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DEL NUOVO ORDINE MONDIALE

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DI FRANCESCO LAMENDOLA
Edicolaweb

Nell’ormai lontano 1970 lo scrittore newyorkese Alvin Toffler pubblicava un libro singolarmente profetico, “Future Shock”, che, nonostante le molte traduzioni straniere (1), è stato rapidamente dimenticato dopo un breve momento di celebrità.

Si tratta, ripetiamo, di un libro per molti aspetti profetico: la drammatica collisione che milioni di uomini e donne avrebbero dovuto affrontare (ma che ormai “hanno” dovuto affrontare) con un radicale e rapidissimo mutamento nelle forme della vita individuale e collettiva.

Trasferimenti massicci di popolazioni, precarietà del posto di lavoro, iperspecializzazione a tutti i livelli, velocità insostenibile del “progresso” scientifico che rende obsoleto ciò che fino a ieri sarebbe parso avveniristico, difficoltà – soprattutto – di adeguarsi ai nuovi frenetici ritmi della vita “moderna”, in quanto manca il tempo materiale perché il corpo e la psiche possano sostenere il cambiamento e ri-programmarsi in funzione di esso.

I rischi, ammoniva Toffler, era altissimi: la disintegrazione dei valori tradizionali avrebbe fatto sì che gli uomini si aggirassero come estranei e stravolti in un mondo irriconoscibile, simili ai sopravvissuti ad un devastante bombardamento aereo che, usciti dai rifugi, non riconoscono più nemmeno la strada di casa.
Il “futuro”, allora, rischia di diventare una vera e propria patologia, il cui esito potrebbe essere una forma di follia collettiva se non addirittura il collasso dell’intera umanità.Toffler, quindi, nella “pars costruens” del suo voluminoso saggio (2), proponeva di elaborare una sorta di “futurismo sociale”, allo scopo di prevenire la marcia verso la disintegrazione morale e psicologica. Egli partiva da una constatazione piuttosto semplice: quando il ritmo del mutamento è troppo veloce (o troppo lento), la psiche umana non riesce più a utilizzare positivamente gli stimoli che le provengono dal mondo esterno e va in blocco, come accade, significativamente, nelle situazioni da stress bellico.
Si tratta di una realtà ben nota agli psicologi, che era stata studiata durante la seconda guerra mondiale e, ancor più, durante la guerra di Corea, quella del Vietnam, ecc.
Vale la pena di citare una pagina di questo libro straordinario (p. 341-343):

