DI F.WILLIAM ENGDAHL
Global research
Fine del gioco: la creazione senza freni di moneta privata
Dopo l’abolizione del Glass-Steagall Act nel 1999, agl’inizi del nuovo millennio abbiamo assistito a una stupefacente trasformazione dei mercati creditizi americani in quello che è ben presto diventato il più grande meccanismo al mondo per la creazione senza freni di moneta privata.
La Nuova Finanza è nata da un incestuoso e intercollegato, anche se informale, cartello di operatori, tutti formatisi sugli scritti di Alan Greenspan e dei suoi amici di J.P. Morgan, Citigroup, Goldman Sachs e degli altri maggiori istituti finanziari di New York. La cartolarizzazione doveva garantire un “nuovo” secolo degli Stati Uniti e il suo dominio finanziario, come i suoi creatori credevano fermamente all’inizio del secolo.
Oltre al disinvolto appoggio della FED di Greenspan, il segreto della rivoluzione finanziaria era la complicità dei rami esecutivo, legislativo e giudiziario del governo USA, fino alla Corte suprema. Inoltre, per evitare ogni intoppo all’operazione, bisognava poter contare sulla complicità fattiva delle due principali società di rating, Moody’s e Standard & Poors.
Bisognava anche che il Congresso e l’Esecutivo fossero pronti a respingere le ripetute sollecitazioni a regolare i derivati finanziari non quotati in borsa, gli hedge fund emessi o finanziati dalle banche, e a fare il necessario per abolire i controlli, la supervisione e la trasparenza faticosamente costruiti nel secolo precedente. Bisognava infine che le più importanti agenzie di rating certificate dal governo concedessero l’AAA alle Monoline, un gruppuscolo di società di assicurazione scarsamente controllate con base a New York, importante tassello della Nuova Finanza.
I legami e i consensi alla base della massiccia espansione della cartolarizzazione tra tutti questi operatori istituzionali erano talmente evidenti e pervasivi che avremmo dovuto piuttosto parlare di America New Finance Inc., con azioni avrebbero dovuto essere quotate al NASDAQ.
Alan Greenspan aveva anticipato e incoraggiato il processo di cartolarizzazione dei titoli molti anni prima che alimentasse in modo così dirompente la fenomenale bolla immobiliare degl’inizi del nuovo secolo. In un patetico tentativo di negare, dopo il crollo, il ruolo centrale da lui ricoperto, l’anno scorso Greenspan ha dichiarato che il problema non erano i prestiti ipotecari ai clienti subprime ma piuttosto la cartolarizzazione dei crediti subprime. Nell’aprile 2005 aveva però lodato in termini molto diversi la cartolarizzazione subprime, e, intervenendo nel corso della Federal Reserve System’s Fourth Annual Community Affairs Research Conference, aveva affermato
“Il progresso ha messo a nostra disposizione una miriade di nuovi prodotti, ad esempio i finanziamenti subprime e i programmi di crediti di nicchia per gl’immigrati. Sono un buon esempio delle risposte del mercato che hanno ispirato il settore dei servizi finanziari nella storia del nostro paese. Grazie a questi progressi tecnologici, i finanziatori hanno usato con profitto i modelli di valutazione del credito e altre tecniche per estendere in modo efficiente il credito a una più ampia gamma di consumatori… I titoli garantiti da ipoteca hanno permesso di creare un mercato nazionale e internazionale delle ipoteche, e il favore del mercato a una più estesa varietà di prodotti di prestito immobiliare ipotecario è oramai acquisito. Siamo così arrivati alla cartolarizzazione di un’ampia varietà di altri prodotti di credito al consumo, ad esempio nei settori auto e carte di credito”. [1]
Il discorso del 2005 venne tenuto nel periodo in cui più tardi dirà di aver improvvisamente capito che la cartolarizzazione stava andando fuori controllo. Nel settembre 2007, nel pieno della crisi, Leslie Stahl, della CBS, chiese a Greenspan perché non aveva fatto niente per fermare “le pratiche illegali o losche che sapeva essere in corso nei finanziamenti subprime”. Greenspan rispose: “Ecco, ho capito solo troppo tardi quanto fossero significative queste pratiche. Non me ne resi veramente conto fino a fine 2005 e inizi 2006 …”. [2] (il grassetto è mio).
Già nel novembre 1998, poche settimane dopo la quasi dissoluzione del sistema finanziario mondiale a causa del collasso dell’hedge fund LTCM, Greenspan aveva dichiarato nel corso della riunione annuale dell’US Securities Industry Association che “i sensazionali progressi registrati negli ultimi anni nel campo delle tecnologie informatica e delle telecomunicazioni hanno permesso un’ampia dismissione del rischio grazie a una innovativa ingegneria finanziaria. Gli strumenti finanziari del passato, azioni e obbligazioni, sono stati arricchiti con una vasta gamma di complessi prodotti finanziari ibridi, che consentono di isolare il rischio ma che, in molti casi, sembrano sfidare l’umana comprensione”. [3]
Il discorso era un chiaro invito a Wall Street a passare massicciamente alla cartolarizzazione garantita da titoli. Dopo tutto, nella dirompente crisi asiatica nel 1997-98 e nella crisi del sistema legata all’insolvibilità del debito pubblico nell’agosto 1998, Greenspan non aveva forse dimostrato che la FED e la sua massa di liquidità erano pronti a metter fuori causa le banche in caso di grossi disastri? Le grandi banche erano, dopo tutto, troppo grandi per fallire.
La FED, la più grande e potente banca centrale al mondo, e Greenspan, verosimilmente il direttore più favorevole al mercato libero che si potesse sperare, avrebbero sostenuto le grandi banche nella coraggiosa impresa della nuova cartolarizzazione. Dicendo che i rischi “sembrano sfidare l’umana comprensione”, Greenspan ammetteva di capire, almeno nelle sue linee generali, che si trattava di un nuovo settore finanziario confuso e complesso. I banchieri centrali erano tradizionalmente noti per la ricerca di chiarezza tra le banche e di procedure creditizie e gestione dei rischi estremamente prudenti da parte delle banche aderenti.
Cosa ancora più importante, nel suo intervento alla Securities Industry Association nel novembre 1998 Greenspan aveva fatto sapere agli amici di Wall Street sottoscrittori di valori immobiliari che avrebbe fatto tutto il possibile per fare in modo che nella Nuova finanza le norme di cartolarizzazione dei titoli venissero definite dalle sole banche.
