DI SUZANNE MOORE
guardian.co.uk
In tempi difficili, la società
ha bisogno di qualcosa di più che di una terapia basata sul consumo
per risolvere i propri problemi
Una delle molte cose che non mi rendono
una vera e propria donna è che io detesto fare shopping. Entrare
e uscire tutta sudata dai camerini, in compagnia di amici e dover esclamare,
quando loro provano i vestiti, “Oooh” e “Aaah” è quello che
io chiamo inferno. Io sono una di quelle tizie che si siede fuori guardando
annoiata e dicendo: “Sì, questo ti sta bene compralo.” Se
non riesci a comprare qualcosa in venti minuti, abbiamo un problema,
Houston.I supermercati mi sopraffanno e l’Ikea
mi ingenera sbalzi d’umore così bizzarri che il “risparmio” da
conseguire non vale il danno psichico causato dall’andarci. Per qualche
minuto febbrile mi convinco che le “soluzioni per l’ordine”
siano la risposta a tutti i miei dubbi esistenziali, ma poi arrivo alla
cassa reggendo due dozzine di portauova, alcune scatole per documenti
e un tappetino da bagno che è un vero affare e devo essere rianimata
con un hot dog al sapore di plastica.
Oh sì, lo so dovrei saltellare in
giro con un cesto ai mercati biologici comprando roba da produttori
artigianali e vivere in Francia o a Primrose Hill. Ma vorrei ancora
trovare tempo. Questo non è una pura posizione ideologica. Mi piace
avere cose belle e ho lavorato in un negozio, un altro lavoro in cui
sono stata incredibilmente brava. Soprattutto quei lunghi mesi in cui
vendevo anelli di fidanzamento in una gioielleria che ha fatto sembrare
Ratners come Tiffany’s.
Quello che ho profondamente odio è
l’idea che lo shopping, soprattutto per le donne, sia una sorta
di attività di svago. Fare compere per nutrire e vestire una famiglia
è spesso un lavoro di routine, non un dissanguante hobby.
E le vetrine? Guardare cose che non ci si possiamo permettere cos’è?
Masochismo culturalmente legittimato.
Non è divertente e so che non devo
parlare della guerra (le rivolte) o della politica dell’invidia, perché
chiunque si prenda dei beni che gli sono permanentemente mostrati e
pubblicizzati lo fa per pura “criminalità”. Il collegamento
tra una cultura consumistica e il saccheggio è scomodo. Lo nascondiamo
sotto il letto come la merce rubata.
Sicuramente, però, l’elevazione del
consumo come significativo in sé ci sta opprimendo da lungo tempo.
Ci impegniamo a comprare anche se non siamo tutti ricchi. Invece noi
siamo perennemente in ansia per non avere abbastanza o ci lamentiamo
che i nostri figli hanno troppo anche se siamo noi ad acquistare per
loro.
Nessuno parla più di materialismo
per paura di parlare come un marxista. Basta con queste sciocchezze
oppressive! Le argomentazioni contro il consumo vengono dai “verdi”
senza gioia, produttori di beni “etici” o da persone con cani sui
lacci. Non sanno che quando il gioco si fa duro, i duri vanno a fare
shopping? Ma il gioco si è fatto duro. Quando il reddito disponibile
diminuisce, il gioco si fa duro e non possiamo più permettercelo.
Ora, però, lo shopping per
amore dello shopping è un dovere patriottico. La spesa è necessaria
per stimolare l’economia, altrimenti che cosa accadrà?
In realtà è già accaduto, ciò che,
ehm, Marx aveva predetto ne “Il Capitale”: “La ragione ultima
di tutte le crisi reali rimane sempre la povertà e il limitato consumo
delle masse”. Potrebbe non essere più di rigore parlare di povertà
o di masse, ma ciò di cui Marx ha parlato con grande chiarezza è stato
un sistema in cui il mondo sviluppato avrebbe avuto la capacità di
fornire più beni e servizi in quantità maggiori di quelle che il proletariato
potesse comprare. Questo flusso di beni e servizi si espande così come
il numero di persone che, in fondo, non possono permetterseli. Questo
produce una crisi.
Ma, ehi, non dovremmo parlare di Marx
quando abbiamo Mary Portas, che è qui per invertire il declino delle
strade dove sono i negozi più lussuosi. Portas è appassionata e prepotente,
come tutti gli esperti televisivi devono essere. Lei non è un’urbanista,
ma affronta i problemi con schiettezza, e il problema è che un terzo
dei negozi nelle strade più in hanno le saracinesche sprangate.