«Se lo shock del futuro fosse soltanto una questione di disturbi fisiologici, sarebbe più facile prevenirlo e guarirlo. Ma lo shock del futuro aggredisce anche la psiche. Così come il corpo cede sotto la tensione dell’eccesso di stimolo ambientale, la “mente” e i suoi processi decisionali si comportano capricciosamente quando sono sovraccarichi. Facendo funzionare in modo indiscriminato i motori del mutamento, possiamo minare non soltanto la salute di coloro che meno sono in grado di adattarsi, ma la loro stessa capacità di agire razionalmente a proprio favore.
Gli indizi impressionanti del tracollo confusionale si vedono ovunque intorno a noi, il ricorso sempre più diffuso agli stupefacenti, l’affermazione del misticismo, le ripetute esplosioni di vandalismo e di cieca violenza, le politiche del nichilismo e della nostalgia, l’apatia malata di milioni di individui, tutti questi fenomeni possono essere meglio compresi riconducendone il rapporto con lo shock del futuro. Tali forme di irrazionalità sociale possono benissimo rispecchiare il deterioramento della capacità dell’individuo di prendere decisioni in una situazione di iperstimolazione ambientale.
Psicofisiologi, studiando l’impatto del mutamento su vari organismi, hanno dimostrato che un adattamento riuscito può determinarsi soltanto quando il livello della stimolazione – la quantità di mutamento e di novità nell’ambiente – non è né troppo basso né troppo alto. “Il sistema nervoso centrale di un animale superiore – dice il professor D. E. Berlyne dell’università di Toronto – è fatto per tener testa ad ambienti che producono una certa quantità… di stimoli… Logicamente, non può rendere al massimo in un ambiente che lo sottopone a uno stress eccessivo o a un sovraccarico”. Egli sostiene la stessa tesi per quanto concerne ambienti che producono un’eccessiva scarsità di stimoli. Effettivamente, gli esperimenti compiuti con cervi, cani, topi e uomini dimostrano tutti, in modo non equivoco, l’esistenza di quella che potrebbe esser definita una “gamma di capacità di adattamento”, al di sotto e al di sopra della quale la capacità dell’individuo di far fronte alle situazioni viene meno semplicemente.
Lo shock del futuro è la reazione dell’eccesso di stimoli. Si determina quando l’individuo è costretto ad agire al di sopra della propria capacità di adattamento. Ricerche notevoli sono state dedicate allo studio dell’impatto di mutamenti e novità in misura inadeguata sul comportamento umano. Studi di uomini in isolati avamposti antartici, esperimenti in fatto di privazione sensoriale, indagini relative al rendimento sul posto di lavoro delle fabbriche, tutte queste ricerche dimostrano un venir meno delle capacità mentali e fisiche come reazione a una stimolazione inadeguata. Disponiamo di meno dati diretti per quanto concerne l’impatto dell’eccesso di stimoli, ma quelle prove che esistono sono drammatiche e sconvolgenti.
I soldati in battaglia vengono spesso a trovarsi intrappolati in ambienti che vanno mutando rapidamente, che sono sconosciuti e imprevedibili. Il soldato viene sballottato da un lato e dall’altro. Granate scoppiano da tutte le parti. Proiettili sibilano capricciosamente in tutte le direzioni. Razzi illuminano il cielo. Urla, gemiti ed esplosioni gli colmano le orecchie. Le circostanze cambiano di attimo in attimo. Per sopravvivere in ambienti così iper-stimolanti, il soldato è costretto ad agire ai limiti superiori della propria gamma di capacità di adattamento. A volte viene spinto anche al di là dei suoi stessi limiti.
Durante la seconda guerra mondiale, un barbuto soldato chindit, combattendo con i reparti del generale Wingate dietro le linee giapponesi in Birmania, si addormentò, effettivamente, mentre una tempesta di pallottole di mitragliatrice si abbatteva intorno a lui. Studi successivi rivelarono che questo soldato non si limitava a reagire alla stanchezza fisica o alla mancanza di sonno, ma si arrendeva a un senso di travolgente apatia.
Lo sfinimento che invitava alla morte era così comune, in effetti, tra i guerriglieri penetrati in profondità dietro le linee nemiche, che i medici militari inglesi gli attribuirono un nome. Lo denominarono “fatica di penetrazione a lungo raggio”. Il soldato che ne soffriva diventava, così si espressero, “incapace di fare la cosa più semplice nel suo stesso interesse e sembrava avere l’intelligenza di un bambino”. Questo letargo mortale, per giunta, non era limitato ai guerriglieri. Un anno dopo l’episodio del chindit, sintomi analoghi affiorarono in massa tra le truppe alleate che invasero la Normandia, e i ricercatori inglesi, dopo aver esaminato 5.000 casi di militari britannici e americani, pervennero alla conclusione che la strana apatia era semplicemente la fase finale di un complicato processo di tracollo psicologico.
Il deterioramento mentale incominciava spesso con la stanchezza. Ad essa seguivano confusione e irritabilità nervosa. L’uomo diventava ipersensibile agli stimoli più lievi intorno a lui. “Passava alle parolacce” alla minima provocazione. Tradiva indizi di smarrimento. Sembrava incapace di distinguere il rombo del fuoco nemico da altri suoni meno minacciosi. Diveniva teso, ansioso e focosamente irascibile; i i suoi camerati non sapevano mai quando si sarebbe abbandonato all’ira, o addirittura alla violenza, reagendo al più piccolo fastidio.
Poi si instaurava la fase ultima della spossatezza emotiva. Il soggetto sembrava perdere la volontà stessa di vivere. Rinunciava alla lotta per salvarsi, per guidare razionalmente se stesso nella battaglia. Diveniva, per citare le parole di L. R. Swank, che diresse gli studi inglesi, “ottuso e svogliato… mentalmente e fisicamente ritardato, preoccupato. Persino la sua espressione diveniva spenta e apatica. La lotta per adattarsi si era conclusa con la disfatta. Veniva raggiunta la fase del disinteresse totale”.
Il fatto che gli uomini si comportano irrazionalmente, agendo contro il loro stesso ovvio interesse, quando vengono gettati in situazioni di estremo mutamento e di novità, è dimostrato altresì dagli studi dei comportamenti umano nel caso di incendi, alluvioni, terremoti e altre crisi. Anche gli individui più stabili e normali, fisicamente illesi, possono precipitare in stati di anti.-adattamento…»

