DI GIANCARLO CHETONI
cpeurasia.org
I “successi” della Nato sono ormai solamente di facciata. L’Occidente frana sotto il peso dei “fronti” che apre e che non sa più come gestire.
Usa ed Europa tornano minacciosamente a ringhiare contro l’Iran, ma i due cani da guardia sono sempre più eticamente fradici, a corto di consenso politico ‘fresco’ e scossi da un fremito incoercibile. Quello della decadenza industriale, finanziaria e militare.
Il vertice dell’Aquila, con il suo strascico di passerelle e di gossip per “vip” ha messo in luce i limiti ormai incolmabili di credibilità e di capacità politica dei “grandi” ad affrontare e risolvere con equità i nodi strutturali, dalla gestione dell’habitat alla redistribuzione della ricchezza, che si stanno affacciando a livello planetario sulla scena del XXI° secolo.
Il G8 si è dovuto forzatamente trasformare in G 20.
Il tentativo disperato di coinvolgere i Paesi Emergenti in un partenariato che garantisca la conservazione dei vecchi equilibri di potere è destinato, in ogni caso, alla sopravvivenza, se non al fallimento. Più Stati si tenta di coinvolgere nei “summit”, più emergono i contrasti tra Paesi fondatori ed Associati che minano alla radice gli obiettivi “comuni” delle risoluzioni adottate.
Il vecchio imperialismo yankee e quello nuovo di UE e Nato, che straziarono a morsi la gola di Serbia e Kosovo, a dieci anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla successiva ‘implosione dell’Urss’, segnano ormai rovinosamente il passo ovunque abbiano aperto un fronte di guerra, organizzato nuove aggressioni mascherate da “rivoluzioni colorate” o da interventi “umanitari”.
Gli oneri derivanti dal tappare le falle a livello planetario si stanno dimostrando sempre più costosi ed inefficaci.
Il bilancio reale del Pentagono è di 890,8 miliardi di dollari, che con gli impegni correnti per i programmi di armamento, ad ultimazione avvenuta, saliranno a 1.587 miliardi di dollari. Quello Nato sfiora i 320 miliardi di euro.
L’Occidente sta diluendo un po’ alla volta la sua forza e la sua capacità di intervento “globale”.
I successi rivendicati da Sheffer e Rasmussen sono, a ben vedere, più facciata che sostanza. Una facciata che punta a nascondere le clamorose crepe che si sono aperte nella Nato sul fronte dell’Egeo e del Mediterraneo Orientale.
Con Paesi come Albania, Croazia, Macedonia e Montenegro, per restare ai Balcani, non si va da nessuna parte. Si allarga solo l’onere degli “aiuti” a fondo perduto. Un esempio: all’Albania, nel 2008, la Nato ha fornito 57 milioni di dollari di solo materiale militare.
In Afghanistan, al West Rac di Herat, accanto ai rangers Usa e ai parà della Folgore, ci sono “combat ready” trenta (30) albanesi. Il conto del “soggiorno” non lo paga Tirana ma l’Alleanza Atlantica, in questo caso Isaf-Italia.
Che Barack Obama, Sarkozy, Brown, Merkel o Berlusconi facciano la voce grossa contro “Stati Canaglia” come Corea del Nord e Iran non produce ormai più gli stessi effetti di “solidarietà internazionale” che resero possibili le aggressioni del 1991 e del 2003 all’Iraq e del 2001 all’Afghanistan.
America Latina, Vicino Oriente e Asia stanno scappando per la tangente dalla trappola del dominio culturale, economico e militare di Stati Uniti ed Europa.
Bric, Sco e Mercosur fanno ormai da punti focali di attrazione. Un multilateralismo in piena salute ed espansione scuote con crescente successo le fondamenta egemoniche, anche commerciali ed industriali, di Usa ed Europa. Gli approvvigionamenti di materie prime e di energia a costi irrisori per l’Occidente sono ormai sempre più problematici.
Fattore che ne alimenta l’aggressività a livello planetario e ne usura la struttura militare e finanziaria. Un circolo vizioso.
La conquista con il danaro, la corruzione e le lusinghe delle classi dirigenti ex comuniste, se da una parte hanno permesso alla propaganda di Usa ed Europa di accreditare qualche iniziale successo geopolitico, dall’altra ne ha rivelato nel tempo i crescenti limiti di “aggregazione”.
La conquista dei “governi” ormai non garantisce all’Occidente una tenuta politica, economica e militare permanente sui popoli di quell’immenso territorio che va dal Baltico al Caucaso.
Un arco allungato di “instabilità” sta lentamente tirando via, una ad una, le bandierine piantate dall’Occidente nei territori ex comunisti di Europa e Asia. La Russia sta scardinando un po’ alla volta, con la costruzione di una rete di oleo-gasdotti e con il suo potere di commercializzazione delle immense risorse energetiche di cui dispone, l’influenza acquisita dall’Occidente nell’Europa dell’Est tenendo peraltro sotto tiro l’ UE.
