LO SPARTIACQUE TURCO TRA EUROPEISMO E AMERICANISMO

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DI GIULIETTO CHIESA

Tra pochi giorni, il 3 ottobre, ripartirà il negoziato per l’ingresso della Turchia in Europa. Riparte azzoppato su entrambe le gambe. Il Parlamento ha ieri votato sì una risoluzione che, tra mille distinguo, autorizza la prosecuzione della trattativa (dimenticandosi, per altro, completamente dei curdi) , ma ha anche approvato, neanche troppo a sorpresa, un emendamento che chiede perentoriamente ad Ankara di riconoscere il genocidio degli armeni perpetrato dai bisnonni dei turchi di oggi. Non sarà impresa facile.
Il primo impallinamento l’avevano dato francesi e olandesi, bocciando il referendum sulla nuova Costituzione (incolpevole perchè nessuno l’aveva letta). In realtà dicendo di no a un’Europa che non piace alla gente perchè – confermano i sondaggi – troppo liberista e troppo poco europea. Il secondo viene adesso da un Parlamento europeo che, a fatica, diviso al suo interno, cerca di ritrovare un collegamento con i suoi elettori.

Ma il dibattito sulla Turchia è stato e rimane pieno di ambiguità. I fautori del “contro” sono divisi in cento cordate, ciascuna diversa dall’altra, non tutte buone, non tutte decenti. Si va dagli xenofobi e dai fascisti alla Borghezio, a quelli che temono che una Turchia in Europa sia un ulteriore colpo alla sua unità e alla sua identità. Anche l’altro fronte, quello del sì, è diviso tra molte motivazioni. Alcune sono chiare come il sole e rappresentano l’idea del mercato: che entrino, così faremo più affari, l’euro avrà un’area d’influenza molto più vasta, inglobiamo, assimiliamo, esportiamo la nostra democrazia, il nostro modello.

Poi ci sono quelli che, dopo aver sostenuto la guerra tra civiltà, vendono e comprano l’idea dell’ingresso turco come bastione e baluardo islamico (ovviamente moderato), a difesa dell’Europa giudaico cristiana. Insomma i turchi come nostri scudi contro la marea terroristico-islamica.

Ma, guarda caso, nessuno dei due schieramenti ha avuto il coraggio, per opposti motivi, di dire tutta la verità. Che invece si è vista bene in trasparenza in tutto il dibattito di questi mesi. E che caratterizza in modo pressochè esclusivo la squadra del consenso all’ingresso turco: il filo americanismo. Il senso è chiaro: l’ingresso turco è un rafforzamento della influenza Usa e del peso della Nato in Europa.

Tutti i sostenitori dell’Europa americana sono da una sola parte. In testa la Bonino esportatrice dei valori occidentali dietro George Bush, di cui ha condiviso tutte le guerre. Gl’inglesi di Blair e gl’inglesi nemici di Blair all’unisono. Tutto l’est Europa, salvo le poche frange di sinistra che riesce a esprimere. Gran parte dei liberali neo liberisti. Una parte non piccola dei socialisti. I verdi trascinati dal Cohn Bendit ultra americano.

Ma, se essere per l’ingresso della Turchia in Europa significa necessariamente essere filo-americani (perchè si capisce bene che, davvero, un ingresso turco indebolirà l’Europa, e quindi piacerà a Washington), il viceversa non vale. Dentro e fuori il parlamento europeo è pieno di gente filo-americana che non vuole la Turchia in Europa e che ingrossa e inquina lo schieramento genuinamente “europeo” con motivazioni nazionaliste e xenofobe di vario grado e tenore. E, paradosso dei paradossi (ma apparente) tutti i francesi, all’unisono, quelli un tempo gelosi della loro grandeur, ora impegnati a difendere l’idea dell’Europa non americana.

Insomma gli “americani d’Europa” non hanno esplicitato la motivazione più profonda che li unisce, mentre i fautori di “un’Europa europea” – quelli decenti, non quelli indecenti – non hanno avuto il coraggio di dire che la Turchia è l’ennesimo cavallo di Troia, dopo quelli che già sono entrati con l’infornata dell’ultimo allargamento.

Così il destino europeo della Turchia – che si definirà comunque non prima di un quindicennio, a meno di rivoluzioni eclatanti – diventa una cartina di tornasole dell’identità europea.

Identità contraddittoria e debole, più debole perfino di quanto non fosse prima dell’allargamento. Perchè degli otto paesi est-europei entrati nel 2004, quattro sono governati dalla destra, uno da una coalizione ibrida (Estonia), tre da coalizioni di sinistra molto moderata. Ma tutti esprimono posizioni incondizionatamente filo-americane. In Polonia il voto recente (risultato di un devastante distacco della gente dalla politica, espresso da un’affluenza alle urne del 40%) ha addirittura cancellato la sinistra, che era stata al governo in tutti questi anni post Solidarnosc. Se si rivotasse oggi per il Parlamento Europeo, con l’aggiunta di Bulgaria e Romania, di prossima acquisizione, lo schieramento sarebbe ancora più a destra di quello attuale.

In queste condizioni, e con la grande coalizione in Germania, un’Europa capace di tenere testa all’Amministrazione di Washington appare sempre meno probabile.

Giulietto Chiesa
Fonte:www.giuliettochiesa.it
Link:http://www.giuliettochiesa.it/modules.php?name=News&file=article&sid=173
2.10.05

 

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