DI EUGENIO ORSO
Da molto tempo la propaganda sistemica, per giustificare lo smantellamento delle difese dei lavoratori, utilizza subdolamente i temi della precarietà e della disoccupazione, anche se dovrebbe essere evidente, soprattutto a chi vive situazioni di precarietà, di lavoro nero e di assenza di occasioni lavorative, che i contratti a termine del precariato e la disoccupazione di massa è lo stesso sistema ad averli diffusi, fino a esaltare la “spaccatura” nel mercato del lavoro italiano, che oggi possiamo osservare con estrema chiarezza. Si tratta di una tripartizione che genera squilibri e ingiustizie sociali, non producendo alcun effetto positivo per la produzione, i redditi e i consumi, come ci insegna un’esperienza ultradecennale. Il mercato del lavoro è così tripartito:
1) Lavoro “garantito”, cioè quello ancora tutelato dalla normativa vigente e dallo statuto dei lavoratori degli anni settanta, che sta diventando sempre di più l’ultima “ridotta”, particolarmente nel pubblico impiego, dei diritti e delle tutele concesse ai lavoratori. E’ destinato progressivamente a scomparire, perché troppo “oneroso”, sia in termini di costi, sia in termini di “privilegi” concessi ai lavoratori protetti, in ossequio agli interessi degli agenti strategici neocapitalistici, ben tutelati dai loro servitori politici locali. Obiettivo di attacchi continui e reiterati (Sacconi, Brunetta, Renzi), addirittura d’insulti e di criminalizzazione (Ichino, i “nullafacenti” della pubblica amministrazione) il lavoro stabile, garantito e a tempo indeterminato è contrario all’ideologia neoliberista dominante e, per tale motivo, deve essere portato a estinzione. La stabilità del lavoro e le garanzie offerte dal comunismo, dal fascismo, dal keynesismo postbellico, non appartengono in alcun modo alla liberaldemocrazia di mercato, espressa dal grande capitale finanziario.
2) Lavoro precario, flessibile, interinale, introdotto in Italia nella seconda metà degli anni novanta e dilagato progressivamente nei duemila, figlio naturale del cosiddetto toyotismo. Dal “just in time”, applicato una prima volta negli anni settanta, per razionalizzare le scorte, dall’industria automobilistica giapponese (la Toyota, appunto), compiendo un passo successivo di grande rilevanza sociale e antropologica, si è deciso di estendere il “toyotismo” e di pagare i lavoratori esclusivamente per il tempo di lavoro, utilizzando il “servizio lavorativo” quando necessario per esigenze produttive. Da questo punto di vita, chiaramente economico e di organizzazione della produzione, l’imposizione del lavoro precario mira a razionalizzare l’uso del fattore-lavoro comprimendone all’estremo i costi, come nel caso delle materie prime, dei pezzi da assemblare, delle scorte, dei semilavorati. E’ chiaro che il precario non è un cittadino, nel mondo neocapitalistico, ma soltanto l’anonimo prestatore di un servizio lavorativo, che si tende a pagare sempre meno, riducendone l’incidenza sul costo di produzione. Quella dell’imposizione di soli contratti a termine e precari, in un progressivo e rapido evaporare dei diritti, è la strada scelta dagli agenti strategici neocapitalistici per l’Italia, ed è esattamente la consegna che hanno dato ai lacchè subpolitici, come Matteo Renzi.
3) Lavoro nero, senza oneri contributivi e prelievi fiscali, senza alcuna garanzia e diritto. Realizza il massimo della flessibilità/precarietà del lavoratore, alimenta l’evasione e garantisce un significativo risparmio di costi. Con il declino produttivo in accelerazione e la disoccupazione galoppante, anche il lavoro nero entra in crisi, riducendosi il numero degli occupati, non pagando i lavoratori e aumentandone lo sfruttamento.