All’epoca della FED di Greenspan, sarebbe spettato alle volpi sorvegliare il pollaio. E dichiarò infatti:
“La conseguenza (dell’innovativa ingegneria finanziaria delle banche) è un sistema finanziario di gran lunga più efficiente… Il nuovo sistema finanziario internazionale così nato rappresenta, nonostante i recenti rovesci, uno dei più importanti fattori del sensibile miglioramento delle condizioni di vita delle economie che hanno scelto di parteciparvi.
Quando pensiamo alla base normativa del nuovo sistema finanziario internazionale, è importante ricordare che non dobbiamo limitarci esclusivamente a quello che conosciamo oggi. Per quel che ne so, niente ci autorizza a credere che la transizione al nuovo sistema finanziario internazionale basato sulle odierne innovative tecnologie sia terminata. Le complessità di domani faranno apparire trascurabili quelle odierne.
È quindi estremamente importante riconoscere che per essere sicura e affidabile la normativa finanziaria del ventunesimo secolo dovrà affidarsi sempre più alla sorveglianza della controparte privata. Non è seriamente pensabile che maggiori norme finanziarie pubbliche possano fare altro che ostacolare il processo. Man mano che aumenta la complessità dell’intermediazione finanziaria a scala globale, il normale processo di sorveglianza normativa diventa sempre più obsoleto, quantomeno nel caso dei sistemi bancari più complessi”. [4] (il grassetto è mio)
Ci si potrebbe ingenuamente chiedere perché allora consegnare tutti i poteri, come il Glass-Steagall Act, alle banche private ben oltre i possibili limiti della normativa ufficiale.
Nell’ottobre 1999, in piena frenesia della bolla del mercato azionario dot.com, una bolla speculativa che Greenspan sottolineò ripetutamente e in modo deciso di non poter considerare come tale, il presidente della FED esaltò ancora una volta il ruolo dei derivati finanziari e dei “nuovi strumenti finanziari… che polverizzano il rischio in modo tale da renderlo più tollerabile. Naturalmente la forma più pura è l’assicurazione. Tutti i nuovi prodotti finanziari creati negli ultimi anni, con i derivati in prima linea, hanno un maggior valore economico perché frazionano il rischio e lo ripartiscono in modo estremamente equilibrato”. Stava parlando della cartolarizzazione dopo l’abolizione del Glass-Steagall Act. [5]
La “sorveglianza della controparte privata” di cui parla la FED ha portato l’intero sistema internazionale di contrattazione interbancaria a un fragoroso arresto nell’agosto 2007, quando si è diffuso il panico sul valore dei trilioni di dollari in ABCP cartolarizzati e su buona parte delle obbligazioni. Gli effetti dello shock cominciano solo ora che banche e investitori tagliano i valori nel sistema finanziario statunitense e internazionale. Ma questa è un’altra storia.
Deregolamentazione, TBTF e mania di grandezza tra le banche
Negli USA, tra il 1980 e il 1994 oltre 1.600 banche assicurate con la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) sono state chiuse o hanno ricevuto un aiuto finanziario: un numero nettamente superiore a quello di qualsiasi altro periodo dalla creazione, negli anni ’30, della garanzia federale sui depositi. Si è trattato di un processo di concentrazione in giganteschi gruppi bancari per entrare nel nuovo secolo.
Nel 1984 la più grande situazione d’insolvibilità bancaria della storia statunitense rischiò di far fallire la Continental Illinois National Bank di Chicago, la settima banca in ordine d’importanza nel paese e una delle più grandi al mondo. Per evitarlo, il governo usò la Federal Deposit Insurance Corporation per salvare la Continental Illinois e annunciò una garanzia sui depositi del 100%, invece di quella limitata fornita dalla FDIC. Fu l’inizio di quella che è ora chiamata “la dottrina TBTF” (troppo grande per fallire). La giustificazione fu che non era possibile lasciar fallire le banche molto grosse, proprio perché essendo molto grosse avrebbero potuto dar luogo a una reazione a catena con gravi conseguenze sull’intera economia. Non ci volle molto perché le grandi banche si rendessero conto che quanto più grandi diventavano con fusioni e acquisizioni tanto più facilmente potevano rientrare nella dottrina TBTF. Il cosiddetto “rischio morale” stava diventando una caratteristica importante delle grandi banche USA. [6]
La dottrina TBTF si è poi estesa all’epoca della gestione di Greenspan per includervi anche i più importanti hedge fund (LTCM), i più grandi mercati azionari (NYSE), e praticamente tutte le maggiori organizzazioni finanziarie in cui gli USA hanno interessi strategici. Le conseguenze sono state devastanti. Al di fuori di ristretti circoli all’interno delle grandi istituzioni del mondo finanziario, pochi hanno capito che una nuova dottrina era nata.
Una volta messa a punto la dottrina TBTF, le grandi banche si sono date da fare per diventare ancora più grandi. I tradizionali principi di separazione del mondo bancario in banche locali di risparmio e prestito e banche commerciali internazionali (come Citibank, J.P. Morgan, e Bank of America) e il divieto di operare in più di uno stato sono stati poco a poco abbandonati. Si è trattato di una specie di omogeneizzazione, che è servita però alle banche più grandi per distruggere e incorporare quelle più piccole e per creare cartelli finanziari di ampiezza mai vista.
Nel 1996 il numero di banche indipendenti era sceso di oltre un terzo rispetto a fine anni ’70, da oltre 12.000 a poco più di 8.000. La percentuale di valori bancari controllati dalle banche con oltre 100 miliardi di dollari è raddoppiata, arrivando a un quinto dei valori di tutte le banche USA. E la tendenza è solo agl’inizi. La consolidazione bancaria è una conseguenza diretta dell’abolizione delle restrizioni geografiche che limitavano a un singolo stato le possibilità di acquisizione e holding, formalizzata con l’Interstate Banking and Branch Efficiency Act del 1994, dove, alla voce “servizi bancari più efficienti”, si preparava la sopravvivenza darwiniana dei più forti. Il processo avrà importanti conseguenze un decennio più tardi, quando la cartolarizzazione si svilupperà ben oltre le più predatorie speranze delle banche.
