo. Circa due anni fa, il prezzo era di 115 dollari a barile. Lo scorso febbraio, il greggio venezuelano è crollato a 23 dollari, cioè 3 dollari in più del costo di estrazione.

Così, quando il profitto per barile passa da 95 a 3, è come se all’improvviso il tuo stipendio passasse da 50,000 a 1,600. Come fai a sfamare la tua famiglia?

Beh, se sei stato saggio, negli anni avrai messo da parte qualcosa per i giorni di pioggia, senza bruciarti tutto subito; o perlomeno ti sarai fatto dietro casa un orto per coltivare del cibo, in caso di carenza di prodotti nei supermercati.

In effetti, negli ultimi anni il Presidente Chavez ha molto parlato di questo, gettando le prime basi di un nuovo movimento.

Ma in qualche modo, la diversificazione economica non è mai avvenuta. Sotto la rivoluzione bolivariana il petrolio ha guadagnato un’ulteriore quota dell’economia venezuelana. Le importazioni sono aumentate.

Alcuni dicono che questo è accaduto perché Chavez si è preoccupato più di fornire assistenza sanitaria, istruzione e abitazioni invece che d’intraprendere una vera e propria ristrutturazione. Altri dicono che lo Chavismo ha reso la produzione delle imprese ancora più difficile, impedendo un loro sviluppo futuro (anche se, in realtà, la maggior parte delle aziende del Venezuela non producono affatto, importano soltanto; e per di più importano con denaro a buon prezzo ottenuto dal governo).

Con i prezzi del petrolio ai minimi storici in questo passato inverno, il Venezuela non poteva permettersi di continuare ad importare cibo. E, come se non bastasse, la maggior parte delle importazioni di cibo e medicine raggiunge il Venezuela, sì, ma non raggiunge mai i cittadini medi, finendo nelle mani di aziende corrotte, burocrati, militari, membri del partito al governo e del mercato nero.

La scarsità dei beni di prima necessità quasi sempre degenera in accaparramento e bagarinaggio dei prodotti. A questo aggiungiamoci il fatto che la maggior parte dei beni alimentari e dei farmaci hanno un prezzo controllato dal governo. Un chilo di farina di mais costa circa 2 centesimi al prezzo regolamentato, ma può facilmente raggiungere i 2 $ – o molto, molto di piu’ – sul mercato nero. Chi non sarebbe tentato di entrare in questo business di accaparramento e bagarinaggio? Soprattutto considerando che lo stipendio di un ingegnere in Venezuela si aggira intorno ai 30 – 40 dollari al mese.

Senza parlare, poi, del sistema valutario gravemente disfunzionale, che contribuisce a far crollare il potere d’acquisto dei salari. Insomma, sono troppe le cose che vanno male in questa economia.

La dura realtà

Quali che siano le ragioni, oggi il risultato è questo: il Venezuela, per la gran parte dei beni di prima necessità, dipende quasi totalmente dalle importazioni, ed è a corto di denaro per poter continuare ad importare, e quello che si riesce ad importare finisce nelle mani sbagliate.

E’ chiaro che rimettendo in moto il settore agricolo e la produzione nazionale prima o poi si arriverà ad una soluzione, ma questo richiederà troppo tempo, forse un decennio, forse più. Ma intanto Fabi ha fame.

Dunque, è proprio vero che il Venezuela sta per crollare? Beh, sì, potrebbe farlo anche ora, prima che riusciamo a finire questo articolo. Il mio compagno mi ha appena mandato un messaggio per dirmi che le strade che portano al nostro villaggio sono bloccate da manifestazioni contro la fame, e che se ne torna in città. Ma per me, la cosa straordinaria è che fino ad oggi il Venezuela ancora non sia esploso. Perché questa crisi sta andando avanti da diversi anni ormai.

Il fatto che le alte sfere venezuelane non siano ancora esplose è perché molti hanno già rinunciato al proprio paese e sono andati via: circa due milioni di persone, per lo più giovani professionisti. Sono quelli che possono permettersi un visto sul passaporto e un biglietto aereo. Altri vanno via con mezzi più modesti, remando verso le isole vicine su zattere fatte a mano, lasciando dietro di sé qualche vittima, come quel paio di corpi senza vita ritrovati lungo le coste di Aruba.

Il fatto poi che neanche quelli delle fasce meno ricche della popolazione siano finora esplose, ha diverse ragioni. I Venezuelani sono un popolo estremamente generoso, con un innato senso di solidarietà. Ogni volta che Rafa racimola qualcosa dai suoi campi desolati, trovo sempre una busta davanti alla mia porta. Io, dal mio steccato, passo a Jenny delle banane, lei passa a Erica dei fagioli, Erica passa della iucca a Chichila, Fabi mi porta il pesce che ha pescato quanto salta la scuola, io provvedo all’olio per friggerlo.

Questo sistema di solidarietà e di baratto spontaneo che si è instaurato nel nostro Venezuela-in-crisi è bellissimo, ed è ciò che ci ha permesso di sopravvivere finora. Ovviamente, queste storie positive non possono competere con i fiumi di brutte notizie che la stampa diffonde: bisogna venire sul posto e vedere con i propri occhi.

Il secondo motivo per cui ato ancora il crollo generale è questo: la maggior parte dei venezuelani sanno che lo Chavismo li ha sempre sostenuti, e sono molto restii a rinunciarci. Il Presidente Chavez è sempre stato molto concreto e proattivo e si è realmente preso cura di loro. Ha drasticamente ridotto la povertà e creato la società economicamente più giusta ed equa del continente americano.

