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La Redazione

 

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LO STATO D’ISRAELE PRESTO SCOMPARIRA’

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A cura di Davide
Il 30 Novembre 2007
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DI MAURO MANNO
Civum libertas

Sono in troppi, di recente, a parlare della possibilità che lo stato di Israele scompaia nei prossimi anni. Il primo è stato Ahmadinejad, il presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, il quale affermò un paio d’anni fa che Israele ‘scomparirà dalle pagine del tempo’ (e non come malignamente vanno dicendo i sionisti e i loro amici: ‘sarà cancellato dalla carta geografica’) La seconda versione della frase del presidente iraniano offre l’opportunità ai sionisti e loro scribi amici di ripetere la solita solfa che Ahmadinejad, è ‘il nuovo Hitler’, che vuole la bomba atomica per realizzare un ‘nuovo olocausto’ ebraico, e sciocchezze del genere.

Ahmadinejad ha ribadito la sua posizione ancora una volta il 29 novembre di quest’anno. Questa volta le sue parole sembrano siano state “non è possibile che Israele duri” (televideo di Mediaset, 29.11.07, www.tgcom.it). Queste parole sono subito state semplificate dallo stesso televideo Mediaset nella frase “Israele sparirà” e sono state, ovviamente, definite ‘minacce’. Ma questo fa parte del gioco degli scribi amici e ci siamo abituati.

Qualche mese fa, fu la ministra (?) degli esteri israeliana Tzipi Livni che parlò del pericolo di sparizione che corre Israele a causa dei suoi problemi interni: la demografia, le divisioni interne delle varie comunità, l’occupazione. Successivamente la Livni manifestò la sua preoccupazione che il mondo avrebbe finito per rifiutare il concetto di “legalità di Israele come stato ebraico”. Noi commentammo i suoi timori nell’articolo con questo titolo: È giunto il momento di sciogliere il nodo di Israele. Oggi è lo spesso primo ministro Olmert che si dimostra preoccupato. Un articolo del britannico The Guardian riporta le sue preoccupazioni (The Guardian 29.11.2007, State of Israel could disappear, warns Olmert, di Mark Tran, vedi:qui.)

Cosa dice Olmert? Il primo ministro israeliano evoca lo spettro della disintegrazione dello stato ebraico a meno che non si raggiunga la soluzione dei “due stati” con i palestinesi. Facendo un parallelo con la fine del regime sudafricano dell’apartheid (lo ha fatto lui questa volta non io!), Olmert ha messo in guardia i suoi oppositori che:

“Se giunge il giorno in cui la soluzione dei due stati collassa e noi ci troviamo di fronte ad una lotta nello stile di quella del Sudafrica dove i palestinesi ci chiedono lo stesso diritto di voto che abbiamo noi … allora , non appena ciò accade, lo stato di Israele avrà finito di esistere”.

Il pericolo è quello che la lotta dei palestinesi per uguali diritti in un unico stato Israele/Palestina finisca per raccogliere molti più consensi di quanto i palestinesi ne raccolgano adesso con le loro rivendicazioni. Cosa ancora più grave per Olmert sarebbe se molti ebrei della diaspora si schierassero per la democrazia e l’uguaglianza tra ebrei e palestinesi. Egli si dichiara sicuro che

“Le organizzazioni ebraiche, che sono la base del nostro potere in America (Oh filosionisti dalla facile accusa di ‘antisemitismo, è Olmert che dice questo, sta parlando della lobby ebraica in America!! Lo avete capito? Nda), saranno i primi a rivolgersi contro di noi,… perché ci diranno che non possono sostenere uno stato che non pratica la democrazia e applica un uguale diritto di voto per tutti i suoi residenti”.

Olmert ha sottolineato che aveva detto cose del genere già in un’intervista di 4 anni fa. “Da allora ho sistematicamente ripetuto queste cose”. Olmert teme che i suoi nemici

“diranno che in questo momento ho molti problemi (gli scandali per corruzione ecc., nda) e che questa è la ragione per cui sto cercando di realizzare la soluzione dei due stati. Ma i fatti devono essere affrontati correttamente”.

