LO TSUNAMI FINANZIARIO, PARTE III: IL GRANDE PROGETTO DI GREENSPAN

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blankDI F.WILLIAM ENGDAHL
Global Research

Il programma a lungo termine di Greenspan

Sette anni di “terapia d’urto” monetaria di Volcker hanno alimentato una crisi dei pagamenti in tutto il Terzo mondo. Miliardi di dollari di debiti riciclati in petrodollari, prestati dalle maggiori banche di New York e Londra per finanziare le importazioni di petrolio dopo l’impennata dei prezzi degli anni ’70, sono improvvisamente diventati inesigibili.

Lo scenario è così pronto per la successiva fase del programma di liberalizzazione finanziaria di Rockefeller, che dovrebbe rivoluzionare la natura stessa della valuta: la rivoluzione della “nuova finanza” di Greenspan.

Molti analisti dell’era di Greenspan guardano l’aspetto sbagliato del suo ruolo e lo giudicano in primo luogo un servitore pubblico, che ha commesso, è vero, degli errori ma che in ultima analisi ha sempre salvato l’economia e le banche del paese con straordinarie operazioni di gestione della crisi finanziaria, tali da meritargli il soprannome di Maestro [1].
Il Maestro serve il Trust monetario

Come tutti i direttori del consiglio di amministrazione della FED, Alan Greenspan è stato accuratamente scelto per essere un leale servitore dei suoi attuali proprietari, una rete di banche d’investimento che creò la Federal Reserve e la fece approvare, il giorno prima delle vacanze di Natale del 1913, da un Congresso praticamente vuoto. Nella sentenza Lewis v. United States la corte d’appello statunitense del 9° circuito [NdT: il sistema statunitense dispone di 13 “circuiti di corte d’appello”. Il nono è il più importante: ha sede a S. Francisco, si riunisce a Seattle, Portland, San Francisco e Pasadena, ed è competente per Alaska, Arizona, California, Hawaii, Idaho, Montana, Nevada, Oregon e Washington] ha dichiarato che “le Banche federali di riserva [NdT: la FED comprende tra l’altro 12 Federal Reserve Banks regionali con sede in differenti città del paese] non sono strumenti federali… ma strutture indipendenti, private e controllate a livello locale”. [2]

L’intera gestione di Greenspan come direttore della FED è stata dedicata a favorire la volontà di dominio del mondo finanziario americano in una nazione la cui base economica generale era già stata in buona parte distrutta dopo il 1971.

Greenspan sapeva chi doveva ringraziare e ha servito lealmente quello che nel 1913 il congresso statunitense definì il “Trust monetario”: una banda di grossi finanzieri che abusano del loro potere pubblico per controllare una parte del mondo industriale.

Particolare interessante, molti dei protagonisti finanziari che nel 1913 avevano partecipato alla creazione della FED sono oggi al centro delle operazioni di conversione dei debiti in titoli negoziabili. Tra questi Citibank e J.P. Morgan, che insieme hanno la maggioranza azionaria della New York Federal Reserve Bank, la chiave di volta del sistema.

Un altro azionista poco noto della New York Fed è la DTC (Depository Trust Company), il più grande sistema di deposito accentrato al mondo [NdT: Un Central Securities Depository è una struttura che custodisce i titoli, in forma materiale o immateriale, cioè solo su supporto elettronico, e che di solito elabora le transazioni]. Basata a New York, la DTC custodisce oltre 2,5 milioni di titoli di proprietà e titoli di credito societari o municipali, USA e non USA, di oltre 100 paesi, per un valore complessivo superiore ai 36 trilioni di dollari. Ogni anno l’azienda e le sue affiliate gestiscono transazioni di titoli per un valore superiore a 1,5 quadrilioni di dollari. Niente male per una struttura di cui la maggior parte di noi non ha mai sentito parlare. Negli USA, la Depository Trust Company ha il monopolio di quest’attività: ha semplicemente comprato tutti i concorrenti. Ecco in parte spiegato come mai New York è stata in grado di dominare i mercati finanziari di tutto il mondo anche dopo che l’economia statunitense si era quasi interamente trasformata in economia da area “postindustriale” abbandonata.

I puristi del libero mercato e i dogmatici adepti di Ayn Rand, il recente amico di Greenspan, accusano il responsabile della FED d’interventismo predatorio, ma in realtà esiste un filo conduttore comune che attraversa tutte le maggiori crisi finanziarie dei suoi 18 anni di gestione della FED: l’uso delle successive crisi, nei suoi diciotto anni come dirigente della più importante istituzione finanziaria al mondo, per ampliare e consolidare l’influenza della finanza statunitense sull’economia mondiale, quasi sempre con gravi danni per quest’ultima e per il benessere generale della popolazione.

In ciascun caso – che si trattasse del crollo della borsa nel 1987, della crisi asiatica del 1997, dell’insolvibilità dello stato russo nel 1998 e del conseguente collasso dell’LTCM [NdT: Long-Term Capital Management: un fondo d’investimento in strumenti finanziari liquidi creato nel 1994 da Meriwether, ex vicedirettore della Salomon Brothers. Nei primi anni permise guadagni di oltre il 40% annuo, ma nel 1998 perse 4,6 miliardi di dollari in meno di quattro mesi. Dal 2000 è citato come esempio dei rischi insiti in questo tipo di fondi d’investimento], del rifiuto di apportare modifiche tecniche ai margini di copertura controllati dalla FED per raffreddare la bolla speculativa delle dot.com [NdT: aziende di servizi che svolgono affari tramite un sito internet], o del sostegno ai crediti a tasso variabile (quando sapeva benissimo che erano al minimo) – Greenspan ha sfruttato le successive crisi, molte delle quali erano state provocate soprattutto dalle sue largamente ascoltate opinioni e dalla politica dei tassi, per portare avanti un piano di globalizzazione e liberalizzazione delle norme di mercato che non ostacolasse le operazioni delle più importanti istituzioni finanziarie.

Il gioco delle crisi a ripetizione

Ecco il senso recondito della crisi che oggi imperversa sui mercati di capitale negli USA e nel mondo. I 18 anni di gestione di Greenspan possono essere descritti come un susseguirsi di crisi, sempre più gravi, dei mercati finanziari per consentire di arrivare all’obiettivo finale del Trust monetario che ha messo a punto l’agenda del responsabile della FED. Resta a questo punto da chiarire se la rivoluzione delle operazioni di conversione dei debiti in titoli negoziabili non sia stato un “passo troppo lungo” che porterà per molti decenni alla fine del dominio mondiale del dollaro e delle istituzioni finanziarie legate a questa valuta.