Una frase, nel brano sopra citato, merita di essere particolarmente evidenziata: “Facendo funzionare in modo indiscriminato i motori del mutamento, possiamo minare non soltanto la salute di coloro che meno sono in grado di adattarsi, ma la loro stessa capacità di agire razionalmente a proprio favore.”
Ora, la modernità ci impone già, per la sua stessa logica, tutta una serie di shock da adattamento al futuro (o di mancato adattamento, per esser più precisi), e ciò in conseguenza di un massiccio e ossessivo bombardamento dei sensi, dell’informazione, di stress decisionale, tanto da aver prodotto delle patologie diffusissime, di cui non v’era traccia fino a qualche decennio fa (particolarmente stati ansiosi e depressivi, malattie cardiocircolatorie, dipendenza da pesanti quantitativi di psicofarmaci, ecc.) e di cui non v’è traccia nelle società pre-moderne (laddove sussistono ancora).
Se oltre a questo qualcuno decidesse – facciamo una pura ipotesi – di premere deliberatamente sul pedale dell’acceleratore del mutamento, ad esempio nel quadro di ricerche di tipo militare o farmacologico o aziendale, si può bene immaginare come tutta una fetta della popolazione mondiale verrebbe automaticamente scagliata al di là della propria soglia di capacità adattativa, provocando un corto circuito psico-fisico dagli effetti devastanti.

L’opinione pubblica rimane sconvolta, ma in maniera superficiale, da fatti come le stragi indiscriminate compiute da singoli individui, con delle motivazioni assolutamente sproporzionate, all’interno dei campus universitari statunitensi.
Forse sono in pochi a sapere che la fanteria argentina, nella battaglia finale per il possesso delle isole Falkland/Malvine, gettò le armi e si arrese in massa non per codardia o inadeguata preparazione, ma perché terrorizzata e inebetita dagli effetti di una micidiale arma ad ultrasuoni, che creava uno shock psico-somatico insopportabile in coloro che ne venivano colpiti.
A questo punto, la domanda è: non potrebbe darsi che una parte almeno degli episodi di “ordinaria follia”, di cui sono piene le cronache e, da qualche decennio, anche le sale cinematografiche, siano in realtà pilotati da qualche potere il cui interesse è quello di testare nuovi sistemi per affrettare ed aggravare gli effetti, già di per sé drammatici e devastanti, del “normale” ( si fa per dire) shock del futuro?

Vorrei citare il caso di una persona gioviale, ricca d’interessi, molto dinamica e impegnata sia nella vita lavorativa che al di fuori di essa, la quale improvvisamente, e senza alcun apparente segnale premonitore, si è gettata dal balcone al quinto piano di una camera d’albergo.
Nulla, ripetiamo, avrebbe lasciato presagire un gesto simile in quanti la conoscevano; le classiche analisi di Durkheim sulla psicologia del suicidio avrebbero fatto un buco nell’acqua, applicate a un caso del genere. Eppure, dopo il tragico gesto è venuto in luce che quell’uomo, separato e con una figlia molto amata, aveva meticolosamente programmato la propria morte: aveva lasciato pagine di spiegazione e di disposizioni minuziosissime, e aveva perfino allineato le scarpe sotto il davanzale della finestra, prima di gettarsi nel vuoto.
Non un gesto d’improvvisa follia, quindi, ma un atto lungamente e scrupolosamente preparato da chissà quanto tempo. E fatti del genere, purtroppo, accadono con frequenza sempre maggiore.
Si sarebbe portati a credere che qualcosa o qualcuno si muovano dietro le quinte di tali forme di apparente pazzia violenta, diretta o contro i propri simili, o contro se stessi.

Fino a qualche decennio fa, invecchiare non rappresentava un trauma particolarmente drammatico: era una legge della natura.
L’anziano vedeva morire a poco a poco le persone care o semplicemente i coetanei; vedeva, anche, mutare più o meno lentamente il paesaggio circostante, sotto forma di una graduale ritirata della dimensione paesana e naturale davanti all’avanzare del cemento e dell’asfalto; e tuttavia aveva la sensazione che ciò rientrasse nell’ordine naturale delle cose.
Le cose e le persone andavano, i valori e le certezze rimanevano: nell’esistenza di un Dio provvidente, nell’unità della famiglia, nei vincoli sociali e morali, nella sicurezza del posto di lavoro, nel rapporto necessario fra diritti e doveri, fra libertà e necessità.
Oggi non più: le cose cambiano troppo in fretta, il mondo delle cose care e quello degli affetti si sgretolano sotto gli occhi sgomenti dell’anziano, o anche, semplicemente, della persona di mezza età.
Tutto si trasforma incessantemente, non c’è più nulla di stabile.
La vedova con molti figli si risposa e forma una nuova famiglia, come nulla fosse stato (almeno in apparenza); la casa dei genitori o dei nonni, appena ricevuta in eredità, viene venduta con fretta indecente, per ricavarne denaro liquido o per acquistare un appartamento in centro, più moderno e più comodo.
Se i morti ritornassero appena qualche mese dopo la loro dipartita, avrebbero delle sorprese assai tristi e forse crederebbero di esser scivolati in un incubo.

