DI ROBERT FISK
The Independent
Quando intorno alle 3 del mattino è tornata la corrente elettrica mi sono sintonizzato sull’emittente Bbc World Service. Una serie di potenti esplosioni hanno fatto tremare la casa – e si sono fatte sentire per tutta Beirut – mentre gli ultimi raid aerei israeliani si abbattevano sulla città. A quel punto è apparso il titolo del World Service: «Complotto del terrore». Ma di che terrore stiamo parlando, mi sono chiesto? Poi ha fatto la sua comparsa il mio poliziotto preferito, Paul Stephenson (il vice commissario della Polizia di Londra, ndr) che ci ha spiegato come la mia polizia preferita – quella che ha coraggiosamente giustiziato un giovane, innocente brasiliano nella metropolitana di Londra piazzandogli sei proiettili in corpo nel giro di trenta secondi – aveva salvato la vita a centinaia di innocenti presi di mira dagli attentatori suicidi che intendevano far esplodere diversi aerei di linea.
Sono certo che molti lettori si uniranno a me per verificare quanti sospetti – o «musulmani nati in Gran Bretagna» come li ha definiti la Bbc con la sua speciale forma di razzismo «soft» (si tratta di britannici musulmani o musulmani britannici, non vi pare?) – saranno ancora in prigione tra un paio di settimane. E sono sicuro che è stato per caso che proprio ieri i bravi ragazzi in divisa blu – con una certa rabbia per il vergognoso fallimento di Blair riguardo al Libano – hanno deciso di salvare il mondo. Dopo tutto sono passati appena tre anni da quando l’altro grande «Complotto del Terrore» indusse i blindati britannici a circondare Heathrow nello stesso giorno in cui – anche in questa circostanza per caso, naturalmente – centinaia di migliaia di britannici dimostravano contro l’intenzione di Blair di invadere l’Iraq.
Mi sono messo a sedere sul tappeto del soggiorno e ho guardato questi tizi armati fino ai denti che a Heathrow proteggevano i cittadini britannici dalla morte e poi è apparso sul video il presidente George W. Bush che ci ha detto che noi tutti stavamo combattendo il «fascismo islamico». C’erano più rumori sordi nelle tenebre di Beirut dove moltissima gente soffre a causa del terrore – anche se posso garantire a George W. che, non so se i piloti degli aerei che sganciano le bombe sulla città nella quale vivo da 30 anni sono o meno fascisti, ma sicuramente non sono islamici. E qui sorge, ovviamente, il solito vecchio problema. Per proteggere i cittadini britannici – e americani – dal «terrore islamico» abbiamo bisogno di una moltitudine di poliziotti e soldati armati fino ai denti, di agenti di polizia in borghese, di una serie infinita di dipartimenti anti-terrorismo, di servizi di sicurezza e di altri più sordidi personaggi come i torturatori americani – tra cui alcune donne sadiche – di Abu Ghraib, Baghram e Guantanamo. Eppure il solo modo per proteggerci dalla vera violenza che potrebbe colpirci – e probabilmente ci colpirà – consiste nell’affrontare moralmente, con coraggio e con giustizia la tragedia del Libano, della «Palestina», dell’Iraq e dell’Afghanistan. Ma questo non lo faremo.
Francamente mi piacerebbe che Paul Stephenson venisse a Beirut per contrastare il terrore nella parte del mondo in cui vivo – il terrore di Hezbollah e il terrore di Israele. Ma Paul e i suoi ragazzi non hanno ovviamente il fegato per una cosa del genere. Una cosa è parlare a ruota libera delle presunte malvagità di presunti sospetti di un presunto complotto per creare un presunto terrore – altra cosa è affrontare le cause di quel terrore e farlo in una situazione di grande pericolo.
Mi ha divertito vedere che Bush – poco prima che la corrente elettrica saltasse di nuovo – continua a mentire dicendoci che i «terroristi» ci odiano a causa delle «nostre libertà». Non perché appoggiamo gli israeliani che hanno massacrato colonne di sfollati, hanno sparato alle ambulanze della Croce Rossa e ucciso oltre 1.000 civili libanesi – questi sarebbero reati sui quali Paul Stephenson dovrebbe indagare – ma perché odiano le «nostre libertà».