J.P. Morgan apre la strada
Nel 1995, nel pieno dell’era Clinton-Rubin, la J.P. Morgan, l’ex banca di Alan Greenspan, introdusse un’innovazione che nel decennio successivo avrebbe rivoluzionato il sistema bancario. Blythe Masters, un trentaquattrenne laureato a Cambridge e poi assunto dalla banca, sviluppò il primo Credit Default Swaps, un derivato finanziario che apparentemente permetteva alla banca di garantirsi contro i crediti impagati, e le Collateralized Debt Obligations, obbligazioni emesse a fronte di un pacchetto misto di valori, una specie di derivato creditizio che riuniva un ampio spettro di aziende in un singolo strumento.
L’aspetto interessante di questi nuovi strumenti era il fatto che non apparivano nella contabilità della banca, e restavano quindi esclusi dal limite dell’8% previsto dall’accordo di Basilea. L’obiettivo era aumentare i guadagni della banca ed eliminare al tempo stesso il rischio, obiettivo che nella realtà può essere solo molto sospetto.
La J.P. Morgan aveva quindi aperto la strada per trasformare i tradizionali finanziatori commerciali in operatori di crediti, cioè in effetti in cartolarizzatori. La nuova idea era quella di consentire alle banche di portare i rischi fuori bilancio, mettendo in comune i debiti e rivendendoli come titoli, coperti da un’assicurazione sugl’impagati (i Credit Default Swaps). L’idea avrebbe ben presto avuto sviluppi sorprendenti, toccando volumi per le banche calcolati in trilioni di dollari. A fine 2007, il valore dei contratti CDS (Credit Default Swap) veniva calcolato in 45.000 miliardi, dando ai possessori di obbligazioni l’illusione della sicurezza. Un’illusione, però, che si basava su modelli di rischio bancario le cui previsioni di impagati non sono conosciute e, se dello stesso tipo di quelle di altri modelli di rischio, estremamente ottimistiche. Ma il solo fatto che l’illusione esistesse era sufficiente a spingere in massa, come i lemming, le più importanti banche al mondo a comprare obbligazioni ipotecarie collaterizzate, o garantite da flussi di rimborsi ipotecari di qualità creditizia ignota, e ad accettare senza obiettare i rating AAA di Moody’s o di Standard & Poors.
Nel 1987 Greenspan, come nuovo responsabile della FED, si rivolse ai suoi vecchi alleati della J.P. Morgan quando volle aggirare il rigido Glass-Steagall Act, e fu sempre alla J.P. Morgan che chiese di collaborare segretamente con la FED per comprare derivati sull’indice azionario MMI di Chicago in modo da provocare un rialzo artificiale dopo il crollo dell’ottobre 1987. Negli anni ’90, la FED di Greenspan lavorò inoltre con la stessa J.P. Morgan e con un gruppetto di altri amici fidati di Wall Street per agevolare il lancio della cartolarizzazione, quando apparvero evidenti gli straordinari vantaggi per le banche che per prime si sarebbero lanciate nel settore e che avrebbero definito le regole del gioco, la Nuova finanza.
A guidare la marcia delle grandi banche d’affari che dal 1995 ha allontanato le banche commerciali dal tradizionale credito per trasformarle in operatori del credito e del rischio creditizio fu la J.P. Morgan & Co. L’obiettivo era ammassare grandi fortune nei bilanci bancari senza dover tener conto del rischio nella contabilità; un aperto invito all’ingordigia, la frode e il disastro finanziario finale. Praticamente tutte le grandi banche mondiali – dalla Deutsche Bank all’UBS, alla Barclays, alla Royal Bank of Scotland, alla Société Générale – seguirono a ruota, come ciechi lemming affamati.
Nessuna, però, riuscì a imitare il manipolo di banche statunitensi che dette vita e dominò il nuovo universo della cartolarizzazione dopo il 1995 e quello dei derivarti. Le banche, con in prima fila la J.P. Morgan, cominciarono a portare fuori bilancio il rischio sul credito mettendo in comune i crediti, reimmettendo sul mercato il portafoglio, e assicurandosi la copertura delle insolvenze dopo i prestiti corporati ai clienti. L’epoca della Nuova finanza era cominciata, e come tutte le più importanti “innovazioni” finanziarie era cominciata lentamente.
Poco dopo le nuove banche di cartolarizzazione, come la J.P. Morgan, cominciarono a creare portafogli di titoli debitori, aggregarli e venderli in quote calcolate sulle probabilità d’insolvenza. Il nuovo gioco generava utili per le banche emittenti e dava agli investitori “un rischio calcolato sugli utili”. Ben presto si cominciò ad aggregare e vendere in quote ABS (Asset Backed Securities), CDS (Collateralized Debt Securities), e persino debiti dei mercati emergenti.
Il 2 novembre 1999 – solo 10 giorni prima che Bill Clinton firmasse l’abrogazione del Glass-Steagall Act e offrisse così alle banche commerciali la possibilità di acquisire senza restrizioni attività d’intermediazione, banche d’investimento, società assicurative e istituzioni finanziarie di vario tipo – Alan Greenspan cominciò a incoraggiare il processo di cartolarizzazione bancaria delle ipoteche immobiliari.
In un discorso durante la conferenza sui mercati ipotecari organizzata dall’America’s Community Bankers, una associazione bancaria a livello regionale, il responsabile della FED dichiarò:
Il recente aumento del tasso di proprietari fino ad oltre il 67% nel terzo trimestre dell’anno è dovuto in parte alla positiva crescita economica e alla robusta espansione dei posti di lavoro. Ma in parte è dovuto anche al fatto che finanziatori innovativi, come voi, hanno creato una gamma molto più ampia di prodotti ipotecari e hanno migliorato l’efficienza delle strutture emittenti e assicurative. Per continuare con tassi d’aumento di questo livello, è necessario proseguire gli attuali sforzi per ottimizzare le richieste di finanziamento e le procedure di emissione e per adattare le ipoteche ai singoli proprietari… La comunità bancaria possiede la flessibilità e le risorse necessarie non solo per adattarsi utilmente ai cambiamenti demografici e i progressi tecnologici, ma anche per creare nuove forme di finanziamento ipotecario che favorisca l’acquisto immobiliare. Per quanto riguarda la FED, siamo impegnati ad assistervi fornendovi una piattaforma stabile per gli affari in generale e per l’attività immobiliare e ipotecaria. [7] (il grassetto è mio)
Già l’8 marzo dello stesso 1999 Greenspan si era rivolto alla Mortgage Bankers’ Association dipingendo la cartolarizzazione garantita da ipoteca immobiliare come la soluzione del futuro e ricordando ai banchieri che
“La maggiore stabilità nell’erogazione dei crediti ipotecari è stata accompagnata dalla dismissione di vari aspetti del processo ipotecario. Alcune istituzioni operano come banche erogatrici di ipoteche, selezionando i richiedenti e avviando i finanziamenti. Altre gestiscono i prestiti ipotecari, una funzione in cui l’efficienza sembra essere stata raggiunta grazie alla massa di operazioni. Altri ancora, in massima parte con stabili basi di finanziamento, assicurano il finanziamento permanente delle ipoteche con la loro partecipazione nei pool ipotecari. In seconda linea, alcune altre istituzioni suddividono i flussi di cassa in quote speciali destinate a un più ampio gruppo d’investitori. Nel processo le emissioni di titoli garantiti da ipoteche hanno raggiunto la strabiliante cifra di 2,4 trilioni di dollari… e sempre più spesso viene utilizzato un software automatico di assunzione del rischio per trattare una percentuale in rapida crescita di richieste ipotecarie. La tecnologia non solo riduce i tempi di approvazione delle richieste di ipoteche ma offre anche un ottimo strumento per valutare le domande in base a un’ampia gamma di differenti parametri; contribuisce così a fare in modo che rate di rimborso, valutazione delle risorse del richiedente e tassi d’interesse addebitati riflettano accuratamente il rischio del credito. Questi sviluppi hanno permesso l’anno scorso al settore di gestire agevolmente un volume enorme di ipoteche, soprattutto se paragonato alle tensioni constatate nelle precedenti ondate di rifinanziamenti. Un vantaggio fondamentale della nuova tecnologia è stata l’accresciuta capacità di gestire il rischio (sic). Guardando al futuro, l’accresciuto uso di sistemi automatici di valutazione e assunzione del rischio lascia intravedere ipoteche economiche e individualizzate con un costo del rischio a misura. Adattando le ipoteche ai bisogni dei singoli richiedenti, il futuro settore bancario delle ipoteche sarà meglio posizionato per coprire tutte le esigenze del mercato ipotecario. [8] (il grassetto è mio)
Ma è solo quando, nel 2000, la FED sgonfierà la bolla dot.com e Greenspan porterà i tassi d’interesse a un livello bassissimo che non si vedeva dall’epoca della Grande depressione negli anni ’30, che la cartolarizzazione dei titoli esploderà letteralmente
Cartolarizzazione: un accordo irreale
L’obiettivo ultimo della cartolarizzazione era inserito in una struttura talmente complessa che nessuno, nemmeno il suo inventore, si rese completamente conto della diffusione del rischio, e men che mai della contemporanea crescita del rischio nel sistema.
La cartolarizzazione era un processo in cui i valori venivano inglobati in uno strumento finanziario, talvolta chiamato SPV (Special Purpose Vehicle) o SIV (Special Investment Vehicle).
Nel SIV le diverse ipoteche immobiliari, per fare un esempio, erano raggruppate in gruppi, o pacchetti come venivano chiamati. Un pacchetto specifico di, diciamo, ipoteche immobiliari approvate si trasformavano adesso in azioni, azioni garantite da attività (ABS): in questo caso titoli garantiti da ipoteche. Le azioni cartolarizzate erano garantite dal flusso di cassa o dal valore dei titoli di partenza.
Questo piccolo passo richiedeva un complesso passaggio dalla realtà all’illusione. Si basava infatti sulla garanzia illusoria di collaterali il cui valore reale, come hanno adesso amaramente constatato le banche di tutto il mondo, era ignoto e non calcolabile. Già in questa fase il possesso effettivo di un’ipoteca immobiliare su una specifica casa nel pacchetto è legalmente controverso, come avevo già sottolineato nella parte I. Nell’intera catena, chi ha realmente il possesso fisico del rogito ipotecario “con la firma autentica” sulle migliaia di case aggregate nel collaterale? Adesso gli avvocati dovranno lavorare per anni prima di riuscire a tirare fuori Wall Street dalla sua ambigua posizione.
La cartolarizzazione di solito applicata a valori senza liquidità, difficilmente vendibili, era diventata pratica corrente nel settore immobiliare. E il settore immobiliare statunitense attuale è uno dei mercati con meno liquidità al mondo. Tutti ne vogliono uscire e pochi vi vogliono entrare, quantomeno non ai prezzi correnti.
La cartolarizzazione è stata applicata a pacchetti di proprietà fittate, ipoteche residenziali, mutui edilizi, prestiti studenteschi, carte di credito, o altri debiti. In teoria era possibile cartolarizzare qualsiasi valore associato a un sicuro e prevedibile flusso di cassa. In teoria. In pratica le banche statunitensi hanno potuto aggirare le più severe norme dell’accordo Basilea II sull’adeguamento del capitale, esplicitamente destinate a eliminare almeno in parte il gap di Basilea I che aveva permesso alle banche, non solo americane, di mascherare la massa di prestiti come SIV (Special Investment Vehicles) non contabilizzati in bilancio.
Alchimia finanziaria: la mosca finisce nella melassa
La cartolarizzazione ha quindi convertito valori senza liquidità in valori con liquidità. Lo ha fatto, in teoria, raggruppando, assicurando e rivendendo i previsti flussi di pagamento ai possessori come ABS (asset-backed securities). I valori garantiti da ipoteca (MBS) erano un tipo particolare di ABS, di gran lunga il più diffuso a partire dal 2001.
Ed è a questo punto che la mosca è caduta nella melassa.
Nel 2006 il mercato immobiliare statunitense ha cominciato a registrare un accentuato ribasso, mentre i tassi ARM (i prestiti ipotecari a tasso variabile) hanno subito una netta impennata in tutto il paese; centinaia di migliaia di proprietari sono stati obbligati a lasciare le loro case ipotecate che non erano più in grado di rimborsare, o sono stati sfrattati a un punto o l’altro della complessa catena della cartolarizzazione, spesso in modo del tutto illegale come ha recentemente sentenziato un giudice dell’Ohio. Nel 2007 gli espropri sono aumentati del 75% rispetto all’anno anteriore, in quello che potrebbe diventare un disastro immobiliare pari o superiore alla catastrofe della Grande depressione. In California sono saliti di uno strabiliante 421%, sempre rispetto all’anno anteriore.
La crescente quantità di ipoteche non pagate ha a sua volta creato un baratro nel sottostante flusso di pagamenti in contanti che avrebbe dovuto sostenere gli MBS. Poiché l’intero sistema non era trasparente, nessuno, e men che mai le banche che possedevano i documenti, era in grado di sapere quali ABS erano buoni e quali cattivi. E poiché la natura aborrisce il vuoto, banchieri e investitori, soprattutto gl’investitori globali, aborriscono l’incertezza nei titoli finanziari che possiedono: li trattano come rifiuti tossici.
Gli architetti di questa Nuova finanza, basata sulla cartolarizzazione delle ipoteche immobiliari, erano arrivati alla conclusione che aggregare in enormi MBS centinaia di ipoteche diverse di differente affidabilità debitoria di tutti gli USA non era abbastanza. Se volevano poter vendere i nuovi MBS ai ricchi fondi pensionistici di tutto il mondo, gli assicuratori dovevano disporre di qualche altra freccia al loro arco. La maggior parte dei fondi pensione sono autorizzati a comprare solo azioni della più alta qualità e con rating AAA.
Ma come poteva un’agenzia di rating valutare un titolo composto da pagamenti ipotecari di oltre 1.000 differenti ipoteche immobiliari in tutti gli USA? Non era certo in grado di mandare un analista in ogni città per esaminare il bene e parlare con gli occupanti. Chi poteva dunque seguire il valore? Certo non la banca di emissione, che vendeva immediatamente l’ipoteca a prezzo scontato per non dover registrare in bilancio l’operazione. E nemmeno l’SPV, che era lì solo per evitare ogni collegamento tra la transazione e la banca emittente. C’era bisogno di qualcosa di diverso. Ed ecco entrare in scena il Deus ex machina, sotto le spoglie di una delle tre (in realtà due) agenzie di valutazione del credito.
Il gioco del rating degli ABS
Non bisogna disperare quando ci si trova di fronte a nuovi ostacoli, prendete esempio da come J.P. Morgan, Morgan Stanley, Goldman Sachs, Citigroup, Merrill Lynch, Bear Stearns e una miriade di altri partecipanti al gioco di cartolarizzare la massa in rapida crescita di ipoteche immobiliari che dopo il 2002 si rivolsero alle tre grandi agenzie di rating per ottenere il ricercato AAA. Il rating era indispensabile perché, a differenza delle emissioni di azioni aziendali tradizionali, diciamo della GE o della Ford, alla base delle quali c’era un’azienda reale ben conosciuta, di primissima qualità e con una storia finanziaria di lunga data, alla base delle ABS non c’era nessuna azienda, ma solo una marea d’impegni ipotecari in tutto il paese.
Le ABS od obbligazioni erano, se vogliamo, una creazione artificiale “isolata”, la cui legalità, alla luce della legge americana, è stata messa in dubbio. Ecco perché era necessario un rating certificato da un’agenzia di rating che rendesse l’obbligazione credibile, o quantomeno le desse “l’apparenza di credibilità”, come abbiamo adesso scoperto dopo l’attuale crollo della cartolarizzazione.
Al centro dell’architettura della Nuova finanza, incoraggiata negli ultimi due decenni dalla FED di Greenspan e dalle successive amministrazioni statali, c’era il quasi monopolio esercitato dalle tre agenzie private, e di fatto senza regole, che fornivano i rating per tutti i valori cartolarizzati, ovviamente a un costo estremamente elevato.
Delle tre agenzie di rating che dominavano il settore mondiale dei rating creditizi, la più grande è la Moody’s Investors Service. Negli anni di espansione della cartolarizzazione, Moody’s dichiarava regolarmente un profitto molto superiore al 50% sulle entrate di rating. Le altre due sono Standard & Poor’s e Fitch Ratings. Tutte e tre sono società statunitensi intimamente legate all’ambiente finanziario di Wall Street e della finanza USA. Il fatto che l’attività di rating fosse un monopolio de facto americano non era un caso, era una situazione attentamente pianificata come puntello centrale del dominio finanziario di New York. Il controllo del mondo del rating creditizio era per l’immagine del potere globale statunitense equivalente al dominio del paese nel campo delle armi nucleari.
L’ex segretario del Lavoro, l’economista Robert Reich, aveva individuato il problema fondamentale nel rating, l’intrinseco conflitto d’interessi, e segnalava: “Le agenzie di rating vengono pagate dalle stesse istituzioni che aggregano e vendono i titoli che le agenzie stanno valutando. Se una banca d’investimenti non apprezza il rating, semplicemente non paga. E anche se lo apprezza paga solo dopo aver venduto i titoli. Capite? È come se un produttore chiedesse ai critici cinematografici di recensire un suo film, ma li pagasse solo in caso di critica abbastanza positiva da convincere la massa ad andare a vederlo”.
Reich continuava: “Fino al crollo, per le agenzie di rating il risultato è stato eccellente. Tra il 2002 e il 2006, i profitti di Moody’s sono più che raddoppiati. E sono stati eccellenti anche per le società che hanno emesso gli MBS. La domanda è esplosa perché gli eccellenti rating avevano ampliato il mercato. Gli operatori guardavano solo i rating… un gioco dei quattro cantoni multimiliardario. E poi il gioco si è fermato”. [9]
E le tre agenzie di rating – Moody’s, S&P, e Fitch – sono finite direttamente nell’occhio del ciclone. In effetti, per Wall Street e le altre banche erano le sole società a gestire i rating dei titoli cartolarizzati.
Secondo una pubblicazione del settore, Inside Mortgage Finance, le agenzie di rating avevano classificato come AAA il 25% circa dei 900 miliardi di dollari di ipoteche subprime emesse negli ultimi due anni. Si tratta di oltre 220 miliardi di dollari di titoli ipotecari subprime che si fregiavano del rating AAA concesso da Moody’s, Fitch o Standard & Poors. E adesso l’insolvibilità delle ipoteche immobiliari sta travolgendo il paese.
E qui la situazione diventa sgradevole. I presupposti in base ai quali le agenzie concedevano l’agognata approvazione AAA erano un segreto della casa. “Abbiate fiducia in noi…”
Secondo un economista che opera nel campo dei rating e che ha avuto accesso al modello di presupposti usato da Moody’s, S&P e Fitch per giudicare se un pacchetto d’ipoteche subprime poteva o no essere classificato AAA, le agenzie usavano i tassi storici d’impagato di un periodo in cui questi erano al punto più basso dalla Grande depressione in poi, in altre parole di un periodo con tassi d’impagato anormalmente bassi, per arrivare a concludere per estrapolazione che i titoli subprime erano e sarebbero stati in un lontano futuro di categoria AAA.
Il rischio d’impagato, anche per un’ipoteca subprime, era, ecco l’argomento usato, “praticamente infinitesimale”. Il rating AAA di Moody’s permetteva a sua volta alle società di finanziamento di Wall Street di vendere i CMO ai fondi pensione, e a chiunque cercasse “un incremento sostanzioso” ma senza rischi. Almeno in teoria.
Come ha sottolineato Oliver von Schweinitz in un libro uscito al momento giusto, Rating Agencies: Their Business, Regulation and Liability, “Le cartolarizzazioni senza rating sarebbero impensabili”. E vista la loro natura particolare, ribadisce von Schweinitz, gli ABS dei prestiti ipotecari “anche se di tipo standardizzato, sono eventi unici, mentre altre emissioni (obbligazioni aziendali, obbligazioni statali) coinvolgono di solito operatori abituali. E gli operatori abituali hanno una minore propensione a truffare di coloro che “fanno un’emissione una tantum”. [10]
Per dirla in altri termini, ci sono più, molti più, incentivi a truffare e a frodare con gli ABS che con le obbligazioni tradizionali.
La situazione unica di Moody’s e S&P
In base alla legge statunitense, le tre principali agenzie di rating godono di una situazione pressocché unica. Sono considerate dal SEC (Securities and Exchange Commission) delle NRSRO (Nationally Recognized Statistical Rating Organizations). Attualmente negli USA esistono solo quattro NRSRO (la quarta è la Dominion Bond Rating Service Ltd, una società canadese molto più piccola). In sintesi, le prime tre hanno il quasi monopolio del settore dei rating, a livello mondiale.
La sola legge americana che regoli le attività delle agenzie di rating, è il Credit Agency Reform Act del 2006, una legge del tutto inoffensiva approvata sull’onda del fallimento della Enron. Quattro giorni prima del crollo, le agenzie di rating avevano attribuito alla Enron un “investment grade”; un pubblico sotto shock aveva allora chiesto di condurre un’indagine. Gli effetti del Credit Agency Reform Act del 2006 non hanno assolutamente inciso sul monopolio facto di S&P, Moody’s e Fitch.
Reagendo alla frode Enron e a una simile dell’azienda italiana Parmalat, l’Unione europea aveva avviato una procedura per indagare l’eventuale esistenza di un conflitto d’interessi delle agenzie di rating statunitensi che controllavano la Parmalat, la trasparenza delle loro metodologie (del tutto opache) e le conseguenze della mancanza di concorrenza.
Dopo vari anni di “studi” e presumibilmente di pressioni nascoste delle grandi banche europee coinvolte nel gioco della cartolarizzazione, la Commissione europea ha annunciato nel 2006 che si sarebbe limitata a “continuare a sorvegliare” (sic) le agenzie di rating. Moody’s, S&P e Fitch dominano anche i rating in Europa. Non hanno concorrenti.
Siamo in un paese libero, non è vero?
In base alle leggi statunitensi, le agenzie che attribuiscono i rating non sono responsabili dei loro giudizi, anche se gl’investitori di tutto il mondo dipendono spesso solo dal numero di A attribuito da Moody’s o S&P per giudicare il valore del credito, in particolare nel caso dei titoli cartolarizzati. Il Credit Agency Reform Act del 2006 non affronta il problema della responsabilità di queste società, e in questo senso non vale la carta su cui è stato scritto. Non ci sono altre leggi che si occupino delle agenzie di rating.
Come ha sottolineato von Schweinitz, “la norma 10b-5 del Securities and Exchange Act del 1934 è probabilmente il principale punto di riferimento per un’azione legale basata sulla frode nel mercato dei capitali”. La norma stabilisce che “è illegale … diffondere affermazioni false su un fatto materiale”. Sembrava qualcosa di concreto, ma in una sentenza del 2005 (la Dura Pharmaceuticals) la Corte Suprema ha dichiarato che i rating “non sono affermazioni su un fatto materiale” ai sensi della norma 10b-5. I rating assegnati da Moody’s, S&P o Fitch sono piuttosto “semplici opinioni”, e sono quindi protetti dal primo emendamento della costituzione statunitense in quanto “libere opinioni privilegiate”.
Moody’s o S&P possono quindi dire qualsiasi cosa passi loro per la testa su Enron, Parmalat o su qualsiasi titolo subprime. Siamo in un paese libero, non è vero? Ognuno ha diritto ad esprimere le proprie opinioni, giusto?
Sentenza dopo sentenza, i tribunali americani hanno deciso che i mercati finanziari sono “efficienti”, e quindi i mercati scopriranno qualsiasi frode perpetrata in una azienda o con un’obbligazione, e ne penalizzeranno la quotazione … forse. Non c’è quindi da preoccuparsi per i rating … [11]
È a questo tipo di “autoregolamentazione” che apparentemente stava pensando Alan Greenspan quando interveniva per opporsi a ogni tentativo di regolamentare l’emergente rivoluzione della cartolarizzazione dei titoli.
La rivoluzione della cartolarizzazione era sostenuta da una specie di “non vedo, non sento, non parlo” del governo USA, secondo cui “se va bene per l’Economia va bene per il paese”. È una variazione perversa di un’affermazione già di per se stessa perversa del l’allora capo della General Motors, Charles E. Wilson, che negli anni’50 ripeteva “se è buono per la General Motors è buono per l’America”.
Assicurazioni monoline: il Viagra della cartolarizzazione?
Se i valori subprime non riuscivano ad ottenere la qualifica AAA, c’era un problema supplementare da risolvere. I cervelloni di Wall Street tirarono fuori un’ingegnosa soluzione.
Le società che emettevano le MBS potevano prendere quella che era conosciuta come assicurazione Monoline, un’altra geniale pensata della rivoluzione di Greenspan per garantirsi dalle insolvibilità nel campo delle ABS.
Anche se erano nate nei primi anni ’70 come garanzia per le obbligazioni municipali, è con la rivoluzione della cartolarizzazione di Greenspan che le assicurazioni monoline ebbero un posto di primo piano.
