di Matt Bojanovic ([email protected])
Margaret Hassan nacque Margaret Fitzsimmons, a Dublino. Mentre studiava a Londra incontrò Tahsin Ali Hassan, uno studente iracheno. Era molto giovane, dicono che lei avesse 17 anni, lui 26. Si sposarono, e andarono a vivere in Irak nel 1972. Lei prese la cittadinanza irachena, si convertí all’Islam, e imparò l’arabo.
Dicono che lo parlava come se fosse nata lí.
Dopo la Guerra del Golfo del 1991, diventò direttore di Care International a Bagdad. Organizzò la costruzione di ospedali. Intraprese l’impossibile
missione di restaurare il sistema di distribuzione di acqua potabile, che era stato danneggiato dalle bombe della NATO. La missione era essenzialmente impossibile per via dell’embargo sui pezzi di ricambio.
Justin Huggler scrive nell’Independent del 17 novembre:
‘Quando hanno sentito che era stata rapita, sono venuti in strada a Bagdad nelle loro carrozzelle a richiedere la sua liberazione. I bambini da una scuola per i sordi sono venuti, tenendo i cartelli per la liberazione di “Mamma Margaret.” “Se non era per lei, saremmo morti, probabilmente,” Ahmed Jubair, un ragazzino in una carrozzella, disse quel giorno. “Ci ha costruito un ospedale e si è occupata di noi. Ci ha fatto felici di nuovo.” Non vi può essere un epitaffio più bello.’
Fare la carità non era abbastanza per Margaret Hassan. Non era sufficiente dare una mano a qualche migliaio –o a qualche milione– di poveri sfortunati.
Sapeva da dove venivano le bombe a grappolo che mutilavano bambini. Sapeva chi aveva causato la distruzione dell’infrastruttura in Irak e lo diceva apertamente, senza paura di offendere persone importanti a Washington e Londra. Essere una santa non non era abbastanza per lei, chiedeva un po’ di giustizia, in questo mondo, non nel prossimo.
Robert Fisk, dopo di aver parlato a Margaret Hassan e alla sua assistente, Judy Morgan, scrisse nell’Independent del 2 novembre 1998:
‘A dirlo in poche dure parole, i due operatori umanitari di Care sono convinti di essere la proverbiale inutile goccia nell’oceano, aiutando a lenire certe cattive coscienze –coscienze occidentali — mentre gli iracheni muoiono a causa delle nostre sanzioni… La signora Hassan …dice: “Non penso che li vediamo come persone… Le sanzioni sono inumane e tutto quello che facciamo non può cancellare quell’inumanità.” ‘
Nel gennaio del 2003 la Hassan andò a New York e a Londra, presagendo ancor peggiori catastrofi per il popolo iracheno. Se veniva la guerra, l’infrastruttura del paese, già severamente provata dall’embargo, sarebbe crollata. Alla Camera dei Comuni disse: “Gli iracheni vivono già in una terribile emergenza. Non hanno le risorse per poter resistere a un’ulteriore crisi.”
UN SEQUESTRO O UN ARRESTO?
Margaret Hassan fu catturata mentre andava al lavoro il 19 ottobre 2004. Dei vari strani rapimenti di pacifisti che erano già avvenuti in Irak, questo fu il più strano. Dall’Independent del 21 ottobre e del 17 novembre apprendiamo che la strada era stata bloccata da due automobili e che due uomini vestiti da poliziotti le chiesero di uscire a parlargli. Quando obbedí, altri apparvero, l’afferrarono, e trascinarono fuori dalla macchina l’autista della Hassan e la sua guardia del corpo, che non erano armati. Cominciarono a battere i due uomini con le loro armi. “Fermatevi,” gli disse la Hassan, “verrò con voi.”
Chi ha mai visto una rapina e un raid di polizia, può aver notato che guardie e ladri si comportano in maniera un po’ diversa. Ai poliziotti non spiace mettersi in mostra, e al solito rimangono sul luogo a chiacchierare un po’. I banditi invece preferiscono non farsi notare troppo sul lavoro.