La decisa opposizione di Greenspan a ogni tentativo del Congresso d’imporre un minimo di norme sul commercio di derivati non regolamentati [NdT: chiamati OTC: sono transazioni eseguite al di fuori dei mercati ufficiali, o attraverso schemi differenti da quelli ufficiali] tra banche o sui margini di copertura per l’acquisto di azioni allo scoperto, il ripetuto appoggio alla cartolarizzazione di prestiti ipotecari subprime [NdT: mutui concessi da aziende specializzate a soggetti che non offrono le garanzie di solvibilità richieste dalle banche] di bassa qualità e alto rischio, l’incessante e pluridecennale opera per indebolire, e infine abolire, le restrizioni Glass-Steagall sulle banche che possedevano banche d’investimento e società assicurative [NdT: Il Glass-Steagall Act, approvato per risolvere i problemi nati con la crisi del 1929, fissava norme per controllare le speculazioni bancarie: alcune norme sono state abolite nel 1980, altre nel 1999], il sostegno al drastico taglio delle tasse che ha fatto esplodere il deficit federale dopo il 2001, la decisa presa di posizione a favore della privatizzazione del Social Security Trust Fund [NdT: Fondo fiduciario della sicurezza sociale], in modo da poter incanalare un flusso di cassa di vari trilioni di dollari verso i suoi amici della finanza di Wall Street: tutti esempi di perfetta esecuzione di quella che oggi alcuni definiscono la rivoluzione della cartolarizzazione, la creazione del mondo della Nuova finanza, in cui i rischi saranno sottratti alle banche e sparsi dappertutto, al punto da non permettere più a nessuno di capire dove si trovino realmente.

Quando nel 1987 tornò a Washington, Alan Greenspan, l’uomo prescelto dal mondo finanziario e dalle più importanti banche per mettere in atto la Grande strategia, era un consulente di Wall Street che annoverava tra i suoi clienti anche l’influente J.P. Morgan Bank. Prima di entrare in carica come capo della FED, Greenspan era stato anche nei consigli di amministrazione di alcune delle più importanti corporazioni statunitensi, incluse la Mobil Oil Corporation, la Morgan Guaranty Trust Company e la JP Morgan & Co. Inc. Il suo primo test sarebbe stato, nell’ottobre 1987, la manipolazione dei mercati azionari grazie agli allora innovativi mercati derivati.

Il paradigma di Greenspan del 1987

Nell’ottobre 1987 Greenspan operò il salvataggio del mercato azionario dopo il crollo del 20 ottobre, iniettando grandi masse di liquidità per sostenere le quotazioni e impegnandosi segretamente in manipolazioni del mercato con acquisti di strumenti derivati sull’indice azionario di Chicago, garantiti dalla disponibilità di fondi della FED. Dopo gli avvenimenti dell’ottobre 1987, la FED ha effettuato frequenti operazioni a favore dei più importanti operatori sul mercato, che erano, per usare il suo gergo, TBTF (troppo grandi per fallire). E non aveva nessuna importanza che la banca avesse rischiato decine di miliardi speculando in baht tailandesi o sui margini azionari dei dot.com. Greenspan aveva messo ben in chiaro che se c’erano problemi di liquidità lui era lì per sostenere i suoi amici banchieri.

Il crollo dell’ottobre 1987, che vide la più ampia perdita di punti (ben 508) del Dow Jones Industrial Average [NdT: uno dei vari indici del mercato azionario, che si basa attualmente su 30 tra le maggiori società per azioni statunitensi, in massima parte non industriali nonostante il suo nome] mai avvenuta in un solo giorno, fu aggravato dai nuovi modelli di transazione informatica, basati sulla cosiddetta Black-Sholes Option Pricing theory [NdT: modello matematico del mercato che calcola il prezzo dei titoli con un processo stocastico], derivati di quote azionarie valutati e trattati proprio come fatto in precedenza con i contratti a termine.

Il crollo del 1987 mise in evidenza il fatto che sui mercati mancava una vera liquidità, proprio quando era necessaria. Tutti i gestori di fondi tentarono di fare la stessa cosa e nello stesso momento: vendere allo scoperto i contratti a termine su indice di borsa, nel futile tentativo di coprire le posizioni azionarie.

Secondo Stephen Zarlenga, un trader che lavorava sulla piazza di New York nei giorni di crisi del 1987, “Praticarono enormi sconti sul mercato dei contratto a termine… Gli arbitraggisti che avevano comprato i contratti a termine da loro a prezzi estremamente ridotti rivendettero poi i titoli garantiti, deprimendo i mercati a pronto, alimentando il processo e azzerando in effetti il mercato”.

Continua Zarlenga “Alcune delle più importanti società di Wall Street scoprirono che non erano in grado d’impedire ai sistemi informatici preprogrammati d’impegnarsi automaticamente nelle operazioni con strumenti derivati. Secondo rapporti riservati, furono obbligate a scollegare o tagliare i collegamenti ai computer, o comunque a trovare altri mezzi per impedirne l’alimentazione (si racconta che siano state usate le asce da pompiere dei punti antincendio), dato che era impossibile spegnerli e continuavano a mandare ordini direttamente alle borse.

“Lunedì e martedì, il New York Stock Exchange prese seriamente in considerazione l’ipotesi di chiudere completamente le trattazioni per qualche giorno o settimana e non ne fece mistero… Fu a questo punto che Greenspan rilasciò un insolito annuncio, comunicando in termini molto netti che la FED avrebbe concesso ai broker tutto il credito necessario. Era un momento critico, dato che la nomina a metà 1987 di Greenspan come direttore della FED era stata una delle ragioni principali delle massicce svendite del mercato”.[3]

Il punto veramente significativo nel crollo repentino dell’ottobre 1987 non fu l’ampiezza della caduta ma il fatto che il 20 ottobre la FED, senza renderlo pubblico, sia intervenuta, attraverso gli amici di Greenspan nella banca newyorkese J.P. Morgan e altre, per pilotare il recupero azionario sfruttando un nuovo strumento finanziario, i prodotti derivati.

La causa apparente del recupero del mercato nell’ottobre 1987 si ebbe quando le principali azioni del MMI future (Major Market Index) del NYSE, con base a Cicago, cominciarono ad essere trattate a premio, in un momento in cui le operazioni sulle altre azioni Dow venivano sospese l’una dopo l’altra.

La tendenza cominciò a invertirsi. Gli arbitraggisti comprarono i titoli garantiti, riaprendone la contrattazione, e vendettero i contratti a termine sopra la pari. Si constatò più tardi che erano bastati 800 contratti sui contratti a termine MMI per creare il premio e avviare il recupero. Greenspan e i suoi amici di New York avevano messo a punto un recupero artificiale usando gli stessi modelli di operazione sui prodotti derivati ma al contrario. Era l’alba della nuova era dei derivati finanziari.