Se questa è la situazione, Renzi spergiura di voler rinnovare il mercato del lavoro dalle fondamenta, introducendo un nuovo contratto d’ingresso che partirebbe da una condizione di precarietà per arrivare alle chimeriche tutele. Dichiara di voler semplificare e di voler estendere le opportunità di lavoro anche a chi, oggi, ne è escluso. Dichiarazioni chiaramente mendaci, le sue, che nascondono l’unico esito possibile della riforma: rendere il lavoro precario contrattualizzato (di cui al punto 2) assolutamente prevalente.
La cgil, messa con le spalle al muro, non può approvare il “piano lavoro” renziano apertamente, ma deve fingere di attaccarlo, deve contestarlo con enfasi e risonanza mediatica. Perciò si erge a difesa di quel vecchio simulacro che ormai è diventato lo statuto dei lavoratori, che ancora sbarra la strada, con l’articolo 18, ai sogni liberisti, europeisti “alla Benigni”, occidentali, di libertà, cioè, nel concreto, alla realizzazione di una precarietà assoluta e generale.
Renzi e i suoi accoliti vogliono realizzare i “sogni” dei padroni neocapitalisti, unificando il mercato del lavoro italiano sotto il segno, non dei pesci, ma della precarietà fin dall’inizio della vita lavorativa. La cgil dell’orripilante Camusso, legata a doppio filo al pd, deve obbligatoriamente fingere di opporsi e di tutelare gli iscritti, per trattenere tessere e consensi. La cosa, in effetti, puzza di bruciato, di contrapposizione sul piano mediatico-propagandistico che non fermerà “il nuovo che avanza”, rullando i lavoratori. In prima battuta, il contratto d’ingresso senza diritti per i nuovi assunti, poi, in futuro, l’abolizione del tempo indeterminato anche per i “vecchi” lavoratori. Non si può partecipare troppo apertamente al massacro, questo i vertici della cgil lo sanno bene, perciò si oppongono alla riforma, a costo di passare per “conservatori”!
Uno scontro fra “parenti serpenti”, quello fra Renzi e Camusso, disposti a coprirsi a vicenda di contumelie, a fronteggiarsi tirandosi piatti e soprammobili ma uniti da vincoli “di sangue” e di appartenenza. Più che altro, l’ennesima recita infarcita di imbrogli, finzione e malafede, per truffare gli italiani.
E’ bene analizzare di seguito ciò che ha dichiarato in proposito Renzi, in un video presente su You Tube della durata di due minuti e mezzo. Le parole e i buoni propositi espressi dal furbetto neoliberista, in polemica col sindacato, nascondono le sue vere intenzioni nei confronti del “popolo lavoratore”, non dissimili da quelle di Draghi, della Lagarde, di Junker, a lui ideologicamente affini.
La cgil avrebbe deciso l’attacco al governo, secondo Renzi, che accetta la “sfida” della Camusso (sicuro di vincerla, a quanto sembra) e nega di aver in mente Margaret Thatcher quando si parla del lavoro. Infatti, possiamo scommettere che lui non incontrerà una resistenza sanguinosa come quella opposta alla Thatcher dai minatori britannici di Arthur Scargill (dal 1984 al 1985), ma, al più, le blande resistenze di maniera della cgil all’abolizione dell’articolo 18. Per questo Renzi dichiara in video di non preoccuparsi di uno scontro del passato, ideologico, come non si preoccupa della Thatcher, ma di Marta, di 28 anni, che non ha la possibilità di avere il diritto alla maternità. Lei sta aspettando un bambino, ma a differenza delle sue amiche, che sono dipendenti pubblici, non ha nessuna garanzia. Perché? Perché in questi anni si è fatto cittadini di serie A e di serie B. Pensa a Giuseppe di 50 anni che non può avere la cassa integrazione, o a chi, piccolo artigiano, è stato tagliato fuori da tutte le tutele. Magari la banca gli ha chiuso i ponti e improvvisamente si è trovato dalla mattina alla sera a piedi. Come si nota, con molta malizia tira in ballo una precaria che non può andare in maternità, ma solo per stigmatizzare la tutela finora concessa ai dipendenti pubblici – come se fossero loro i colpevoli della situazione di Marta – fra i quali le sue amiche che hanno il diritto alla maternità. Perché non toglierlo anche a loro, questo diritto, per una questione di giustizia, rendendo i cittadini tutti uguali? Perché non ridurre tutti come Giuseppe, senza cassa integrazione, o come il piccolo artigiano (una sorta di “piccola fiammiferaia” dei nostri tempi, che suscita tenerezza), rovinato dalle banche? Il suo vero piano, incentrato sull’estensione massima della precarietà lavorativa, è ridurre tutti a cittadini di serie B, senza discriminazione alcuna, come Marta, Giuseppe e il piccolo artigiano. In ciò, ha incidentalmente ragione la Camusso, che si oppone per ragioni di sopravvivenza del centro di subpotere sindacale alla “radicalità” liberista della riforma renziana.