Sembra che banditi e ribelli siano dell’opinione che le chiavi del successo sono la velocità e il non dar nell’occhio. Invece, in una squadra della morte, in una squadra di poliziotti in borghese con l’incarico di far sparire un dissidente,
tutti vogliono mostrarsi attivi, sembrare occupati, farsi utili. Non c’è resistenza, e cosí cominciano a bastonare un po’ i presenti. Visto che già sei lí, ti sbattono un po’ contro il muro: è una piccola cosa, ma dà soddisfazione.
A questi strani rapitori non spiaceva l’idea di fare una scena per strada.
Non avevano gran fretta, e potevano indulgere al loro passatempo preferito, bastonare la gente.
Gli insorti a volte organizzano l’uccisione di collaboratori in piena vista a tutti, per creare timore nel cuore di ogni persona che pensi di cercare impiego col governo. Con un’esecuzione fatta su una strada affollata, gli insorti dimostrano
che controllano il vicinato e sono onnipresenti, mentre i poliziotti sono timorosi e assenti.
Un’esecuzione si può fare senza troppe precauzioni. Gli assassini non si portano via la vittima; possono andarsene a piedi, e scomparire nella folla, oppure possono andare in macchina una breve distanza, parcheggiare, e separarsi. Blocchi
stradali non presentano un serio pericolo a una squadra di esecuzione.
Un sequestro invece deve essere un lavoro molto quieto, per evitare che passanti o vicini chiamino la polizia con la descrizione dei veicoli dei rapitori. Una fuga veloce è essenziale, prima che i blocchi stradali siano organizzati, e ogni secondo conta.
Il sequestro della Hassan era ancor più anomalo. I rapitori fecero una cosa assolutamente inaspettata per gente che si prepara ad affrontare un tragitto molto pericoloso, passando blocchi stradali e pattuglie americane sulle strade di Baghdad: non c’era alcuna resistenza, e cominciarono a sparare in aria.
I poliziotti iracheni sono noti per la loro propensione a sparare in aria quando sono bloccati nel traffico. Sparano pure per annunciare la loro presenza, o per ordinare alla gente di andarsene. In situazioni in cui poliziotti a Roma accendono la luce sul tetto e la sirena, a Bagdad invece sparano in aria.
Un poliziotto americano in pensione, sul sito http://www.behindthebadge.net/truelife/tl6.html ci racconta che quando era giovane, una delle cose che gli piaceva fare era accendere la luce e la sirena e andare a 160. Questo gli dava “un senso di potere e di eccitazione.”
I poliziotti iracheni non possono resistere all’impulso di sparare in aria per la sensazione o per l’immediata illusione di potere e controllo che ne deriva.
ALLA POLIZIA NON PIACCIONO GLI INGLESI
Ecco alcuni esempi dei strani atteggiamenti della polizia di Allawi, che ricordano quelli dei rapitori della Hassan, come riferito nella stampa inglese. The Telegraph del 16 agosto ci racconta:
‘Il capo della polizia ha dato l’avvertimento: i giornalisti hanno due ore di tempo per andar via da Najaf o essere arrestati… la spiegazione ufficiale per la decisione era che la polizia che proteggeva l’hotel aveva trovato 250 chili di dinamite in un’automobile nei pressi. Ciò sembra improbabile… A una delegazione di giornalisti è stata negata un’udienza col governatore di Najaf, Adnan al-Zurufi. Il poliziotto davanti al suo ufficio era brusco. “Se voi non partite alla scadenza del tempo che avete, vi spareremo,” ha detto. Questo bastò per tutti, fuorché alcuni giornalisti inglesi e americani che rimasero… la notte spararono alcuni colpi al tetto dell’hotel, da dove i giornalisti mandano i loro rapporti.’
Il quotidiano inglese The Independent il 17 agosto 2004 ci racconta da Najaf:
‘Un tenente di polizia è arrivato all’hotel alle 18:30 … mentre i giornalisti protestavano, il tenente disse…: “Apriremo il fuoco su questo hotel. Lo distruggeremo. Vi uccideremo tutti. E sarà tutto colpa vostra.”