I Paesi dell’Est già appartenenti al blocco sovietico, dopo una breve fiammata di crescita economica e sociale, finanziata da istituti pubblici e privati, dalla BCE e dalla Banca Mondiale con l’abbassamento della qualità di vita dei lavoratori europei, sono oggi alle prese con una crisi senza precedenti che si manifesta, dalla Lituania all’Ucraina, dall’Ungheria alla Moldavia, con scontri di piazza e oceaniche manifestazioni di protesta davanti ai parlamenti nazionali con morti e feriti, ripetuti default, una feroce deindustrializzazione, una disoccupazione da capogiro e un drammatico calo del potere d’acquisto di settori sempre più vasti delle popolazioni residenti.
Mentre Putin alimenta silenziosamente il cerchio di fuoco che costringe Israele ha rivedere i suoi piani in Medio Oriente, l’Iran, messo sotto pressione da Usa e Europa, minacciato da sanzioni unilaterali sempre più aggressive, rivendicando a giusta ragione il suo pieno diritto allo sviluppo dell’energia nucleare a scopi civili, è costretto a flettere i muscoli.
Muscoli difensivi poderosi capaci di scoraggiare l’aggressività di Usa, Alleati e Israele, lasciando da parte l’influenza politica di Teheran che va dall’Afghnistan, passando per il Caucaso, al Libano.
Non è un’affermazione iperbolica. È la semplice realtà.
Teheran ha una difesa missilistica antiaerea, anticruise e antimissile (parziale), per limitarci al solo settore terra-aria, di enorme efficacia per numero di vettori, superiore per 1.000 kmq a quella della stessa Russia.
Gli esperti militari indipendenti stimano ad oltre 8.500 i missili terra-aria su rampe di lancio mobili a disposizione di Teheran, con un portata dai 3.7 degli RBS 70 ai 120 degli S 300 pm 1 e i 300 km degli Sa 300 pm 2 Favorit.
Ogni esemplare ha capacità potenziale di abbattere un jet intrusore anche se la distruzione del cacciabombardiere è affidata a batterie di missili terra-aria compatibili per contrasto e abbattimento ad una quota di avvicinamento che potrebbe oscillare da 300 a 16-18.000 mt, anche se appare totalmente irrealizzabile, nelle attuali condizioni politiche, un sorvolo della Heil Ha’avir degli spazi aerei di Arabia Saudita, Giordania, Iraq, Siria e Turchia senza provocare allerta radar, intercettazioni, scontri aerei e lancio di missili terra-aria. Le uniche eccezioni su piattaforma fissa sono gli S 200-Sa 5 ottimizzati Ghareb con una gittata di 250 km e gli Sa 2-Hq 2 ottimizzati Sayyad 1 e 1 A con portata di 50 km.
La sola artiglieria contraerea in postazioni fisse (poche) e mobili in calibro dal 12.7 al 100 mm conta più di 3.000 bocche di fuoco a tiro rapido, che si posizionerebbero in tempo utile sulle direttrici di attacco degli F 16 ed F 15.
Israele possiede per una “missione suicida” al principale degli impianti atomici dell’Iran, escluso Busher, posizionati in caverna o tunnel sotterranei fortemente induriti, non più di 110 F 16 I (sufa) e 15-20 F 15 I, la prima intera linea di attacco della Heil Ha’avir.
Una flotta aerea che sarebbe gravata da serbatoi supplementari di carburante, da armamento di attacco e difesa al limite del carico, con perdita di velocità e consumo straordinario di carburante, da piena visibilità ai radar e da amplissimo preallarme, senza mettere nel conto il contrasto aereo della caccia di Teheran e il lancio di missili aria-aria senza poter disporre di velivoli Awacs. Naturalmente lasciando da parte la Siria, i suoi Su 27 e Mig 31, la rete di avvistamento satellitare, quella radar, la ECM del Kolcuga, il pattugliamento aereo degli Iran 140, dei potenti intercettori F 14 armati di 6 Phoenix da mach 4 e una portata di 180 km e… il resto, per brevità di esposizione.
Insomma, Ahmadinejad può dormire sogni non tranquilli, ma tranquillissimi. Un attacco convenzionale “israeliano”, anche con il via libera di Barack Obama per l’attraversamento dell’Iraq è totalmente irrealizzabile. Un attacco nucleare tattico con i Gerico 3 porterebbe o al disarmo di “Gerusalemme” o alla sua dissoluzione anticipata.
L’unica strada percorribile per l’ Occidente è quella delle sanzioni che coinvolgano la cosiddetta “Comunità Internazionale”. A Washington e nelle capitali della Vecchia Europa si sa perfettamente che quelle dell’Onu sono impossibili da ottenere per il veto di Russia e Cina.
Giancarlo Chetoni
Fonte: http://cpeurasia.org
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2.10.2009