Storicamente, almeno così la pensavano i più, il ruolo della FED, che tra l’altro controllava la valuta, era quello di agire come supervisore indipendente delle banche più importanti per garantire la stabilità del sistema bancario e prevenire il ripetersi del panico degli anni ’30, soprattutto agendo come “estrema risorsa di finanziamento”.

Con l’avvento di Greenspan, dall’ottobre 1987 in poi la FED è invece diventata sempre di più la “principale risorsa di finanziamento”: ha considerato che il suo compito di aiutare le istituzioni finanziarie in difficoltà non doveva limitarsi solo ad aiutare le banche (come previsto dal mandato di supervisore del sistema bancario) ma anche di sostenere artificialmente i mercati azionari, come nel 1987, o il bailout [NdT: nel sistema statunitense, l’uso di fondi societari per pagare gli azionisti, con un’imposta sugli utili di capitale estremamente favorevole, senza intaccare l’interesse] dei fondi comuni d’investimento speculativo, come nel caso della crisi di liquidità dell’hedge fund [NdT: un fondo d’investimento che opera in modo rischioso con i capitali d’investitori privati] LTCM nel settembre del 1998.

L’ultimo lascito di Greenspan sarà quello di affidare alla FED, e quindi ai contribuenti statunitensi, la funzione di ultima risorsa di finanziamento per salvare le banche e le istituzioni finanziarie più importanti, l’attuale Trust monetario, dopo la dissoluzione della bolla da vari trilioni di dollari della cartolarizzazione ipotecaria.

All’epoca dell’abolizione della legge Glass-Steagall nel 1999, un evento di portata storica relegato nelle ultime pagine finanziarie, la FED di Greenspan aveva già messo bene in chiaro che era pronta a venire in aiuto di ogni nuova avventura del mondo finanziario statunitense, per quanto arrischiata e dubbia potesse essere. Tutto era pronto per la rivoluzione della cartolarizzazione.

Non era una pura coincidenza. La politica lassista della FED nella supervisione e nel controllo bancario dopo il 1987 era cruciale per poter attuare il piano per una più ampia liberalizzazione e cartolarizzazione finanziaria che Greenspan aveva già delineato nel suo primo intervento al Congresso nell’ottobre 1987.

Il 18 novembre 1987, solo tre settimane dopo il crollo azionario di ottobre, Alan Greenspan affermava dinanzi al comitato bancario della Camera dei rappresentanti USA che “… l’abolizione della legge Glass-Steagall rappresenterà un importante beneficio pubblico, coerente con un aumento gestibile del rischio”. [4]

Greenspan continuerà a ripetere questa stessa litania fino all’abolizione completa della legge, nel 1999.

Il sostegno della FED di Greenspan a un trattamento non controllato degli strumenti derivati finanziari dopo il crollo del 1987 è stato uno dei motivi dell’esplosione globale del volume nominale di operazioni. Il mercato globale degli strumenti derivati è aumentato del 23,102% dopo il 1987, raggiungendo lo strabiliante totale di 370 trilioni di dollari a fine 2006. I volumi nominali erano inspiegabili.

Eliminare le restrizioni della legge Glass-Steagall

Uno dei primi obiettivi di Greenspan come direttore della FED era eliminare il Glass-Steagall Act, qualcosa per cui i suoi vecchi amici della J.P.Morgan e della Citibank si stavano attivamente battendo. [5]

Il Glass-Steagall Act, ufficialmente il Banking Act del 1933, aveva separato le banche commerciali dalle banche d’investimento di Wall Street e le assicurazioni, allo scopo, in origine, di controllare tre grossi problemi che negli anni ’30 avevano ingigantito l’ondata di fallimenti bancari e la depressione.

Le banche investivano i propri attivi in titoli, con il conseguente pericolo per i depositi commerciali e di risparmio in caso di crollo delle azioni, e concedevano finanziamenti rischiosi per fare artificiosamente salire il valore di titoli selezionati o la posizione finanziaria di società nelle quali avevano investito i propri attivi. La partecipazione finanziaria nella proprietà, quotazione, e distribuzione di titoli spingeva inevitabilmente i responsabili delle banche a consigliare ai propri clienti d’investire in titoli che le stesse banche avevano interesse a vendere. Si trattava di un abnorme conflitto d’interessi e un invito alla frode e agli abusi.

Le banche che offrivano servizi d’investimento bancario e fondi comuni aperti [NdT: fondi comuni d’investimento che emettono nuove quote in via continuativa, che possono essere riscattate a richiesta] erano esposte a conflitti d’interesse e ad altri abusi che potevano danneggiare i clienti (inclusi risparmiatori, correntisti e banche corrispondenti). Attualmente, senza più le restrizioni del Glass-Steagall Act, le banche che propongono obbligazioni ipotecarie garantite e prodotti di questo tipo attraverso strumenti specifici da loro posseduti, e appositamente creati per lasciare il rischio “fuori dai libri contabili”, si rendono complici di quello che passerà probabilmente alla storia come il più colossale bidone di tutti i tempi: la frode della cartolarizzazione dei subprime.

Nella sua storia della grande crisi del ’29, l’economista John Kenneth Galbraith afferma: “il Congresso era preoccupato che le banche commerciali in genere e le banche della FED in particolare avessero aggravato e fossero al tempo stesso vittime del declino del mercato azionario, in parte a causa del loro coinvolgimento, diretto o indiretto, nello scambio e nel possesso di titoli speculativi”.

“La storia legislativa del Glass-Steagall Act”, continua Galbraith, “mostra che il Congresso si preoccupava, e si era più volte occupato, dei pericoli più subdoli che nascono quando una banca commerciale comincia ad agire come fiduciario o gestore e svolge attività di banca d’investimenti, sia direttamente sia creando una filiale che detiene e vende investimenti particolari”. Galbraith nota che “nel 1929 una sola società d’investimenti (Goldman, Sachs & Company) aveva gestito e venduto titoli per quasi in miliardo di dollari attraverso tre fondi d’investimento chiusi [NdT: fondi comuni d’investimento a capitale fisso, raccolto al momento della creazione, le cui azioni non possono essere riscattate a richiesta ma vengono trattate solo in borsa]: Goldman Sachs Trading Corporation, Shenandoah Corporation, e Blue Ridge Corporation. Il valore di tutte e tre scese praticamente a zero”.

Operazione smantellamento

Le maggiori banche del centro finanziario di New York avevano da tempo in mente di far eliminare le restrizioni imposte nel 1933 dal Congresso. E Alan Greenspan, nella sua veste di direttore della FED, era l’uomo adatto. Con in prima linea la Chase Manhattan Bank di Rockefeller e la Citicorp di Sanford Weill, avevano speso centinaia di milioni di dollari in azioni di lobby e in contributi alle campagne d’influenti congressisti per arrivare ad abolire le restrizioni dell’epoca della depressione sulle banche e la sottoscrizione di azioni.