…Ha detto che quattro cecchini sarebbero saliti… sul tetto della stazione di polizia e che avrebbero sparato a ogni giornalista che usciva dall’hotel….Poi la polizia se ne andò. Si fermarono a 300 metri di distanza e spararono alcuni colpi in direzione dell’hotel.’
Il 26 agosto sembra che abbiamo ancora lo stesso problema di polizia. Ecco il rapporto dell’agenzia Reuters: “I giornalisti stavano cenando quando la polizia improvvisamente entrò nell’hotel e cominciarono a sparare in aria. Uno quasi colpí un fotografo. Scheggie di mattone ci volarono addosso.”
Ecco il rapporto del Guardian:
‘La polizia entrò… nell’hotel alle 21.15 ieri sera… sparando in aria… L’intera team della BBC, come pure [giornalisti del] Guardian, Independent, Times e Daily Telegraph furono spinti in un camion, e portati alla stazione di polizia di Najaf dove il capo locale di polizia, Ghalib al-Jazae’ri, disse che era provocato e offeso dai rapporti [che aveva letto sui giornali]… Il poliziotto che entrò nella stanza del Guardian, indossando un passamontagna e puntando un kalashnikov, disse in Arabo: “We’re going to fuck the lot of you.” ‘
Chiaramente, il regime di Allawi è incapace di tollerare la presenza di osservatori neutrali. Sembra che alle autorità irachene gli occidentali in generale non piacciano. Non riescono a controllare la loro rabbia, neanche verso inviati di giornali favorevoli al regime, quali il Times e il Telegraph.
PSICOPATICI A BAGDAD
In un articolo pubblicato da The Oregonian del 7 agosto, leggiamo che il 29 giugno 2004, un soldato della Guardia Nazionale dell’Oregon, osservando la zona da un alto edificio, vide un po’ di tortura in un cortile vicino al Ministero dell’Interno. Il comandante del battaglione, il Col. Daniel Hendrickson entrò nel cortile coi suoi soldati. Trovarono molti prigionieri che dicevano di esser stati privati d’acqua e di cibo per tre giorni. “Molti di questi prigionieri avevano tagli e contusioni e segni di frustate. Almeno uno aveva una ferita d’arma da fuoco al ginocchio.”
I soldati della Guardia Nazionale pensavano che la tortura non fosse più accettabile nell’Iraq democratico, dopo la spiacevole pubblicità data alle foto di Abu Ghraib. Credevano che “lo shock e la costernazione” di Washington fossero per la realizzazione che in Irak ci fosse ancora la tortura, non per l’imbarazzo che delle foto fossero finite in mano a giornalisti.
I soldati liberarono i prigionieri dalle manette, li misero all’ombra, e gli diedero acqua. Questi erano 150 uomini che erano stati presi in un vicinato, in una “retata anti-crimine” che era risultata nella cattura di “immigranti e di iracheni poveri.” Le guardie spiegarono che “questi prigionieri erano tutti criminali pericolosi e la maggior parte erano ladri, utenti di marijuana e altra mala genia.”
Il capitano Southall racconta che ‘un prigioniero insisteva che la polizia irachena l’aveva arrestato al mercato, confiscandogli il passaporto nonostante il fatto che egli “aveva pagato una bustarella tremenda” al poliziotto che lo arrestò. Gli altri, molti dei quali sembravano negozianti non-arabi e lavoranti, dissero che erano stati arrestati per mancanza di documenti.’
Il colonnello Hendrickson chiamò il comando chiedendo istruzioni. Mentre i soldati aspettavano, Southall disse, i poliziotti iracheni cominciarono ad assumere un atteggiamento “provocatorio e ostile” verso gli americani. Dopo un po’, il quartier generale ordinò a Hendrickson di andarsene.
Hendrickson aveva richiesto di parlare al capo. Un “uomo ben vestito” si fece avanti, dicendo che “non c’era abuso sui prigionieri, tutto era in ordine, e stavano cercando di condurre 150 investigazioni al più presto possibile.”