Uno dei tanti problemi interni che Israele deve affrontare per la propria sopravvivenza è il problema demografico. Oggi all’interno dell’entità sionista, anche detta ‘stato ebraico’ vi è una popolazione mista: da una parte gli ebrei dall’altra i palestinesi. Mentre i palestinesi rappresentano una comunità compatta e omogenea e non potrebbe essere diversamente visto che sono gli abitanti originari del paese, gli ebrei paradossalmente sono divisi e disuniti proprio perché sono una popolazione raccogliticcia proveniente da varie parti del mondo. I palestinesi d’Israele (che gli israeliani continuano a chiamare ‘arabi’ israeliani perché si rifiutano di usare la parola ‘palestinesi’) sono più di un quinto della popolazione e guadagnano posizioni di anno in anno dato che hanno una crescita più veloce di quella degli ebrei di Palestina (ricambiamo il favore). Questi ultimi sono, certamente, oltre il 70% della popolazione ma sono costituiti 1) dagli ebrei askenaziti, i fondatori del movimento sionista e di Israele, i quali provengono dall’est europeo, 2) dagli ebrei sefarditi che gli askenaziti hanno attirato dai paesi arabi, con le buone e le cattive, per fare gli operai agricoli nelle terre che gli askenaziti avevano rubato ai palestinesi, 3) dagli ebrei russi di recente immigrazione, in gran parte de-ebraicizzati e qualche volta convertiti al cristianesimo o atei (quindi non veramente ebrei), visto che sono passati per il regime sovietico. Molti ‘ebrei’ russi sono emigrati in Israele per ragioni economiche e non per amore del sionismo.
Non poche sono le contraddizioni tra queste tre comunità ‘ebraiche’. Non sono per altro le uniche perché vi sono altre minoranze (i falascià, gli ebrei dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti, spesso feroci sionisti o coloni, ecc. Vi è poi la grande e pericolosa (per Israele naturalmente) divisione tra ebrei ortodossi e laici.
Ma lasciamo queste divisioni interne agli ebrei d’Israele e torniamo a quello che Olmert, giustamente, considera il pericolo principale oggi. I palestinesi d’Israele. Se non si realizza la separazione tra Israele e uno stato palestinese, c’è il rischio (per lo stato ebraico) che i palestinesi dei territori occupati si impegnino in una lotta per uguali diritti in un unico stato. Gli ebrei della diaspora (non la lobby, non le organizzazioni ebraiche, come dice Olmert) si sentirebbero costretti ad appoggiare la lotta per la democrazia e Israele potrebbe perdere “la base del suo potere in America”. Israele diventerebbe uno stato senza maggioranza ebraica, perché tra palestinesi d’Israele e palestinesi dei territori occupatati, la maggioranza sarebbe palestinese. Addio stato ‘ebraico’! A questo punto anche l’unità artificiale che tiene unite le varie comunità ebraiche d’Israele probabilmente salterebbe e molti ebrei emigrerebbero verso i loro paesi d’origine o verso l’Europa e gli Stati Uniti. Israele ridiventerebbe Palestina, anche se, questa volta, con una forte minoranza ebraica al suo interno. Niente di terribile visto che gli ebrei sono minoranza in tutti i paesi in cui vivono. E non se la cavano poi tanto male, dopo tutto.
Questo il problema e la soluzione, per Olmert, sarebbe …. Annapolis.