L’abrogazione aprì dal 2001 la porta alla rivoluzione della cartolarizzazione.

Il 6 ottobre 1987, nemmeno due mesi dopo la sua nomina e solo pochi giorni prima del più grande crollo del New York Stock Exchange mai avvenuto in un solo giorno, Greenspan dichiarò al Congresso che le banche statunitensi, punite dalle nuove tecnologie e “bloccate” in una struttura normativa creata oltre 50 anni prima, stavano perdendo la battaglia della competitività con le altre istituzioni finanziarie e avevano bisogno di nuovi poteri per poter ristabilire l’equilibrio: “I principali prodotti forniti dalle banche, la valutazione del credito e la diversificazione del rischio, sono meno competitivi oggi di quanto non lo fossero 10 anni or sono”.

All’epoca, il New York Times sottolineò che “Greenspan è da tempo molto più favorevole alla liberalizzazione del sistema bancario di quanto non lo fosse il suo predecessore alla guida della FED, Paul A. Volcker”. [6]

Quel 6 ottobre 1987, la dichiarazione di Greenspan dinanzi al Congresso, la prima come responsabile della FED, fu un segnale importante per capire la continuità della politica che si accingeva a mettere in opera con l’obiettivo di arrivare alla rivoluzione della cartolarizzazione di questi ultimi anni, la rivoluzione della cartolarizzazione della Nuova Finanza. Per citare ancora una volta l’articolo del New York Times “Nel denunciare la perdita di capacità competitiva delle banche, Greenspan ha puntato il dito contro quella che ha definito una struttura normativa ‘troppo rigida’, colpevole di limitare la disponibilità di un servizio efficiente per i consumatori e di bloccare la concorrenza. Ma ha poi indicato un altro sviluppo di ‘particolare importanza’: il modo in cui i progressi nelle tecnologie di trattamento dati e di telecomunicazione hanno permesso ad altri gruppi di usurpare il ruolo tradizionale delle banche e degl’intermediari finanziari. In altre parole, viene messo a repentaglio il maggior contributo economico della banca, che rischia i propri soldi in prestiti basati sulle sue migliori informazioni per quel che riguarda la solidità di chi richiede un finanziamento”.

Il Times citava Greenspan a proposito della sfida posta dai cambiamenti tecnologici a un sistema bancario moderno: “Enormi database online, incredibili capacità di calcolo e possibilità di telecomunicazione consentono di ottenere quasi istantaneamente informazioni sul credito e sul mercato che consentono al finanziatore di condurre un’analisi personale della validità del credito e di sviluppare e mettere in opera complesse strategie commerciali per proteggersi dal rischio, ha dichiarato Greenspan. E questo, ha aggiunto, ha provocato un danno permanente alla ‘competitività delle istituzioni di deposito [NdT: tutte le istituzioni autorizzate ad accettare depositi dal pubblico e a usarlo per operazioni di credito] ed espanderà il vantaggio concorrenziale del mercato nei titoli cartolarizzati’ come i portafogli commerciali [NdT: l’insieme dei titoli che hanno alla base un credito effettivo, ma negli ultimi tempi anche titoli di credito emessi da banche o aziende e venduti ad altre aziende o privati per finanziarsi], i titoli ipotecari di passaggio [NdT: titoli di investitori privati che sono quote di titoli in pool. L’investitore riceve mensilmente interessi e parte del capitale, man mano che il prestito viene rimborsato] o addirittura prestiti auto”.

Greenspan concludeva “La nostra esperienza ci suggerisce che il sistema più efficace per separare una banca dalle attività finanziarie o commerciali affiliate consiste in una struttura di società di partecipazione”. [7] Ora, nel caso di una holding bancaria, il Federal Deposit Insurance fund, un pacchetto di contributi che garantisce i depositi bancari fino a un massimo di 100.000 dollari a conto, interviene solo nelle attività della banca principale e non in quelle delle varie società sussidiarie create per trattare esotici hedge fund o altri meccanismi fuori contabilità. In una crisi come l’inestricabile pasticcio delle cartolarizzazioni, l’assicuratore del rischio bancario, e l’estrema risorsa di finanziamento, risulta in ultima analisi essere il contribuente statunitense.

La battaglia al Congresso fu dura, e andò avanti fino a quando la legge non venne completamente abrogata nel 1999, all’epoca di Clinton, che nel novembre di quell’anno regalò a Sanford Weill, il potente boss della Citicorp, la penna usata per firmare l’atto di abrogazione del Gramm-Leach-Bliley Act. Il meno che si possa dire è che per un presidente democratico si trattò di un gesto quanto meno curioso.

Alan Greenspan fu l’uomo che svolse un ruolo fondamentale nel far avanzare nel Congresso il progetto di abrogazione della legge Glass-Steagall. Nella sua deposizione dell’11 febbraio 1999 dinanzi all’House Committee on Banking and Financial Services, dichiarò “Noi siamo favorevoli, già da molti anni, a profonde modifiche, come quelle previste dall’H.R. 10, al Glass-Steagall Act e al Bank Holding Company Act, in modo da eliminare le barriere legislative che impediscono l’integrazione delle attività bancarie, assicurative e finanziarie. Esiste un’unanimità pressoché completa tra tutti gli attori interessati, pubblici o privati che siano, sulla necessità di rimuovere tali barriere. Sulla spinta tecnologica, sono proliferati nuovi prodotti che permettono la disaggregazione del rischio e combinano le caratteristiche dei prodotti bancari, assicurativi e finanziari in strumenti finanziari singoli“.

Nella stessa occasione, Greenspan mise bene in chiaro che abrogare significa ridurre, non aumentare, i controlli sui nuovi conglomerati appena autorizzati, aprendo la strada all’attuale fallimento: “Mentre andiamo verso il XXI secolo, i resti della filosofia di controllo delle banche del XIX secolo spariranno. Sarà ancora necessario, ovviamente, sorvegliare e normare le banche, in buona parte perché sono soggette alla rete di sicurezza. Io penso però che natura e portata degli sforzi in tal senso debbano essere più coerenti con le realtà di mercato. Inoltre, l’affiliazione con le banche non deve – e in realtà non può – portare alla definizione di norme di tipo bancario per la affiliate delle banche” (il corsivo è mio – f.w.e.). [8]

Il Congresso aveva approvato il Glass-Steagall Act proprio per smantellare le società bancarie di partecipazione, con i loro insiti conflitti d’interessi, che avevano fatto perdere il lavoro e la casa a decine di milioni di cittadini americani nella depressione degli anni ’30.