Renzi e i suoi pensano ai co.co.co. e co.co.pro., pensano a quelli ai quali non ha pensato nessuno in questi anni. Condannati a un precariato a cui il sindacato ha contribuito, preoccupandosi soltanto dei diritti di qualcuno e non dei diritti di tutti. Loro non vogliono il mercato del lavoro di Margaret Thatcher, ma i cittadini tutti uguali sul mercato del lavoro (nel senso prima esplicitato, però), un mercato del lavoro giusto e regole giuste, non che dividono sulla base della provenienza geografica e non regole complicate. Se poi con queste regole nuove aziende, multinazionali e non solo, verranno a investire in Italia e creeranno posti di lavoro, si potrà finalmente dare il lavoro a chi non ce l’ha. Così s’introduce il tema dei capitali stranieri che devono tornare a investire in Italia, ma che lo faranno, come sappiamo, solo se il lavoro sarà debitamente flessibilizzato, offerto a prezzi stracciati e a condizioni di semi-schiavitù. Renzi è felice, come ha dichiarato più volte, se i grandi squali “investono” in Italia, facendo lo shopping di aziende a prezzi di fine stagione, anche se poi chiudono e spostano le produzioni in estremo oriente o nell’Europa dell’est.
Ai sindacati che vogliono contestarlo (Camusso, Landini) Renzi dice: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia che ha l’Italia? L’ingiustizia tra chi il lavoro ce l’ha e chi non ce l’ha, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi è precario e soprattutto tra chi non può neanche pensare a costruirsi un progetto di vita, perché si è pensato soltanto a difendere le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente. Sono i diritti di chi non ha diritti che ci interessano e noi li difenderemo in modo concreto e serio. Commovente. I diritti di chi non ha diritti. Una frase di sicuro effetto alla papa Francesco (non d’Assisi, ma de Xavier, gesuita). Così, per difendere gli ultimi, si abolisce la tutela dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori per i nuovi assunti “a tutele crescenti”, in modo tale che l’ingresso nel mondo del lavoro sia sempre e comunque precario. A questo, forse, non ci aveva pensato neppure Marco Biagi (n. 1950, giustiziato nel 2002), il giuslavorista e consigliere ministeriale da laboratorio, che ha contribuito a inoculare il virus della precarietà nella società italiana. Sulla concretezza e sulla serietà dell’impegno, trattandosi di Renzi, è lecito avanzare qualche dubbio.
Su una cosa, però, ha ragione l’imbonitore fiorentino, in polemica strumentale con la cgil: ciò che è accaduto ai lavoratori negli ultimi decenni, tutte le ingiustizie che hanno subito, portano anche la firma dei sindacati, che hanno favorito, in modo più o meno scoperto – scopertamente la cisl, più subdolamente la cgil e ancor più nascostamente la fiom – la “discesa negli inferi” neoliberista del lavoro, siglando contratti-truffa e accordi-capestro, avallando riforme antipopolari, facendo carne di porco persino dei loro iscritti.
Eugenio Orso
Fonte: http://pauperclass.myblog.it
Link: http://pauperclass.myblog.it/2014/09/21/lobiettivo-renzi-lavoratori-uguali-sfruttati-eugenio-orso/
21.09.2014