Il Premier israeliano ha dichiarato che la Conferenza di Annapolis “ha soddisfatto le aspettative israeliane più di quanto gli israeliani si aspettassero, ma questo non ci libererà delle difficoltà che ci saranno nelle trattative, che saranno complesse e difficili e richiederanno grande pazienza e sofistificazione”. Eppure, ha riconosciuto Olmert, Abbas “è un partner debole, che non è capace, e, come dice Tony Blair, deve ancora formulare i suoi strumenti e potrebbe non saperlo fare”. Ma Olmert si fa rassicurante: “È mio compito fare in modo che egli riesca a procurarsi gli strumenti e comprenda le linee guida per un accordo”.
Quali sono questi benedetti strumenti di cui parlano Blair e Olmert? Credo che i due si riferiscano agli strumenti repressivi per sconfiggere Hamas. In questo gli sforzi israeliani sono già evidenti e in funzione. Olmert libera sostenitori di Abbas a centinaia e imprigiona e uccide membri di Hamas, compresi membri del parlamento palestinese. Senza una parola di Abbas, Fatah e dell’Occidente. Gli strumenti sarebbero pure quelli politici, quelli cioè atti a sconfiggere in elezioni o in un referendum le posizioni di Hamas e far vincere la linea collaborazionista di Abbas. Questi strumenti politici — Blair ha ragione — Abbas potrebbe non riuscire a crearseli mai. Soprattutto per colpa di Israele e della lobby ebraica americana, in ultima analisi per colpa della natura del sionismo.
Vediamo perché: Il sionismo ha sempre perseguito la conquista di tutta la Palestina, da riservare esclusivamente a ebrei. Per fare questo era necessaria l’espulsione almeno della maggioranza dei palestinesi. Israele è riuscito ad espellerne 750.000 nel 1948 e altre centinaia di migliaia dopo il 1967. In Palestina però, i palestinesi restano ancora la maggioranza. Che fare? La speranza di espellerli tutti non è mai tramontata e alcuni politici israeliani (Lieberman) la manifestano ancora apertamente. Ma non è facile. Potrebbe diventare però possibile raggiungere un duplice accordo, coi palestinesi e con i paesi arabi. Ai palestinesi bisogna imporre uno ‘stato’ palestinese simile ai bantustans che l’Africa dell’apartheid ha cercato, fallendo, di imporre ai neri. Ai paesi arabi si potrebbe cercare di imporre l’assorbimento di gran parte dei profughi palestinesi (oggi 5 milioni) in modo che essi la smettano di rivendicare il ritorno alle case e ai villaggi da cui sono stati cacciati. Il tutto all’interno di una cooperazione economica e di una ‘integrazione dello stato ebraico’ nel Medio Oriente arabo e musulmano. Abbas potrebbe essere l’uomo giusto per favorire questo duplice accordo che salverebbe Israele. Da una parte gli toglierebbe l’incubo di dover integrare milioni di palestinesi in un unico stato facendo perdere la maggioranza agli ebrei, dall’altra concentrerebbe questi palestinesi in un minimo di territorio (4 riserve o bantustans) proclamato ‘Stato Palestinese’ lasciando agli israeliani l’80% delle terre dei Territori occupati. Infine ridurrebbe il pericolo rappresentato dai profughi, una parte dei quali (quanti?) potrebbe ‘tornare’ nello ‘Stato palestinese’ e parte potrebbe essere assorbita dagli stati arabi, finalmente diventati amici e partner economici di Israele. Ma rimane ancora un ultimo inconfessato vantaggio. Se nasce lo stato palestinese, che ci sta a fare nello stato ebraico quel milione e 300.000 palestinesi d’Israele? Si potrebbe deportarli (pardon, si deve dire ‘trasferire’) nei loro bantustans, cioè nel loro ‘stato’. I conti tornerebbero. O No?

Il sionismo non ha cambiato la sua natura razzista e deportazionista. Semplicemente ha adattato le sue tattiche alla nuova situazione. Ma il piano fallirà.
Chi lo farà fallire, come abbiamo detto, saranno prima di tutto i coloni, gli ortodossi, i sostenitori del sionismo più intransigente, senza dimenticare la lobby ebraica d’America, più pericolosa e sionista dello stesso Israele. Costoro vogliono tutta la Palestina, tutto Gerusalemme, tutti i territori occupati. Non accettano nessun aggiustamento tattico.
Poi ci sono i palestinesi ed Hamas. Accetteranno i Palestinesi di rinunciare a ulteriori porzioni della loro terra? Accetteranno di farsi concentrare in alcuni grandi campi di concentramento murati e filospinati? E i palestinesi d’Israele accetteranno di farsi deportare? Cosa succederà?

Abbas, il traditore, farà una brutta fine. Già alcuni membri di Fatah stanno passando dalla parte di Hamas e con le elezioni o con altri mezzi, Hamas finirà per conquistare anche la Cisgiordania. I palestinesi saranno allora nella condizione di modificare la lotta passando dall’obiettivo di due stati a quello di una sola Palestina, libera, democratica, non razzista e multietnica. Un solo stato proprio come teme Olmert e i suoi amici della lobby. È chiaro ormai che la politica dei ‘due stati’ è tutta interna alla logica sionista. In particolare la logica sionista dei pragmatici askenaziti d’Israele. Ma essi sono ormai minoranza perché vi sono le logiche dei sionisti ultra-ideologizzati o dei religiosi fanatici messianici, sostenute entrambe dai denari e dalle trame politiche in America della lobby ebraica d’oltreoceano. La politica dei ‘due stati’ deve essere rigettata completamente dai palestinesi perché è la visione del nemico. Se si persegue invece l’obiettivo politico di un solo stato democratico per ebrei e palestinesi, nel modo in cui hanno fatto l’ANC e il popolo nero del Sudafrica, allora si colpisce al cuore proprio l’unica possibilità di salvezza che rimane all’entità sionista, come Tzipi Livni, Shimon Peres, e Olmert hanno capito. Come Sharon, il boia, aveva capito.
La fine del sionismo e di Israele sarebbe un bene per l’umanità intera e un grande aiuto per gli stessi ebrei, che potrebbero cogliere quell’opportunità per farla finita con il loro esclusivismo e senso di razzistica superiorità, diventando liberi cittadini tra i liberi cittadini del mondo.

Mauro Manno
Fonte: http://civiumlibertas.blogspot.com/
Link: http://civiumlibertas.blogspot.com/2007/11/lo-stato-di-israele-scomparir-presto.html
30.11.07

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