‘…strategie inimmaginabili solo una decina di anni orsono…’

In un articolo sulla Goldman Sachs del giugno 2007, solo poche settimane prima che scoppiasse la crisi dei subprime, il New York Times aveva descritto il nuovo mondo finanziario nato dall’abrogazione del Glass-Steagall Act: “Mentre Wall Street continua a far soldi assistendo le aziende nelle fusioni e offrendole al pubblico, i veri soldi vengono fatti trattando e investendo capitali con una serie globale di prodotti e strategie inimmaginabili solo una decina di anni orsono“. Si riferiva alla rivoluzione della cartolarizzazione.

Il Times citava Lloyd Blankfein, dirigente della Goldman Sachs, sull’universo della nuova cartolarizzazione finanziaria, degli hedge fund e dei derivati: “Abbiamo chiuso il cerchio: è esattamente quello che stavano facendo ai loro giorni Rothschilds o J. P. Morgan. Fu il Glass-Steagall Act a rappresentare un’aberrazione”. [9]

Come la maggior parte dei banchieri e finanzieri di Wall Street, Blankfein considerava il New Deal un’aberrazione, e chiedeva apertamente di tornare ai giorni di J. P. Morgan e degli altri pescecani dell’era dorata di abusi degli anni ’20. Il Glass-Steagall Act, l’aberrazione di Blankfein, venne infine definitivamente abrogato grazie a Bill Clinton. Goldman Sachs fu uno dei principali finanziatori della campagna di Clinton, al quale arrivò a mandare il suo dirigente Robert Rubin, prima, nel 1993, come “zar economico” e poi, nel 1995, come Segretario al Tesoro. E anche oggi, sotto il repubblicano Bush, la carica di Segretario al Tesoro è ricoperta da un altro ex dirigente della Goldman Sachs, Henry Paulson. Il potere dei soldi non conosce partiti politici.

*********

Nell’ottobre 2007 Robert Kuttner, cofondatore dell’Economic Policy Institute, ha testimoniato dinanzi al Committee on Banking and Financial Services del congressista Barney Frank, ricordando lo spettro della Grande depressione:

Dopo l’abrogazione del Glass Steagall Act nel 1999, e dopo oltre un decennio d’incursioni de facto, le grandi banche sono state capaci di dare nuovamente vita agli stessi conflitti strutturali d’interesse che erano endemici negli anni ’20: finanziamenti agli speculatori, impacchettare e cartolarizzare crediti per poi rivenderli all’ingrosso o al dettaglio, caricando costi a ogni successivo passaggio. E per gli analisti bancari molti di questi titoli sono ancora più difficili da interpretare dei rispettivi equivalenti degli anni ’20. In molti casi il titolo non esiste fisicamente, e l’intero processo è gestito da computer con formule automatiche“. [10]

Nelle settimane in cui si cominciava appena a parlare della crisi dei subprime, Thomas Kostigen, commentatore del Dow Jones Market Watch, aveva scritto un articolo sottolineando il ruolo dell’abrogazione del Glass-Steagall Act nell’aprire le porte alla valanga di frodi, manipolazioni e eccessi di leverage dei crediti nell’espansione mondiale della cartolarizzazione:

C’è stato un tempo in cui banche e intermediari erano entità separate, cui era vietato unirsi per timore di conflitti d’interesse, miscugli finanziari, monopolio dei mercati, o tutti questi fattori.

Nel 1999, la legge che vietava l’unione di banche e intermediari, il Glass-Steagall Act del 1933, venne abrogata, ed ecco che i supermercati finanziari sono cresciuti fino a divenire quelle entità che conosciamo coi nomi di Citigroup, UBS, Deutsche Bank, e altri. Ma ora che le banche sono andate a impantanarsi nei loro crediti ipotecari di cattiva qualità, è interessante domandarsi se, con la legge Glass-Steagall ancora in vigore, le conseguenze sarebbero state così distruttive per i restanti mercati finanziari.

La diversità è sempre stata la strada per abbassare il rischio. E il Glass-Steagall Act aveva creato la diversità separando i poteri finanziari: banche e intermediari. La legge era stata approvata dal Congresso per vietare alle banche di possedere società d’intermediazione a servizio completo, e viceversa, in modo che le attività d’investimento bancario, ad esempio sottoscrivere obbligazioni societarie o municipali, non potessero essere chiamate in causa, e per salvaguardare i correntisti dai rischi di un collasso del mercato azionario come quello che dette vita alla Grande depressione.

Ma quando le banche cominciarono a invadere sempre di più il settore titoli, offrendo sconti sulle transazioni, l’industria dei titoli cominciò a dar fuori da matto. Cosicché nel 1999 il divieto fu abolito e i giganti finanziari scesero sul terreno: Citigroup aprì la strada e altri seguirono, fagocitando Smith Barney, Salomon Brothers, PaineWebber e un sacco di altre aziende d’intermediazione ben conosciute.

Si ritiene che nelle società d’intermediazione esistano muraglie cinesi che separano le attività bancarie dalle attività di ricerca e trattazione, e la separazione dovrebbe impedire agli operatori di esercitare pressioni sui colleghi analisti per offrire migliori risultati ai clienti, tutto per aumentare i reciproci profitti.

Ebbene, abbiamo potuto vedere quanto poco abbia tenuto questa compartimentazione dei giorni caldi dell’era dot.com, quando sono state fatte stime inverosimilmente elevate di aziende che come per caso erano state sottoscritte dalle stesse società che ne stavano trattavano i titoli.

Nessuno ha seriamente messo in dubbio la nuova mania di cartolarizzare i crediti ipotecari in tipi diversi di strumenti finanziari e rivenderli attraverso settori differenti della stessa istituzione. Lo stanno facendo adesso…

Quando le banche vengono esaminate e studiate con la dovuta attenzione da analisti di banca indipendenti, nascono molte più domande di quando l’esame è condotto da gente che al bar si ritrova attorno agli stessi tavolini. Inoltre, spese e trattative dipenderanno dalla forza vendita; la gente attaccherà i prezzi e porrà molte più domande per aumentare i propri profitti, invece di lavorare mano nella mano per aumentare l’assieme di bonus da compartire.

Il Glass-Steagall Act avrebbe quantomeno permesso quello che la prima parte del nome sottintende: la trasparenza. E il risultato si ottiene più agevolmente se chi sta all’esterno guarda dentro. Se tutti stanno dentro e guardano fuori non possono che avere lo stesso punto di vista. E questo non è una buona cosa, perché in tal caso non si può vedere quel che sta per succedere, e il tetto frana su tutti.