Come affermava la loro associazione di settore, “La struttura monoline garantisce che il nostro impegno miri unicamente ad aumentare il valore del capitale dei clienti del nostro mercato”. E lo conseguirono. A dicembre 2007, una stima verosimile calcolava che gli assicuratori monoline, undici società di New York con scarsa capitalizzazione e vaghe norme di funzionamento che si definivano “garanti finanziari”, avevano fornito garanzie per la cartolarizzazione di ABS con rating AAA di un valore superiore ai 2,4 trilioni di dollari”. (il grassetto è mio)
L’assicurazione monoline divenne indispensabile nella frode perpetrata da Wall Street e nota come cartolarizzazione. Pagando una certa somma, una compagnia assicurativa specializzata (da qui il nome monoline) assicurava o garantiva un aggregato di ipoteche subprime qualora, in caso di crisi economica o di recessione, il proprietario subprime di scarsa affidabilità non fosse stato in grado di pagare la rata mensile del prestito ipotecario.
Per citare il sito web ufficiale dell’associazione degli operatori monoline, “L’AFGI (Association of Financial Guaranty Insurers) è l’associazione degli assicuratori e riassicuratori delle obbligazioni municipali e degli ABS. Un’obbligazione o un altro titolo assicurato da un membro dell’AFGI è coperto dalla garanzia incondizionale e irrevocabile che, in caso d’insolvibilità, capitale e interessi saranno interamente pagati alla scadenza”. Ora che – a causa degli azzeramenti delle ipoteche subprime, della crescente recessione e degl’impagati ipotecari – stanno ricevendo domande d’indennizzo iperboliche, le scarsamente capitalizzate società monoline stanno amaramente rimpiangendo le promesse fatte.
I principali assicuratori monoline erano nomi poco noti: ACA Financial Guaranty Corp., Ambac Assurance, Assured Guaranty Corp. BluePoint Re Limited, CIFG, Financial Guaranty Insurance Company, Financial Security Assurance, MBIA Insurance Corporation, PMI Guaranty Co., Radian Asset Assurance Inc., RAM Reinsurance Company e XL Capital Assurance.
Un lettore prudente potrebbe chiedersi: “Chi assicura queste undici compagnie monoline che negli ultimi cinque o più anni di rivoluzione finanziaria ABS hanno garantito miliardi se non trilioni di flussi di cassa?”.
Nessuno, è la semplice risposta. La loro associazione afferma che “Per quanto riguarda la sicurezza dei rimborsi, 8 membri AFGI possono vantarsi di un rating AAA e altre 2 un rating AA”. I rating AAA o AA sono stati assegnati da Moody’s, Standard & Poors e Fitch.
Essere garantiti da un assicuratore di obbligazioni con un rating AAA, significava ridurre il costo del debito rispetto al normale e avere un più gran numero d’investitori pronti ad acquistare le obbligazioni.
Per le monoline assicurare questi titoli, che nel periodo 2003-2006 avevano un tasso medio d’insolvibilità pari a una frazione dell’1%, sembrava un’operazione senza rischi. Di conseguenza avevano moltiplicato i titoli nei bilanci, e per una monoline non era raro avere rischi assicurati per un totale superiore di 100 o 150 volte il capitale di base. Fino a poco tempo fa, Ambac aveva un capitale di 5,7 miliardi di dollari a fronte di 550 miliardi di garanzie concesse.
Nel 1998 il NY State Insurance Superintendent’s office, il solo normatore delle monoline, autorizzò queste aziende a vendere CDS (credit-default swaps) sugli ABS, ad esempio titoli garantiti da ipoteche. Bastava creare una società di comodo indipendente, grazie alla quale potevano essere vendute alle banche i CDS sugli ABS.
L’operazione di assicurare obbligazioni cartolarizzate era per le monoline estremamente lucrativa. I premi della MBIA passarono dai 235 milioni di dollari del 1998 ai 998 milioni del 2007. L’anno scorso l’aumento rispetto all’anno precedente è stato del 140%. Poi è arrivata la crisi delle ipoteche subprime americane, e la musica è cambiata.
Le ipoteche nelle obbligazioni bancarie sono diventate inesigibili – a gennaio 2008, quasi il 20% delle ipoteche subprime emesse nel 2006 risultava impagato – e le monoline sono state obbligate a intervenire e onorare i pagamenti.
Il 3 febbraio, MBIA ha annunciato riduzioni contabili e altri costi per 3,5 miliardi di dollari in soli tre mesi, con una perdita trimestrale di 2,3 miliardi. Era solo la punta di un enorme iceberg. Alla domanda sul potenziale ammontare delle perdite, l’analista assicurativo Donald Light ha risposto “La risposta è che non lo sa nessuno. Penso che ne avremo un’idea nel terzo o quarto trimestre del 2008”.
Le agenzie di rating dei crediti hanno cominciato a declassare le monoline, togliendo loro le tanto agognate AAA; in altre parole le monoline non potranno concludere nuovi affari e le obbligazioni da loro garantite non si fregeranno più di un rating AAA.
Fino ad oggi la sola monoline ad essere declassata da due agenzie (condizione di solito necessaria perché vi sia un impatto reale sull’azienda) è la FGIC, declassata da Fitch e da S&P. Ambac, la seconda monoline in ordine d’importanza, è stata declassata a AA da Fitch, e le altre monoline si trovano in situazioni a vario grado allarmanti.
Le agenzie di rating hanno condotto “test informatici di simulazione dello stress” per decidere se le monoline potrebbero “onorare le richieste di rimborso a un livello d’insolvibilità comparabile a quello della Grande depressione”. Fino a che punto potrebbero tenere in una situazione di crisi reale? L’associazione del settore dichiara che “le risorse per soddisfare le richieste di pagamento delle garanzie concesse dai nostri membri … ammontano a oltre 34 miliardi di dollari”. [12]
Si tratta di una goccia in quello che nel corso del 2008 si sta sempre più rapidamente dimostrando un pozzo senza fondo. È stato calcolato che circa un terzo di tutte le transazioni sul mercato degli ABS è stato preparato o assicurato dalle monoline AAA. Gl’investitori avevano cercato presentazioni rassicuranti dei collaterali volatili o di quelli senza una lunga storia. [13]
Secondo Securities Industry and Financial Markets Association, un gruppo commerciale statunitense, a fine 2006 negli Stati Uniti c’erano ABS per un valore totale di circa 3,6 trilioni di dollari (ipoteche immobiliari, prime e subprime, prestiti immobiliari, carte di credito, prestiti studenteschi, prestiti auto, finanziamenti per apparecchiature, e via di questo passo). Per fortuna, non tutti i 3,6 trilioni cartolarizzati sono insolvibili, e non tutti allo stesso tempo. Ma negli ultimi anni la monoline AGFI ha assicurato un montagna di ABS per un valore di 2,4 trilioni. Ai primi di febbraio 2008, gli analisti indipendenti stimavano che il rischio potenziale d’impagato per l’assicuratore, nella migliore delle ipotesi, poteva superare i 200 miliardi di dollari. Un salvataggio di questa portata nell’anno delle elezioni potrebbe essere un interessante argomento per gli elettori.