I governanti in Bagdad sono preoccupati. Sono oggetto del disprezzo generale. Sono ex membri del Partito Baath. I poliziotti che hanno arruolato sono ex-poliziotti di Saddam Hussein, i loro ufficiali sono ex-ufficiali di Saddam Hussein, e tutti disprezzano i loro sudditi iracheni e odiano i loro padroni stranieri.
Possiamo star tranquilli che i poliziotti di cui parlava l’Oregonian sarebbero stati arcicontenti di aver l’opportunità di catturare e brutalizzare un occidentale. Quei poliziotti avrebbero visto Margaret Hassan come qualcuno su cui vendicarsi per l’umiliazione sofferta quando avevano dovuto obbedire a stranieri.
CODICE DI ABBIGLIAMENTO PER OSTAGGI: MANETTE FACOLTATIVE
Legare prigionieri in una “posizione dolorosa” è una pratica normale per la Coalizione, ufficialmente sancita. Non si tratta di tortura. Non si tratta di tortura perchè la Coalizione dei Volonterosi non pratica la tortura.
I ribelli in Irak sembrano sicuri di avere l’appoggio della popolazione. Sono convinti che i loro prigionieri non potrebbero andare lontano se tentassero di fuggire. Uno di quelli che catturarono i quattro “contractors” italiani, spiega nel Sunday Times del 27 giugno che i prigionieri non erano stati nè legati nè chiusi a chiave nella loro stanza.
I tre ostaggi italiani liberati e l’ingegnere polacco Jerzy Kos si lagnarono del cibo, non di “posizioni dolorose” o maltrattamenti.
Nel Telegraph del 14 agosto, 2004 il giornalista inglese James Brandon, rapito dal suo hotel a Basra, ci spiega che il rapimento era stato molto spiacevole, ma che “una volta che hanno saputo che ero giornalista sono stato trattato molto bene.”
Questo lo dicono pure le dozzine di giornalisti che sono stati detenuti e rilasciati da ribelli molto aggressivi e minacciosi. I periodi di detenzione durarono da qualche minuto a un posto di blocco a otto giorni per il giornalista americano Micah Garen e il suo interprete, Amir Doshe, rilasciati il 22 agosto a Nasiriyah.
I salafiti che catturarono le Due Simone erano molto formali nel seguire il precetto di non toccare donne che non siano parenti prossimi. Le italiane non furono mai legate. Dovevano coprirsi gli occhi quando i rapitori entravano in stanza. Quando le guardie volevano spostarle, le conducevano per la manica della tunica, senza toccarle mai.
Il 28 ottobre le Brigate Salafite di Abu Baker Siddiq rapirono Teresa Borcz Khalifa, una donna polacca che aveva sposato un iracheno ed era vissuta in Irak per 30 anni. Apparve in un video davanti alla bandiera del gruppo, mentre uno dei ribelli leggeva un manifesto. Non era legata. La liberarono e apparve a una conferenza stampa a Varsavia il 21 novembre. Disse: “Mi hanno trattato
in maniera decente. Sono stata tenuta in una stanza piccola, molto pulita, dipinta di fresco. Ero ben nutrita, e mi hanno dato acqua e articoli da toiletta… il rapimento fu molto rapido — era molto bene organizzato.”
I guerriglieri sembrano avere un atteggiamento molto rilassato riguardo alla necessità di legare prigionieri, anche quando i prigionieri sembrano paramilitari, come Scott Taylor o i quattro “contractors” italiani. Sembra che i ribelli legano i loro prigionieri principalmente durante una transferta e prima dell’esecuzione.
Ken Bigley è apparso incatenato e in una gabbia soltanto nel suo ultimo video. Non vi fu una simile “escalation” nel trattamento di Margaret Hassan, che apparve stressata e “in posizione dolorosa” nel primo filmato rilasciato dai rapitori.
Il video rilasciato il 12 novembre mostra Margaret Hassan mentre sviene. Un secchio d’acqua viene rovesciato su di lei, ed è filmata mentre giace a terra bagnata ed indifesa, prima di alzarsi, piangendo. Questo video era cosí orrendo
che non fu messo in onda da Al-Jazeera.