Il Congresso sta attualmente studiando il crollo delle ipoteche subprime. I legislatori stanno studiando come rendere più severe le norme sui finanziamenti, considerando gli acquirenti di crediti di secondo livello responsabili delle pratiche abusive, e, aspetto positivo, liberando da ogni colpa qualche proprietario. Si tratta però di cerotti, che non ripareranno quel che si è rotto: il sistema di conflitti che nasce quando venditori, assicuratori e valutatori fanno tutti parte dello stesso gruppo” (l’enfasi è mia –f.w.e.) [11]

La bolla speculativa dei dot.com di Greenspan e le sue conseguenze

Prima ancora che si fosse asciugato l’inchiostro della firma di Bill Clinton in calce all’atto di abrogazione del Glass-Steagall Act, la FED di Greenspan aveva già cominciato a lavorare a tempo pieno per avviare la crisi successiva: la creazione deliberata di una bolla azionaria speculativa degna del 1929, che la FED avrebbe poi fatto deliberatamente scoppiare.

La crisi finanziaria del 1997 in Asia e la successiva sospensione dei pagamenti del 1998 in Russia avevano creato una profonda trasformazione dei flussi globali di capitale, a tutto vantaggio del dollaro. Corea, Tailandia, Indonesia e la maggior parte dei mercati emergenti erano in fiamme dopo un coordinato attacco politico da parte di un trio di hedge fund statunitense (il Quantum Fund di Soros, il Jaguar and Tiger funds di Julian Robertson, e il Moore Capital Management) e, secondo i rapporti, dell’LTCM di John Merriweather.

L’impatto della crisi asiatica sul dollaro fu notevole e stranamente positivo. Andrew Crockett, il direttore generale della Banca dei regolamenti internazionali, l’organizzazione di Basilea cui partecipano le principali banche centrali mondiali, notò che nel 1996 le partite correnti dei paesi del sudest asiatico avevano fatto registrare un deficit di 33 miliardi di dollari USA ma che nel 1998-99, dopo la marea di valuta speculativa, “erano passate a un attivo di 87 miliardi”. Nel 2002 avevano raggiunto un impressionante totale di 200 miliardi. Il surplus ritornò in massima parte negli Stati Uniti sotto forma di acquisti del debito del Tesoro americano da parte delle banche centrali asiatiche, che finanziavano così in effetti le politiche statunitensi, spingendo i tassi d’interesse verso il basso e alimentando la nuova economia nascente, il boom NASDAQ IT dei dot.com. [12]

Nei momenti più caldi della crisi finanziaria asiatica del 1997-98, Greenspan rifiutò d’intervenire per alleviare le pressioni finanziarie fino a quando l’Asia collassò, la Russia sospese nell’agosto 1998 i pagamenti del debito pubblico, e la deflazione si propagò da regione a regione. Quando poi decise di agire per salvare l’enorme hedge fund LTCM (che era insolvente a causa della crisi russa), Greenspan procedette per la prima volta a un taglio insolitamente netto, lo 0,50%, dei tassi d’interesse della FED, seguito poi a poche settimane di distanza da un ulteriore taglio dello 0,25%. La nascente bolla dei dot.con della NASDAQ IT aveva il sapore di un “bicchierino di whiskey”.

Verso fine 1998, dopo successivi tagli della FED ai tassi d’interesse e dopo avere immesso grandi liquidità, i mercati azionari statunitensi, con NASDAQ e NYSE in prima fila, divennero asintotici. Nel solo anno 1999, quando la bolla della Nuova economia era in piena attività, si registro uno stupefacente aumento di 2,8 trilioni di dollari nel valore dei titoli azionari posseduti dai capofamiglia americani. Si trattava di oltre il 25% del PIL, tutto in valori cartacei.

Le restrizioni del Glass-Steagall Act sulle banche e le banche d’investimento che promuovevano le azioni da loro stesse immesse sul mercato – esattamente il tipo di conflitto d’interessi che aveva portato alla promulgazione della legge nel 1933 – erano oramai solo un ricordo. I promotori azionari di Wall Street stavano guadagnando decine di milioni in bonus, pubblicizzando fraudolentemente Internet e altri titoli, ad esempio WorldCom ed Enron. Eravamo di nuovo in pieno nei “ruggenti anni venti”, ma con una turbocarica computerizzata.

L’incredibile discorso del marzo 2000

Nel marzo 2000, al culmine della mania delle dot.com, Alan Greenspan tenne alla Boston College Conference un discorso sulla Nuova economia, in cui ripeteva il suo oramai classico panegirico della rivoluzione IT e del suo impatto sui mercati finanziari. Ma questa volta si spinse ancora oltre nell’esaltare la bolla azionaria IT e il conseguente “effetto ricchezza” sulle capacità di spesa delle famiglie, che a suo dire aveva permesso una robusta crescita dell’economia nazionale.

“Negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro che questo ciclo finanziario differisce radicalmente dai molti che hanno caratterizzato l’America dopo la II guerra mondiale” affermò Greenspan “Non solo l’espansione è stata incredibilmente lunga, ma ha reso la crescita economica molto più forte di quanto ci si poteva aspettare”.

E andò ancora più lontano, diventando quasi lirico:

Le mie osservazioni odierne si concentreranno su quella che è di tutta evidenza la fonte di questo spettacolare risultato: la rivoluzione della tecnologia informatica… Quando gli storici guarderanno alla prima metà degli anni ’90 arriveranno alla conclusione, ne sono convinto, che stiamo vivendo un periodo chiave della storia economica americana… Queste innovazioni, recentemente esemplificate dai sempre più numerosi usi di Internet, hanno fatto nascere una massa di società innovative, molte delle quali affermano di poter offrire l’opportunità di rivoluzionare e controllare larghe quote del sistema di produzione e distribuzione del paese. E coloro che operano sui mercati dei capitali, non a loro agio con le discontinuità della struttura economica, hanno problemi nel valutare correttamente queste aziende. L’eccezionale volatilità delle quotazioni azionarie di tali società e, secondo alcuni, la loro eccessiva sopravvalutazione, indicano la difficoltà di capire le tecnologie specifiche e i modelli commerciali che prevarranno nei prossimi decenni“.