E noto con una certa disperazione che i nostri giornalisti continuano a pendere dalle labbra delle autorità citando interminabili (e anonime) «fonti del servizi di sicurezza» senza mai mettere in discussione le informazioni o il tempismo delle scoperte di Paul riguardo al «complotto del terrore» o la natura dei particolari – per qualche ragione non mi accontento delle superficiali apparenze – o le ragioni per cui, se tutto questo polverone non è una montatura, c’è chi vuole commettere atrocità del genere. Ci dicono che gli uomini arrestati sono musulmani. Non è interessante? Musulmani. Ciò vuol dire che molti di loro – o le loro famiglie – vengono dall’Asia sud-occidentale o dal Medio Oriente, cioè a dire dall’area che abbraccia l’Afghanistan, l’Iraq, la «Palestina» e il Libano.
Ai vecchi tempi personaggi come Paul erano soliti tirare fuori una carta geografica quando avevano a che fare con persone di origini, religione o nomi diversi. Sta di fatto che se Paul Stephenson prendesse un atlante scolastico noterebbe che ci sono moltissimi problemi violenti, ingiustizie e sofferenze e – una specialità, sembra, della Polizia metropolitana – morti nell’area dalla quale vengono le famiglie di questi «musulmani».
Potrebbe esserci una correlazione, mi chiedo? E se cercassimo il movente del reato o, piuttosto, del «presunto reato»? Un tempo la Polizia di Londra era bravissima a ricercare i moventi. Ma non, naturalmente, nella «guerra al terrore» perché in questo caso – se veramente cercasse i veri moventi – il mio poliziotto preferito, Paul Stephenson, verrebbe rispedito a dirigere il traffico. Prendiamo, ad esempio, venerdì mattina. Nel trentunesimo giorno della versione israeliana della «guerra al terrore» – un conflitto che Paul e i suoi ragazzi in divisa blu apparentemente sottoscrivono per procura – un aereo israeliano ha fatto saltare in aria l’ultimo ponte della strada che corre verso la Siria attraversando il Libano settentrionale, nel montuoso e bellissimo distretto di Akka che sovrasta il Mediterraneo. Con la loro solita sensibilità i piloti che hanno bombardato il ponte – non si tratta di terroristi, badate bene – hanno scelto di distruggere il ponte mentre lo attraversavano numerose automobili. E così hanno massacrato 12 civili che si trovavano a passare sul ponte. Nel mondo reale questo lo chiamiamo crimine di guerra. A dirla tutta è un crimine degno dell’attenzione di Paul e dei suoi ragazzi. Ma ahimè, il compito di Paul Stephenson consiste nello spaventare i cittadini britannici non nell’impedire i crimini che sono la vera ragione per cui i cittadini britannici vengono spaventati.
Personalmente sono del parere di arrestare tutti i criminali, siano essi del tipo «fascista islamico», del tipo Bin Laden o del tipo israeliano – i loro guerrieri del cielo dovrebbero essere arrestati la prossima volta che sbarcano a Heathrow – o del tipo americano (Abu Ghraib cum laude) o del tipo di quelli che hanno massacrato i passeggeri della metropolitana di Londra. Ma non credo che Paul Stephenson la pensi come me. Paul fa lo spaccone e si dà un mucchio di arie, ma non credo che stia dalla parte della legge e dell’ordine. Lavora per il Ministero della Paura che, per sua stessa natura, non è interessato ai moventi o all’ingiustizia. E debbo dire che, osservando ieri notte la sua esibizione prima che andasse nuovamente via la corrente elettrica, ho pensato che stesse facendo un eccellente lavoro per i suoi padroni.
Versione originale
Robert Fisk
Fonte: http://www.independent.co.uk/
Link: http://www.counterpunch.org/fisk08122006.html
12.08.06
Versione italiana
Fonte: http://www.unita.it
Link: http://www.onemoreblog.org/archives/012489.html
Traduzione a cura de l’UNITA’
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