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LO STATO SEDUTTORE HA FRETTA

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A cura di Davide
Il 18 Ottobre 2013
79 Views

DI MIGUEL MARTINEZ
kelebeklerblog.com

I media ci raccontano che un centenario è morto, e cosa pensa a fare lo Stato? Una legge, certo, con “pene da uno a cinque anni“. Più galera per tutti!, la panacea universale.

La legge tocca farla di corsa, finché la notizia è calda e il cadavere calciabile.
Talmente di corsa che ieri si è cercato di far passare quella che chiamano una “ legge contro il negazionismo” direttamente in commissione Giustizia.
Poi all’ultimo momento i senatori del
Movimento Cinque Stelle hanno chiesto che la legge, che loro comunque
sostengono a spada tratta, passi prima in aula. Anche a partire da oggi stesso, secondo loro. Che però significa perdere ventiquattr’ore di tempo-TV.

Questa insensibilità per i ritmi degli anchormen fa innervosire a tal punto una certa Monica Cirinnà, senatrice, che esclama “Il Movimento 5 Stelle è arrivato al negazionismo“, mentre Anna Finocchiaro dice, “Non
mi stupisce che la furia devastatrice dei Cinque Stelle si abbatta
anche su provvedimenti di civiltà come il negazionismo dell’Olocausto
.”
Ora, normalmente la morte del proprio nemico, in povertà e a cent’anni, non è quella che chiameresti un’emergenza, tale da richiedere leggi che se aspettano qualche ora a essere emanate, chissà che succede.
Anche perché il revisionismo/negazionismo non si capisce cosa c’entri con la strage delle Fosse Ardeatine: non ho mai sentito nessuno “negare” i fatti, casomai sorgono di tanto in tanto discussioni di natura giuridica o riguardanti il contesto.
Il vero senso della scenata di ieri ce l’ha spiegato vent’anni fa Régis Debray, in un meraviglioso libretto intitolato Lo Stato seduttore. Le rivoluzioni mediologiche del potere.
Un testo salutare, perché ci fa  uscire
dalla classica lagna italica, ossessionata con la presunta importanza di
Silvio Berlusconi: Debray ci parla infatti soprattutto della Francia,
dove cogliamo però gli stessi processi di fondo, di cui il gaudente di
Arcore è semplicemente una delle tante espressioni.
Lo Stato Nazione – istituzione immaginaria, che nessuno ha mai visto in faccia, eppure fonte di ogni potere – controlla immagini e informazioni.
Lo Stato controlla le immagini,
attraverso la solenne architettura dei monumenti e dei viali, il ritmo
delle festività e le parate, unico spettacolo di massa (a fianco di
quelli residui della Chiesa).
Lo Stato controlla le informazioni.

Lo Stato è il primo informato: nel 1837, la legge francese stabilì che
“chiunque
trasmetterà, senza autorizzazione, dei segnali da un luogo a un altro,
sia con l’aiuto di apparecchi telegrafici sia con qualsiasi altro mezzo,
sarà punito con la prigione, da un mese a un anno di reclusione.”
[1]

Ma lo Stato è anche il primo informatore,
con il controllo delle scuole che – libro su libro, secondo un percorso
iniziatico ascendente – modellano il Cittadino. Con la sua “epopea
prometeica”, come la definisce Debray: “il progresso, il senso della storia, la pace attraverso la scienza, la padronanza senza fine né limite della natura, ecc.”

Siamo passati dalla grafosfera alla videosfera, e i monumenti sono oggi apprezzati solo dai piccioni.

Più seriamente, siamo passati
dall’industria mediatica nazionale, subordinata allo stato, all’impresa
in grado di aggirare tutte le frontiere, e questo ha spezzato il
controllo dello Stato Nazione sulle informazioni.
La scuola è diventata un intervallo
noioso tra le pubblicità, la telepresenza entra in tutte le case molto
prima degli aridi comunicati del potere.
“Privare un'”istituzione immaginaria” delle industrie dell’immaginario è più che offendere il suo orgoglio”, scrive Debray.
“In
un mondo in cui tutto ciò che non si vede alla televisione non esiste,
un governo senza immagine ha tutte le ragioni di preoccuparsi”.

Improvvisamente, si rovescia lo storico rapporto: parlando della Francia presidenzialista, Debray scrive, “il capo di Stato, in effetti, è il presidente di un canale senza libero accesso all’antenna né frequenza attribuita.

Ma la stessa preoccupazione vale, a maggior ragione, per tutti coloro che in qualche misura rappresentano “lo Stato”:
“La democrazia
videocratica si basa solo sul consenso popolare e il consenso popolare è
una realtà fluttuante che deve essere conquistata con un’opera continua
di seduzione. L’azione dello Stato si sposta dal governo alla seduzione.

In questo
spostamento c’è già una perdita di potere e di centralità. Non è più la
società civile a ruotare intorno allo Stato, bensì lo Stato che si fa
satellite della società civile.

Una vera e propria rivoluzione copernicana, in cui lo Stato è relegato ai margini del sistema”.
Nell’adattamento seduttivo al flusso,
non è più possibile alcun progetto a lungo termine: le onde arrivano a
sorpresa, durano un istante, e vanno cavalcate tutte. Per cavalcare,
occorre promettere più velocemente di quanto si possa fare; anzi, il fare – al di là di singoli gesti simbolici – mette a rischio la velocità del meccanismo seduttore.[2]

Ovviamente questo avviene in sinergia con altri immensi fenomeni storici, tutti però imparentati e paralleli, nel grande passaggio dal solido al liquido, o se preferiamo, al virtuale.
Capiamo così come il buffo gesticolare
con il cronometro in mano dei membri della commissione Giustizia di ieri
sia solo un sintomo di tutto ciò, come lo è il disfacimento della
scuola pubblica, la crisi della sanità e di quanto possiamo ricondurre
al concetto di “Stato Nazione”.

Miguel Martinez
Fonte: http://kelebeklerblog.com
Link: http://kelebeklerblog.com/2013/10/17/lo-stato-seduttore-ha-fretta/
17.10.2013

Note:

[1] “Da un mese a un anno”, contro “da
un anno a cinque anni” per il negazionismo – anche in tempi di crisi, il
carcere resta un settore dinamico e in crescita costante.


[2] Silvio Berlusconi ha saputo giocare
con maestria il ruolo del simpatico buffone, una figura ancora
leggermente al di fuori del flusso temporale e con rimandi arcaici.
Matteo Renzi gioca invece con bravura il ruolo di chi cavalca istante
per istante l’onda mediatica, promettendo qualunque cosa, tanto nessuno gli presenterà mai il conto. Fuori dall’Oltrarno.
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