Il secchio d’acqua è ciò che uno si aspetterebbe alla stazione di polizia, quando si sviene durante l’interrogatorio. Ma un dilettante ci penserebbe al secchio d’acqua come un attrezzo con cui fiaccare lo spirito di un prigioniero?
Forse sí, ma nel contesto iracheno sembra strano, i ribelli non l’avevano mai fatto. Più importante, perchè mai vorrebbe un ribelle islamico provarsi a fiaccare lo spirito di una convertita all’Islam che per anni aveva alzato la sua voce contro i governanti anglo-americani?
Questo desiderio di umiliare potrebbe semplicemente essere quel normale comportamento riflessivo che appare nei poliziotti iracheni quando hanno un prigioniero in mano. In questo caso, con l’addizionale gioia di poterlo fare a un’occidentale.
COM’È CHE I RIBELLI VERI TRATTANO UNA SPIA?
Avrebbero i ribelli usato la “posizione dolorosa” e il secchio d’acqua nell’interrogazione di Margaret Hassan?
Esaminiamo il resoconto degli ostaggi liberati che furon trattati nel modo peggiore, e che un paio di volte furono molto vicini a essere uccisi. Il canadese Scott Taylor e la turca Zeynep Tugrul sono giornalisti. Entrarono in Iraq dalla Turchia, e il 7 settembre furono catturati a Tal Afar, una città turcomanna, poche ore prima dell’inizio di un’offensiva americana. I ribelli pensavano che i due fossero spie in missione di ricognizione.
Scott Taylor racconta al sito http://www.espritdecorps.ca/new_page_243.htm:
‘Due uomini mi interrogavano. Era come in una commedia di Hollywood: qualcuno avviò un generatore e le luci si accesero. I due interrogatori tentarono goffamente di tirarsi su le loro maschere da sci prima che potessi riconoscerne le facce.
Rotta la tensione, quello che chiamavano “l’Emiro” …[il comandante] cominciò a ridere e non si rimise la maschera. Questi era stato nel gruppo che ci aveva preso al posto di controllo della polizia, e disse: “Adesso va a dormire e ti controllerò la storia. Se dici la verità, ti rilasceremo – se no, sei morto.”
…[Il giorno dopo] erano molto puntigliosi nel seguire le regole. Dovevo sedere su una sedia rotta nel mezzo della mia cella, ma quando la temperatura salí a 45° e la mia stanza diventò un forno, hanno avuto compassione di me e mi hanno lasciato uscire. Quando venne la sera tutti erano cosí rilassati che Zeynep e io ce ne stavamo seduti, cenando e chiacchierando con le nostre guardie. Il giovane [un quindicenne] dichiarò che la sua sola ambizione nella vita era di “morire come martire.” L’Emiro ritornò e ci informò che aveva confermato che non eravamo spie. Ci diede la “promessa musulmana” che saremmo stati liberi al mattino.’
L’Emiro fu ucciso in combattimento quella notte e lasciò un vuoto di potere. Come ogni gruppo di combattenti andava a combattere, i due giornalisti venivano trasferiti da una banda ad un’altra. Vari gruppi di combattenti li maltrattarono e bastonarono per farli confessare di esser spie.
IN MANO ALL’ASSE DEL MALE
Uno dei gruppi apparteneva ad Ansar al-Islam, accusato da Washington di essere il famoso anello mancante nell’Asse del Male, il collegamento tra Saddam Hussein e Bin Laden. Questi ribelli erano arabi, non turcomanni. Nè Taylor nè la Tugrul comprendevano l’arabo, e tutti i loro documenti erano stati distrutti quando una casa era crollata sotto il fuoco americano.
La stampa internazionale aveva già discusso la presenza della Mossad nel Nord dell’Irak. I nuovi inquirenti erano meno intelligenti che l’Emiro, e alquanto primitivi. Erano convinti che Taylor fosse “una spia americana con la Mossad.”
Era difficile dimostrare il contrario.