Al contrario, quelli all’opposizione, si sa, si preoccupano solo di se stessi. Probabilmente perché per anni la loro unica priorità all’ordine del giorno è stata quella di rovesciare il governo. Non è una sorpresa che negli ultimi 17 anni raramente hanno vinto alle elezioni nazionali.

L’opposizione in effetti ha vinto le elezioni parlamentari dello scorso Dicembre. Ha vinto decisamente. Ma molti vedono questa vittoria non tanto come una nuova fiducia nell’opposizione, quanto come un gesto punitivo nei confronti dell’amministrazione Maduro, che si è mostrata sorda e cieca alle sofferenze dei cittadini. Anche se molti condividono l’opinione di Maduro che le responsabilità della crisi vanno attribuite alla guerra economica condotta dalla destra, allo stesso tempo non si spiegano perché Maduro non abbia fatto di più per combatterla.

Quello che io oggi avverto è che la maggioranza dei Venezuelani non sono dei fans dell’ opposizione. Ma non sono neanche fans dell’attuale amministrazione. Tuttavia (per il dispiacere del Dipartimento di Stato USA) questo non significa che la maggioranza dei Venezuelani non siano fans dello Chavismo.

Qualcuno propone delle soluzioni?

Dunque, che fare? Le soluzioni per la crisi sono conflittuali tanto quanto le sue cause. Le tre principali parti in causa (governo Venezuelano, opposizione e Stati Uniti) spendono fiumi di denaro e risorse per puntare il dito uno contro l’altro, mentre fanno poco per celare i loro reali interessi politici ed economici. Nel frattempo, chi soffre è il popolo, ogni giorno più affamato.

Delle soluzioni migliori giungono dalla stessa America Latina. La regione è diventata molto più integrata e indipendente dagli Stati Uniti di quanto lo fosse in passato (e molti credono che sia proprio questa la più grande eredità lasciata da Chavez).

Questo si è reso evidente quando il Segretario generale dell’OAS Luis Almagro ha tentato di promuovere l’esclusione del Venezuela dall’organizzazione. La risposta è stata un sonoro “no” da tutti i membri, compresi quelli della destra emergente. Al contrario, i membri dell’OAS hanno optato per fornire supporto al dialogo in corso tra governo e opposizione. L’idea di un dialogo tra governo e opposizione non è cattiva. Però, non basta.

La soluzione a lungo termine per i problemi del Venezuela deve provenire da tutti i settori del paese. Non solo da due posizioni opposte che, per perseguire i propri fini di potere economico e politico, hanno ridotto la popolazione alla fame.

Molti di loro, anche se non tutti, non hanno voluto identificarsi con il Chavismo. Ma non c’e’ spazio politico per loro tanto all’interno del partito al governo, controllato strettamente e gerarchicamente, quanto alle elezioni (il più grande partito politico che si identifica con lo Chavismo è stato escluso dalle elezioni per il solo fatto che il comitato elettorale non gradiva il suo nome). Altri si identificano più nell’opposizione, soprattutto quegli amministratori pragmatici disponibili all’ascolto e alla ricerca di una soluzione.

La maggior parte di questi settori intermedi, che io credo rappresentino la maggioranza della popolazione del paese, vogliono meno retorica e più azioni economiche. Il sistema valutario deve essere completamente rinnovato. Ai più poveri devono essere garantiti gli alimenti, e non sovvenzionando i prodotti (che puntualmente finiscono nelle mani dei corrotti invece che nella bocca degli affamati), ma le famiglie.

In ultimo, si assiste a una vera e propria caccia al tesoro di iniziative creative e soluzioni produttive dal basso verso l’alto, che proprio la crisi ha scatenato e che meritano la dovuta attenzione. E mentre Maduro prega perché tornino a salire i prezzi del petrolio e per cedere alle compagnie petrolifere canadesi territori venezuelani incontaminati, alla disperata ricerca di dollari; mentre Stati Uniti e opposizione spingono per una sommossa popolare e/o un intervento militare, la gente del Venezuela è occupata.

E’ occupata a piantare cibo nei suoi orti e cortili, a utilizzare medicine alternative, a condividere il più possibile, a sviluppare un sistema diffuso di baratto e a produrre centinaia, forse migliaia, di prodotti attraverso il riciclaggio e le fonti rinnovabili locali. Queste attività probabilmente non saranno sufficienti per risolvere tutta la crisi alimentare in corso, ma nel lungo termine potrebbero rappresentare le basi di un nuovo tipo di società, in cui tutti possano vivere e prosperare.

Tornando alla domanda che mi sono posta prima – cosa posso fare io. Continuerò a fare quello che ho fatto finora, a scrivere i miei pensieri e a dare via un altro pezzo del mio giardino per piantare nuove piante insieme ai figli dei miei vicini. Fra due ore sarà l’alba, Fabi e suoi amici arriveranno con vanghe e zappe, e faremo questo lavoro insieme.

Lisa Sullivan vive in America Latina dal 1977. Ha lavorato per vent’anni come laica nell’ organizzazione Maryknoll in Bolivia e in Venezuela (http://www.mklm.org/who-we-are/introducingmklm/). E’ stata Coordinatrice della School of the Americas Watch e fondatrice di un gruppo di coordinamento di attività di base, il Centro de Formación Rutilio Grande. Ha tre figli, cresciuti a Barquisimeto, in Venezuela.

Fonte: https://consortiumnews.com

Link: https://consortiumnews.com/2016/06/10/venezuelas-struggle-to-survive/

11.06.2016

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63

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