Fuori bilancio
La rivoluzione della cartolarizzazione ha permesso alle banche di spostare i valori fuori bilancio, in strumenti poco trasparenti e non regolati, e di vendere le ipoteche a prezzo scontato a sottoscrittori come Merrill Lynch, Bear Stearns, Citigroup, e altri operatori finanziari del genere. Questi ultimi hanno poi venduto i collaterali ipotecari ai loro SIV (Special Investment Vehicle) formalmente indipendenti. L’aspetto interessante dei SIV è che loro, e le loro potenziali perdite, non erano, almeno teoricamente, riportabili alla banca sottoscrittrice. Se le cose dovessero andar male, Dio non voglia, con gli ABS in mano ai SIV, solo questi ultimi ne risentirebbero, non Citigroup o Merrill Lynch.
Il dubbio flusso di guadagni ottenuti grazie alle ipoteche subprime e ad altri finanziamenti di bassa qualità, una volta aggregati in CMO (Collateralized Mortgage Obligations) o altri valori di questo tipo, ricevevano poi il supporto di una assicurazione monoline, una specie di Viagra finanziario per ipoteche spazzatura come NINA (No Income, No Assets) o “prestiti bugiardi”, roba corrente fino a luglio 2007, all’epoca dell’economia immobiliare di Greenspan.
Secondo Mortgage Brokers’ Association for Responsible Lending, un gruppo di difesa dei consumatori, nel 2006 i “prestiti bugiardi” costituivano il 26% di tutte le nuove ipoteche statunitensi. In un audit indipendente per campionatura delle ipoteche rilasciate in Virginia nel 2006 sulla base del reddito dichiarato, gli analisti hanno scoperto, controllando le dichiarazioni dei redditi dei beneficiari, che circa il 60% dei redditi dichiarati ai fini di un finanziamento erano stati aumentati di oltre il 50%. I tassi d’insolvibilità di questi “prestiti bugiardi” che si stanno adesso registrando in tutto il mercato immobiliare statunitense, rendono qualsiasi altro problema trascurabile. [14]
Non sarebbe successo niente di simile senza la cartolarizzazione, l’incondizionato sostegno della FED di Greenspan, l’abolizione del Glass-Steagall Act, le assicurazioni monoline, la complicità delle maggiori agenzie di rating, la vendita del rischio da parte delle banche che emettevano ipoteche a sottoscrittori che li aggregavano, valutavano e garantivano come valori AAA.
In effetti, la rivoluzione della Nuova finanza di Greenspan ha letteralmente spianato la strada alle frodi a tutti i livelli, dagl’intermediari di ipoteche immobiliari alle agenzie di finanziamento, dalle banche di cartolarizzazione di New York e Londra alle società di rating del credito. Lasciare il controllo dei nuovi titoli cartolarizzati, un valore di centinaia di miliardi di dollari, all’autoregolamentazione delle banche emittenti (come Bear Stearns, Merrill Lynch o Citigroup) e delle loro agenzie di rating, è stato come gettare olio sul fuoco. Nella Parte V analizzeremo le conseguenze del grande progetto della Nuova finanza.
F. William Engdahl
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8032
8.032.08
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura DI CARLO PAPPALARDO
NOTE:
[1] Greenspan, Alan, Consumer Finance, Remarks at the Federal Reserve System’s Fourth Annual Community Affairs Research Conference , Washington, D.C., 8 aprile 2005.
[2] Greenspan, Greenspan Defends Low Interest Rate s Intervista in 60 Minutes della CBS , 16 settembre 2007.
[3] Greenspan, The Markets, Excerpts From Greenspan Speech on Global Turmoil, ristampato in The New York Times, 6 novembre 1998.
[4] Greenspan, Alan, Remarks by Chairman Alan Greenspan:The structure of the international financial system, nell’incontro annuale della Securities Industry Association, Boca Raton, Florida, 5 novembre 1998.
[5] Greenspan, Alan, Measuring Financial Risk in the Twenty-first Century, Remarks Before a conference sponsored by the Office of the Comptroller of the Currency , Washington, D.C., October 14, 1999. Greenspan afferma “…fino ad oggi gli economisti non hanno saputo anticipare i grandi cambi di fiducia. La perdita di fiducia viene generalmente descritta come una bolla che esplode, un evento che diventa evidente solo in retrospettiva. Anticipare l’esplosione di una bolla significa prevedere il crollo dei prezzi dei valori precedentemente fissati grazie al giudizio di milioni d’investitori, molti dei quali conoscono perfettamente le prospettive degli specifici investimenti che definiscono gl’indici dei prezzi delle azioni e degli altri titoli” [6] Federal Deposit Insurance Corporation, History of the 80s, Volume I: An Examination of the Banking Crises of the 1980s and Early 1990s, in www.fdic.gov/bank/historical/history/vol1.html ,
[7] Greenspan, Alan, Mortgage markets and economic activity, Remarks before a conference on Mortgage Markets and Economic Activity , sponsorizzato dall’America’s Community Bankers, Washington, D.C., 2 novembre 1999.
[8] Greenspan, Alan, Remarks to Mortgage Bankers’ Association, Washington, D.C., 8 marzo 1999.
[9] Reich, Robert, Why Credit-rating Agencies Blew It: Mystery Solved, October 23, 2007, Robert Reich’s Blog .
[10] Von Schweinitz, Oliver, Rating Agencies Their Business, Regulation and Liability, Unlimited Publishing LLC, Bloomington, Ind., 2007, pp. 35-36.
[11] Ibid. pp. 67-97.
[12] Association of Financial Guaranty Insurers, Our Claims-Paying Ability, in www.afgi.org/who-fact.htm .
[13] McNichols, James P., Monoline Insurance & Financial Guaranty Reserving, in
www.casact.org/pubs/forum/03fforum/03ff231.pdf .
[14] Dorfman, Dan, Liars’ Loans Could Make Many Moan, The New York Sun, 20 dicembre 2006.
VEDI ANCHE:
ATTACCO SPECULATIVO. LA CRISI DEL SISTEMA FINANZIARIO MONDIALE (PARTE V)
IL GRANDE PROGETTO DI GREENSPAN (PARTE III)