Le grandi catene hanno ucciso i piccoli negozi e molti usano i negozi
online.
Per me lo shopping online è
una liberazione meravigliosa, mi consente risparmio di tempo e denaro.
Così, in realtà, spendo meno di quanto farei se andassi a fare la
spesa in un supermercato.
Naturalmente, non funziona per molti
di coloro che sono soli e per i quali un giro per i negozi è l’unica
occasione per vedere qualcuno. Portas ha ragione nel dire che a molte
persone piace il Tescofication della Gran Bretagna. Per alcuni è comodo
e conveniente.
Noi in realtà non mettiamo i nostri
soldi dove sono le nostre bocche. Vogliamo eccentrici centri urbani
individuali e al tempo stesso guidiamo verso i parchi di vendita al
minuto.
La crescita – un’altra delle fantasie
che ci sono vendute – dipende dalle piccole imprese. Eppure, ogni parte
di questa crisi è causata da cose che stanno diventando troppo grandi.
Abbiamo bisogno di abbattere le grandi imprese e le grandi banche per
attivare un sistema più equo. E questa è l’ultima cosa che un governo
conservatore liberista farà. Le licenze edilizie continuano a essere
concesse a enormi supermercati che non hanno alcun obbligo di dare qualcosa
alla gente del posto. La cosa migliore offerta è il solito multiplex
redditizio. Dobbiamo fare delle scelte. Non riesco a dispiacermi per
i negozi vuoti quando i senzatetto sono in aumento. Perché la gente
non può essere alloggiata nei centri urbani? Continuiamo ad ammirare
il notevole consumo di una classe sociale, ma nient’altro, quando
la realtà è che semplicemente non abbiamo bisogno di tanta roba. Tuttavia,
questo desiderio insaziabile è costantemente stimolato.
Quando una borsa costa quanto il salario
di un infermiere del nido, sai una cosa? Penso che per alcuni di noi
non ne deve valere la pena. Dire il contrario è una menzogna. L’obsolescenza
programmata dei prodotti elettrici è oscena, come quella della cosiddetta
“moda”. Grazie a Dio che l’usato, ora chiamato “vintage“,
è tornato.
I consumi eccessivi ci si ritorcono
contro in ogni modo, dall’obesità, al debito, alla miseria assoluta.
Stranamente, tutti gli indici di felicità mostrano che riducendo piuttosto
che ampliando la scelta dei consumatori si abbatte l’ansia. La nostra
identità deve essere forgiata da qualcosa di diverso da ciò che acquistiamo.
La prossima settimana aprirà una nuova
Westfield. Non è nella zona ovest di Londra, è a est, a Stratford.
Sarà lì per incassare durante le Olimpiadi. È di questo che questa
zona svantaggiata ha davvero bisogno? Un altro gigante, il centro commerciale
senza pelle che ha esattamente gli stessi negozi uguali dappertutto?
Forse questo spazio volutamente disorientante dal punto di vista sociale
sarà un luogo di connessione e di speranza. Forse offrirà qualcosa
alla gioventù locale di diverso da una costosa pista da bowling,
una multisala e alcuni posti di lavoro con salario minimo. Come tutti
questi edifici in eccesso, dovrà essere totalmente monitorato e sorvegliato.
Dire che durante i disordini la gente ha rubato le merci che gli avrebbero
garantito una bella vita non è un modo di difenderli. La loro povertà
di ambizione era personale e politica. Una TV al plasma e un paio di
scarpe da ginnastica. Difficilmente il materiale dei sogni, ma di una
fantasia strangolata alla nascita.
Tutti i discorsi di privazione dei
diritti e la mancanza di appartenenza sono addebitate, a volte mortalmente,
al consumo. I mercati sono fuori controllo. Quindi lo siamo anche noi.
Potremmo valutare ciascuno di noi in base a qualcosa di diverso da ciò
che compra. Potremmo dire meno è meglio. Potremmo lasciare i negozi
chiusi. Si potrebbero abbattere i monopoli. Solo una società profondamente
turbata potrebbe pensare che lo shopping possa essere una cura.
Lo shopping non salverà le nostre anime. Stiamo illudendoci
in questo modo da troppo tempo.
Fonte: Shopping is not a hobby and it’s not a patriotic duty, either
09.09.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSIA