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La Redazione

 

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LO STATO DELL'IMPERO, 2006

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A cura di Davide
Il 30 Gennaio 2006
61 Views

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DI JAMES PETRAS

Nel 2005 l’economia degli USA ha resistito a tutti i principi conosciuti delle teorie economiche: a dispetto dell’alto grado di disavanzo, di un bilancio deficitario mostruoso, il fallimento di una guerra e importanti scandali politici che hanno coinvolto gli assistenti del Presidente, il dollaro si è rafforzato rispetto all’Euro e allo Yen, l’economia è cresciuta del 3.4 % e tutte le più importanti compagnie finanziarie hanno registrato profitti. Sembra che l’economia americana sfidi la legge di gravità, fluttuando sopra il tumulto politico e le vulnerabilità strutturali. Ma il punto della “profezia” non è quello di specificare il giorno e l’ora del brusco declino e della recessione, ma quello di identificare le profonde vulnerabilità strutturali e i possibili eventi scatenanti, che potrebbero fare esplodere una crisi.L’economia americana continuerà a divergere in un doppio senso. Il settore finanziario si espanderà oltremisura, in special modo le maggiori compagnie finanziarie come Goldman Sachs, J.P. Morgan, Citibank, mentre il settore dell’industria guidato dalle “Big three”del settore automobilistico (General Motors, Ford, Chrysler), crollerà ulteriormente, con una buona chance che la General Motors andrà in bancarotta.
Le multinazionali statunitensi si espanderanno su scala mondiale, acquistando titoli delle principali banche e industrie, specialmente in Cina, estendendo il raggio d’azione economico dell’Impero, mentre l’economia nazionale ne soffrirà, visto che l’edilizia e la bolla speculativa del mercato immobiliare crolleranno, i prezzi alti dell’energia mineranno la competitività delle esportazioni, risultando in brusco declino nella spesa in consumi. L’Impero americano verrà sempre più identificato con i propri giganti economici, mentre i fallimenti delle proprie guerre lo condurranno a un ritiro delle truppe ed a ricorrere alla risorsa del potenziale aereo, delle forze militari locali, e compiacenti sanzioni economiche verso i regimi social-liberali.

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La crisi sociale interna si aggraverà nel momento in cui le opportunità di profitto oltreoceano si espanderanno. Nel 2006 oltre il 90% dei lavoratori americani dovrà pagare per i
propri costosi piani pensionistici e previdenziali, se non potranno farlo, ne perderanno la copertura. I contratti precari sono la norma per tutti tranne che per una piccola
fetta di impiegati pubblici. La reale inflazione (che include l’aumento dei costi per la sanità, l’istruzione, l’energia e le pensioni) aumenterà di circa due volte l’andamento
dei prezzi al consumo e contribuirà a una ulteriore caduta degli attuali tenori di vita. Un rapido sgonfiamento della bolla immobiliare ridurrebbe a metà il “valore sulla
carta” dei proprietari di immobili, e forzerebbe coloro che sono pesantemente indebitati al fallimento. Ciononostante , come è accaduto qualche decade fa, (dopo i
Savings and Loan, Dotcom, Enron e altre speculazioni fallimentari), mentre milioni di piccoli speculatori e investitori nel campo immobiliare perderanno miliardi di
dollari, il loro malcontento non troverà nessun riscontro politico. Maggiori le disuguaglianze nel reddito, nelle proprietà e nel benessere tra le elite economiche finanziarie
dell’Impero da una parte, e le retribuzioni nazionali e le classi stipendiate dall’altra, minore il livello dell’organizzazione dell’opposizione politica e sociale.

Nel 2006 gli USA diverranno un paese sviluppato con le maggiori disuguaglianze, con il più prolungato declino del tenore di vita e la nazione meno capace di organizzare una difesa dei diritti sociali, per non parlare di un modello alternativo –contro l’Impero- centrato sull’accumulazione capitalista. In poche parole, la crisi interna dei tenori di vita finanzierà la creazione di un ulteriore impero economico, anziché osteggiarlo.

L’espansione globale degli USA è sostenibile a causa dei cambiamenti fondamentali che stanno prendendo piede in India, Cina, Indo-Cina e nei reami del petrolio del Medio Oriente. Questi paesi hanno abbassato molte barriere nei confronti degli investimenti esteri, joint ventures e anche ai maggiori proprietari di industrie in grande sviluppo, banche e fonti energetiche. Le multinazionali degli USA, quelle Europee e Giapponesi, e le banche accelereranno la loro entrata oltre le teste di sbarco iniziali e si sposteranno in tutti i settori dell’economia, ancor più profondamente: il 2006 segnerà la transizione della Cina da “nazional-capitalista” a un modello di crescita imperialista e nazionale a guida capitalista.

Gli Stati Uniti continueranno col sostituire una guerra aerea a una guerra terrestre in Iraq: per 10.000 truppe ritirate, ci saranno centinaia di attacchi aerei in più. La politica USA nei confronti dell’Iraq è un classico caso di “governare o distruggere” di proporzioni bibliche. Dato che gli USA o i suoi regimi fantoccio non riescono a governare, la politica di Washington sta facendo regredire il paese in un “Afghanistan” di guerrieri etnici e clericali signori della guerra e capi tribù, basato su feudi minori. Il dibattito circa una nuova guerra contro l’Iran non è ancora chiuso a causa delle profonde divisioni di Washington, delle minacce militari israeliane e del processo per spionaggio ai due leader della principale lobby pro-israele, la American Israel Public Affaire Committee. Ci si aspetta che Washington faccia pressione sulle sanzioni economiche del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che con probabilità fallirà a causa del veto di Cina/Russia. Di conseguenza è possibile, specialmente se Netanyahu verrà eletto Primo Ministro, che Israele attacchi i siti di sperimentazione di energia nucleare iraniani, con la complicità del loro partner alla Casa Bianca e al Congresso. L’aggressione israeliana probabilmente scatenerà una serie di guerre di riflesso in Libano, Iraq (incluso l’Iraq ‘curdo’) e oltretutto, condurrà a una escalation di perdite statunitensi indebolendo i regimi satellite di Washington (Arabia Saudita, Giordania, Egitto, etc.)

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A Washington, il Congresso e entrambi i partiti politici verranno ulteriormente screditati, visto che Jack Abramoff, il pentito truffatore lobbista coinvolgerà dozzine di membri del Congresso, leaders politici e funzionari statali in un enorme scandalo di tangenti. Il processo e l’accusa dei leaders del Congresso, specialmente i capi repubblicani del Congresso, potrebbero evitare ogni nuova regressiva e repressiva legislazione dell’essere approvata, ma potrebbero spronare il Presidente nell’ingaggiare un’avventura militare oltreoceano (bombardare l’Iran) per mascherare la crisi.

D’altro canto, un altro intervento militare fallimentare da parte della Casa Bianca, nel contesto di un Congresso screditato guidato da leaders politici criminosi, potrebbe infiammare un movimento di base per l’impeachment.

Un esercito americano indebolito, il declino degli ortodossi clienti neo-liberali, e iniziative diplomatiche fallite nei forum regionali, stanno forzando gli USA verso “compiacenti” politici di centro-sinistra in America Latina. La grande flessibilità di Washington troverà la sua espressione nei continui rapporti ben funzionanti con il Presidente del Brasile, Uruguay, Argentina e probabilmente Bolivia. L’ostilità del Ministero degli Esteri verso il Presidente del Venezuela Chavez, sarà mitigata dalla perdita di leve di potere interne, e dagli stretti rapporti d’affari tra le compagnie petrolifere venezuelane e americane. Gli USA potrebbero non intervenire nelle elezioni di Colombia, Cile, Messico o Brasile perché ognuno dei maggiori candidati è ben addentro l’orbita neo-liberale statunitense.

L’improbabile esito in Perù, dove un ex ufficiale ‘nazionalista’ vicino a Chavez è uno dei principali candidati, è facile che si risolva in un pesante sostegno al candidato conservatore. Washington con tutta probabilità sarà impegnato in alcuni ‘sporchi trucchetti’ dalla retroguardia, nelle elezioni presidenziali in Venezuela, sapendo in anticipo che con ogni probabilità Chavez vincerà con una sostanziale maggioranza.

In altre parole, Washington perderebbe la sua automatica maggioranza votante in America Latina e sarebbe forzata a accantonare molti dei suoi più evidenti tentativi di imporre il proprio dominio economico. Ciononostante, nessuna delle basi militari strategiche e delle considerevoli proprietà finanziarie e di risorse, e del pagamento sostanzioso del debito verrà minacciato dall’elezione di un Presidente di ‘centro-sinistra’. Il principale ammonimento all’esito di questa potenziale “co-abitazione” sarà una riuscita rivolta se il centro-sinistra dovesse perdere: in quel caso Washington interverrà sicuramente con deleghe locali, facendo esplodere un’opposizione regionale.

Riassumendo, il 2006 sarà certamente un anno estremamente variabile e incerto per l’Impero. Le disfatte militari, la crisi del paese, una grande perdita del dollaro e un indebolimento generale della base dell’economia interna, si pongono accanto alla crescente crescita economica d’oltreoceano, a tassi elevati dei profitti finanziari, a una opposizione politica interna estremamente debole e a elite compiacenti in Asia e Sud America. La più grande minaccia alla costruzione dell’Impero non arriva dall’interno e nemmeno dalla competitività del mercato, ma da una possibile guerra in Iran. Anche un attacco israeliano o americano potrebbe far scattare una serie di gravi crisi economiche politiche e militari, che modificherebbero radicalmente tutte le precedenti previsioni e risultati riguardanti la situazione dell’Impero per il 2006.

Il secondo grande scossone in preparazione è la crescita della rivolta popolare contro le mostruose ingiustizie e terribili condizioni di lavoro imposte dalla classe dirigente cinese in alleanza con i capitali esteri. Un ulteriore colpo potrebbe emergere più in là del 2006, se e quando l’attuale boom economico crollerà e minerà la strategia sull’esportazione dei regimi di centro-sinistra in America Latina e Centrale. In quel contesto è probabile che si creerà una nuova ondata di movimenti extra-parlamentari e anti-imperialisti che potrebbero far tremare tutto L’Impero.

James Petras

ex Professore di Sociologia alla Bingham University di New York, è impegnato da 50 anni nella lotta di classe, è consulente per i senzatetto e disoccupati del Brasile ed Argentina ed è co-autore di Globalization Unmasked (Zed)*. Il suo nuovo libro con Henry Veltmeyer, Social Movements and the State: Brazil, Ecuador, Bolivia and Argentina, è stato pubblicato nell’ Ottobre 2005. Per contattarlo: [email protected]
Fonte:www.counterpunch.org
Link:http://www.counterpunch.org/petras01142006.html
14/15.01.06

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LAURA

* “La Globalizzazione mascherata” Jaka Book, 2002

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