Poi il Maestro passa al suo soggetto preferito, la capacità di frazionare il rischio con la tecnologia e Internet, un tema portante del suo pensiero sull’allora nascente fenomeno della cartolarizzazione:

L’impatto della tecnologia dell’informazione è vivamente sentito nel settore finanziario dell’economia. L’innovazione forse più significativa è stata lo sviluppo di strumenti finanziari che permettono di trasferire il rischio alle parti più disposte e capaci di gestirlo. Molti nuovi prodotti finanziari, e i più importanti sono i derivati finanziari, apportano valore economico spezzettando il rischio e trasferendolo in modo estremamente calibrato. Anche se non possono ridurre il rischio insito nei beni patrimoniali, questi strumenti possono ridistribuirlo in modo da stimolare maggiori investimenti nei beni reali e generare quindi produttività e qualità della vita migliori. La tecnologia dell’informazione ha reso possibile creare, valutare e scambiare su base globale questi complessi prodotti finanziari…

L’evidenza storica suggerisce che all’incirca tre o quattro centesimi per dollaro supplementare nel mercato azionario si riflettono realmente in maggiori acquisti dei consumatori. Il netto aumento delle spese dei consumatori in rapporto alle entrate disponibili, registrato negli ultimi anni, e la corrispondente caduta del tasso di risparmio, è il riflesso di questo cosiddetto effetto ricchezza sugli acquisti delle famiglie. I più elevati prezzi delle azioni hanno inoltre ridotto il costo del capitale proprio e favorito il boom delle spese in conto capitale

Le spese favorite dalle plusvalenze dei titoli e delle case e dagli aumenti delle entrate, per quel che possiamo giudicare, hanno aggiunto, in media sugli ultimi cinque anni, circa un punto percentuale alla crescita annua del PIL. La crescita supplementare della spesa degli ultimi anni che ha accompagnato questi plusvalori di ricchezza, così come altri fattori che hanno influenzato l’economia, sembra essere stata soddisfatta in egual misura da maggiori importazioni nette e dai beni e servizi prodotti dall’aumento netto della forza di lavoro assunta in più di quella richiesta dalla crescita normale, incluso un flusso sostanziale di lavoratori provenienti dall’estero.

Quel che risulta veramente incredibile è il momento scelto da Greenspan per inneggiare alla mania delle azioni IT. Il responsabile della FED doveva pur sapere che l’impatto dei sei successivi aumenti dei tassi d’interesse da lui voluti alla fine del 1999 avrebbe prima o poi raffreddato l’acquisto di azioni con fondi presi a prestito. [13]

La bolla dei dot.com esplose una settimana dopo il discorso di Greenspan. Il 10 marzo 2000, l’indice NASDAQ Composite crollò a 5.048, oltre il doppio del suo valore appena un anno prima, e il 13 marzo il NASDAX perse il 4%.

Dal 13 marzo 2000 il mercato aveva perso nominalmente oltre 5 trilioni di dollari, quando l’impennata dei tassi di Greenspan mise brutalmente fine alla bolla che varie volte disse di non poter accertare fino dopo gli avvenimenti. In termini di valuta, il crollo azionario del 1929 fu poca cosa in confronto al crollo delle dot.com di Greenspan. Dal mese di marzo, Greenspan aveva aumentato sei volte i tassi d’interesse, un modo di fare che ebbe un violento effetto sulle speculazioni allo scoperto delle azioni dot.com.

Margini di copertura sulle azioni: Regulamento T

Ancora una volta Greenspan aveva seguito da presso ogni passo che aveva alimentato l’irrazionale esuberanza delle azioni dot.com. Quando diventò chiaro anche ai membri più ingenui del Congresso che i prezzi delle azioni stavano andando fuori di ogni controllo e che le banche e i fondi d’investimento stavano investendo decine di miliardi di credito per comprare un maggior numero di azioni “a margine”, la FED venne invitata a usare i suoi poteri sui requisiti per l’acquisto di azioni a margine.

A febbraio del 2000 il lo scoperto a margine aveva raggiunto i 265,2 miliardi di dollari, con un aumento del 45% in soli quattro mesi. L’aumento era in massima parte dovuto ai maggiori finanziamenti attraverso intermediari online incanalati verso le azioni NASDAQ New Economy.

In base alla normativa T, la FED era la sola autorizzata a definire il margine iniziale per l’acquisto delle azioni a credito, fermo al 50% sin dal 1974.

Se il mercato azionari fosse sceso pesantemente, le chiamate sui margini avrebbero trasformato una lenta caduta in un crollo. Il Congresso riteneva che fosse successo proprio questo nel 1929, quando il margine sul debito era pari al 30% del valore del mercato azionario, ed è per questo che con il Securities Act del 1934 aveva concesso alla FED il potere di controllare il margine iniziale, che in un primo momento era stato pari al 100% (in altre parole, nessun acquisto poteva essere effettuato a credito) e si era poi stabilizzato dal 1974 al 50% (permettendo così agli investitori di prendere a prestito dai propri intermediari non più della metà del prezzo delle azioni acquistate). Nel 2000 il meccanismo del margine agì come benzina sul fuoco.

Sul tema il Congresso organizzò vari dibattiti. Un responsabile finanziario del calibro di Paul McCulley, del PIMCO, che era all’epoca il maggior fondo obbligazionario, dichiarò che “la FED dovrebbe alzare il margine, e subito. Greenspan dice ovviamente di no, perché (1) non vede nessun legame tra cambi del margine imposto e cambi del livello del mercato azionario, e (2) un aumento del margine imposto discriminerebbe i piccoli investitori, la cui unica fonte di credito sul mercato azionario è il margin account [NdT: Conto a margine: conto aperto presso un intermediario in titoli con un controvalore totale rappresentato in parte dal denaro depositato dall’investitore o margin e in parte da quello preso in prestito dall’intermediario. Risulta così un effetto moltiplicativo del rendimento dei fondi di un investitore, sia in senso positivo che negativo]”. [14]

Margini di copertura

Nonostante l’ovvia bolla azionaria speculativa del 1999-2000, non solo Greenspan rifiutò ripetutamente di modificare il margine azionario ma, alla fine degli anni ’90, il direttore della FED cominciò a parlare in termini entusiasti della Nuova economia, dichiarando che la tecnologia aveva aiutato ad aumentare la produttività, e alimentò deliberatamente l’esuberanza irrazionale del mercato.

Tra giugno 1996 e giugno 2000, il DOW salì del 93% e il NASDAQ del 125%. Il rapporto globale dei prezzi azionari sui redditi aziendali toccò picchi mai visti dai giorni che avevano preceduto il crollo del 1929.

Nel 1999, quando l’inflazione era più lenta di quella del 1996 e la produttività cresceva più velocemente, Greenspan dette il via a una serie di aumenti dei tassi d’interesse. Rifiutandosi di legare l’aumento dei tassi a un aumento dei margini, che avrebbe indicato in modo inequivocabile che la FED aveva la seria intenzione di raffreddare la bolla azionaria speculativa, Greenspan colpì l’economia con tassi più elevati, chiaramente pensati non per raffreddare la folle smania di acquisti azionari della Nuova economia ma piuttosto per aumentare la disoccupazione e abbassare il costo del lavoro, in modo da incrementare i guadagni della aziende. Il mercato azionario non ne tenne quindi conto.

Influenti osservatori, inclusi i finanzieri George Soros e Stanley Fischer (vicedirettore del FMI), sostenevano che la FED avrebbe dovuto innalzare i margini per togliere ossigeno al boom creditizio.