Scott Taylor è l’editore di Esprit de Corps, una rivista militare canadese.
È vero che lui aveva scritto contro la partecipazione del Canada alla guerra in Iraq, ma questo era Tal Afar, un’antica città di case fatte di fango, che sembra una reliquia del Medio Evo. Per il jihadista medio a Tal Afar, Scott Taylor non poteva essere altro che una spia americana.
Il pericolo più grave veniva dalla presenza di combattenti che intendevano cercare il martirio quella sera stessa, combattendo contro l’aviazione americana. Non c’era speranza di battere gli americani, ed ecco che gli si presentava l’opportunità di portarsi dietro, all’altro mondo, per lo meno uno dei loro nemici.
Rilasciato dopo cinque giorni di prigionia, Scott Taylor (ST) ci dice in una lunga intervista con Chris Deliso (CD) al sito http://www.antiwar.com/deliso/?articleid=3606:
‘ST: Forse la cosa più strana di tutte era la giustapposizione di brutali tattiche terroristiche con questa dolce ospitalità orientale. Tra una bastonatura e l’altra ci trattavano molto bene. Non mi hanno mai negato l’acqua, e come ospiti, ci servivano la cena prima di loro. E le cene erano buone, potrei aggiungere.
CD: Ciò doveva sconcertarti molto.
ST: Davvero. Ricordo la notte di giovedì, c’era una brezza fresca che veniva dalla finestra, e stavo sul fianco, fingendo di dormire. Ho visto come il terrorista che mi custodiva si era alzato e veniva verso me… Ebbi paura che avrebbero ricominciato a bastonarmi.
Ma sai cosa fa quello? Mi tira su la coperta, come si farebbe a un bambino; apparentemente, pensava che avrei potuto avere freddo per via della finestra aperta. Questi comportamenti diametralmente opposti veramente confondevano. Erano militanti sanguinari, eppure avevano un lato umano.
Quando ti minacciano, “Tu vai a morire, questa è la tua ultima cena,” sono tutti contenti perché ti hanno dato la parte migliore del pollo!
Certo, per loro morire è una cosa meravigliosa. Dunque questa è l’idea, “ti do la parte migliore del pollo e ti uccido – cos’altro diavolo vuoi?”
‘
UNO STRANO CAMBIAMENTO
Dunque come si comportano i più pericolosi tra i ribelli iracheni? In maniera barbara, generosa, violenta, simpatica, brutale, e perfino gentile, anche in mezzo a una battaglia.
Che vogliono dai loro prigionieri? Sospettano che siano spie americane e vogliono confessioni. Finora, sembra che pure i più brutali tra gli interrogatori non abbiano voluto umiliare e distruggere lo spirito dei prigionieri. Eccetto nel caso di Margaret Hassan.
Quando Fabrizio Quattrocchi fu ucciso, il suo spirito era forte, non era un uomo torturato o distrutto. Abbiamo una buona idea di quello che successe nella prigione dei ribelli, dai resoconti dei suoi compagni liberati, dal film dell’esecuzione, e dalle parole del suo traduttore in prigione, Abu Yussuf. Questi fu intervistato da Hala Jaber nel Sunday Times del 27 giugno 2004.
Ci vogliono far credere che improvvisamente, i ribelli hanno perso tutte le loro inibizioni e son diventati sadici come i poliziotti di Saddam Hussein e di Allawi. Non verso i mercenari che avevano catturato, no, son diventati sadici verso una delle più forti voci alzatesi in difesa dell’Irak, verso colei che era andata a New York e aveva parlato alle Nazioni Unite contro i piani bellicosi
di Bush e Blair.
Ci vogliono far credere che gli islamisti hanno improvvisamente deciso di accanirsi contro i convertiti all’Islam, un comportamento mai visto. Ci vogliono far credere che gli islamisti hanno abbandonato tutte le loro tradizioni, solo per umiliare una signora di grande dignità, proprio quella che aveva parlato alla Camera dei Comuni, in un disperato tentativo di bloccare i piani di Allawi, che contava di tornare a Bagdad su un carro armato americano.