Greenspan rifiutò questa strategia graduale, e nel suo discorso di riconferma nel 1996 dinanzi all’US Senate Banking Committee, dichiarò che non voleva discriminare coloro che non erano ricchi e che dovevano quindi prendere fondi a prestito per poter operare sul mercato azionario (sic). Coloro che compravano azioni a margine non erano per lo più poveri e bisognosi, ma professionisti del settore in pausa pranzo. Greenspan lo sapeva benissimo, ma è interessante notare che per giustificare le pressioni per i subprime a favore d’individui con scarso credito userà proprio quest’argomento: dare ai più poveri la possibilità di diventare proprietari grazie alle politiche messe in opera dopo il 2001.

Il mercato azionario cominciò a cedere nella prima metà del 2000, non perché il costo del lavoro stesse aumentando ma perché la credulità degl’investitori era stata sfruttata fino in fondo. La stampa finanziaria, incluso il Wall Street Journal che solo un anno prima aveva indicato gli operatori di dot.com come pionieri della nuova economia, stava adesso sbeffeggiando il pubblico per aver sperato in un aumento infinito del valore di azioni di società che non avrebbero mai fatto un dollaro di profitto.

La Nuova economia, come affermò un giornalista del Wall Street Journal, ora “rassomiglia a una bolla speculativa creditizia dei bei vecchi tempi”. Nella seconda metà dell’anno i consumatori statunitensi il cui rapporto debito/entrate era estremamente elevato cominciarono a stringere la cinghia: le vendite natalizie furono un fallimento, e agl’inizi di gennaio 2001 Greenspan fece marcia indietro e abbassò i tassi d’interesse. Con dodici successivi tagli, nel giugno 2003 la FED aveva fatto scendere dal 6% all’1% i tassi obbligazionari, che determinano i tassi a breve e altri tassi d’interesse in campo economico.

Greenspan portò i tassi della FED a minimi storici che non si erano visti dai tempi della Grande depressione fino al 30 giugno 2004, quando, prima di lasciare il suo incarico nel 2006, lanciò il primo di una serie di quattordici aumenti dei tassi. In diciannove mesi portò i tassi della FED dall’1% al 4,5%, distruggendo al passaggio la bolla speculativa alla base della gallina dalle uova d’oro, l’immobiliare.

Discorso dopo discorso, il direttore della FED mise bene in chiaro che la sua politica monetaria ultraleggera dopo il gennaio 2001 aveva voluto incoraggiare gl’investimenti nel credito ipotecario immobiliare. Il fenomeno dei subprime – possibile solo nell’era della mobiliarizzazione degli attivi, dell’abrogazione del Glass-Steagall Act, e delle operazioni con derivati OTC non regolamentate – era il prevedibile risultato della deliberata politica di Greenspan. Basta studiare con attenzione i dati storici per rendersene chiaramente conto.

Note:

[1] Woodward, Bob, Maestro: Alan Greenspan’s Fed and the American Economic Boom, Nov 2000. Il libro di Woodward è un esempio del trattamento privilegiato riservato dai maggiori media statunitensi. Il capo di Woodward al Washington Post, Catharine Meyer Graham, figlia di Eugene Meyer, il leggendario banchiere d’investimento di Wall Street, era un intimo amico di Greenspan. Il libro può essere considerato un atto calcolato dei circoli più influenti del mondo finanziario per contribuire a creare il mito di Greenspan.

[2] Lewis vs United States, 680 F.2d 1239 (9th Cir. 1982).

[3] Zarlenga, Stephen, Observations from the Trading Floor During the 1987 Crash, in http://www.monetary.org/1987%20crash.html.

[4] Greenspan, Alan, Dichiarazione al Subcommittee on Financial Institutions Supervision, US House of Representatives, 18 novembre 1987. http://fraser.stlouisfed.org/historicaldocs/ag/download /27759/Greenspan_19871118.pdf.

[5] Hershey jr., Robert D., Greenspan Backs New Bank Roles, The New York Times, 6 ottobre 1987.

[6] Hershey, op.cit.

[7] Ibid.

[8] Greenspan, Alan, Statement by Alan Greenspan, Chairman, Board of Governors of the Federal Reserve System, before the Committee on Banking and Financial Services, U.S. House of Representatives, 11 febbraio 1999, in Federal Reserve Bulletin, aprile 1999.

[9] Anderson, Jenny, Goldman Runs Risks, Reaps Rewards, The New York Times, 10 giugno 2007.

[10] Kuttner, Robert, Testimony of Robert Kuttner Before the Committee on Financial Services, Rep. Barney Frank, Chairman, U.S. House of Representatives, Washington, D.C., 2 ottobre 2007

[11] Kostigen, Thomas, Regulation game: Would Glass-Steagall save the day from credit woes?, Dow Jones MarketWatch, 7 settembre 2007, in http://www.marketwatch.com/news/story/would-glass-steagall-save-day-credit.

[12] Engdahl, F. William, Hunting Asian Tigers: Washington and the 1997-98 Asia Shock, ripreso in http://www.jahrbuch2000.studien-von-zeitfragen.net/Weltfinanz/Hedge_Funds/hedge_funds.html.

[13] Greenspan, Alan, The revolution in information technology Before the Boston College Conference on the New Economy, Boston, Massachusetts, 6 marzo 2000.

[14] McCulley, Paul, A Call For Fed Action: Hike Margin Requirements!, dichiarazione all’House Subcommittee on Domestic and International Monetary Policy, 21 marzo 2000.

Come direttore della FED, Alan Greenspan aveva ripetutamente dichiarato che era impossibile accertare l’esistenza della bolla speculativa durante la sua crescita esponenziale. Nell’agosto 2002, quando gli operatori sul mercato avevano oramai indovinato la chiara strategia di aumento dei tassi della FED, riaffermò “Noi, alla Riserva federale, abbiamo preso in esame vari punti legati alla bolla dei valori, cioè all’aumento dei prezzi fino a livelli insostenibili. Con l’evolvere della situazione, siamo arrivati alla conclusione che, nonostante i nostri sospetti, era molto difficile individuare con sicurezza una bolla speculativa fino a quando la sua esplosione non ne ha confermato l’esistenza“. Alan Greenspan Remarks by Chairman Alan Greenspan Economic volatility At a symposium sponsored by the Federal Reserve Bank of Kansas City, Jackson Hole, Wyoming 30 agosto 2002.
Faux, Jeff, The Politically Talented Mr. Greenspan, Dissent Magazine, primavera 2001.

F. William Engdahl
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=7876
22.02.08

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di CARLO PAPPALARDO

VEDI ANCHE: LO TSUNAMI FINANZIARIO: LE FONDAMENTA FINANZIARIE DEL SECOLO AMERICANO

LO TSUNAMI FINANZIARIO: IL DEBITO IPOTECARIO SUBPRIME

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