Perfino i giovani cominciano ad avere qualche problema a tenere il passo di questo “sviluppo” sempre più frenetico: i bambini, ormai, ne sanno molto più di loro in fatto di computer o di telefonini dell’ultima generazione.
Insomma, chi si volta indietro a guardare alla propria vita anche soltanto di pochi ani prima, ha la netta sensazione che non già le cose e le persone stiano cambiando nel mondo, ma che il mondo si sia messo in movimento a velocità folle, trascinandoci tutti nella sua pazza corsa, anche quelli che inciampano, anche quelli che si smarriscono e vanno ormai completamente a tentoni.
Già, perché molti, ormai, anzi troppi vanno a tentoni: e magari sono proprio quelli che dovrebbero guidare la società.
Sconvolti da una forma di pazzia che non sanno riconoscere, agiscono come posseduti da una forza estranea (una forza, sia chiaro, non certo benefica), e in tale stato di allucinazione o di vera e propria ossessione pretendono di governare le aziende e le città, di dirigere gli affari in borsa, di progettare e costruire palazzi e quartieri, di promuovere l’informazione e la cultura, o semplicemente di gestire la propria vita e quella dei propri familiari.

In realtà, sono dei dormienti che vagano in stato di sonnambulismo e, quel che è peggio, alla guida di potenti automobili: è impossibile che prima o poi non si facciano del male e non facciano del male ad altri.
Eppure è proprio questo che avviene: l’intera società “moderna” sembra sprofondata in un incubo ad occhi aperti, in una lucida forma di alienazione totale; e coloro che per primi avrebbero dovuto accorgersene, medici e psicologi, non hanno visto e capito nulla. Anzi, prescrivendo sempre più farmaci di sintesi e avviando sempre più pazienti a quella forma di magia nera che è la psicanalisi, hanno dato un contributo non indifferente alla diffusione del male.
Se a tutto questo aggiungiamo il sospetto – certo, è solo un sospetto, ma non privo di indizi inquietanti – che qualche gruppo di potere o qualche istituzione deviata intendano sfruttare questa situazione esplosiva per accelerare gli effetti dirompenti dello “shock da futuro”, usando i comuni cittadini come altrettanto cavie telecomandate (raccapriccianti sono, ad es., gli esperimenti sui messaggi subliminali, che possono trasformare chiunque in un omicida o in un suicida “a comando”), allora il quadro si fa veramente fosco.
Ci si potrebbe chiedere “cui prodest” una strategia così diabolica, posto che essa realmente esista.
La risposta è: a coloro che vogliono preparare la venuta dell’Anticristo.
Nessuno si scandalizzi per un’affermazione così netta: non è necessario interpretare il libro dell’Apocalisse alla lettera, né scomodare la sceneggiatura di qualche film horror a base “complottista”.
L’Anticristo, inteso come l’incarnazione del Male (che esiste, eccome!, e proprio con la “M” maiuscola), forse è già qui in mezzo a noi…

Quello che è certo, è che da sempre vi sono gruppi occulti, sette, circoli che non desiderano altro che di affrettare il suo avvento. Essendo posseduti da forze malefiche, costoro non si rendono conto, forse, di servire dei Superiori Sconosciuti che, in ultima analisi, non sono creature umane.
Qualcuno avrà sentito parlare del “Gruppo Bilderberg” o della “Commissione Trilaterale”; qualcuno avrà letto qualche servizio sulle infami riunioni dei potenti della Terra che hanno luogo, una volta l’anno, nel Bosco Boemo, presso Sonoma in California, ai pedi di una colossale statua di gufo; qualche altro avrà sentito parlare di sparizioni misteriose di esseri umani, di satanisti ad alto livello che praticano la magia nera, di intrecci inquietanti fra un certo tipo di esoterismo deteriore, politica, affari e crimine organizzato; altri, infine, sapranno qualcosa di certi gruppi musicali che esaltano apertamente i demoni, la distruzione, la morte e ogni forma di violenza.
Certo, sono soltanto indizi: ma messi insieme, non sono poi cosa del tutto trascurabile; al contrario.

Dopo aver detto queste cose, ricordiamoci comunque che la protezione più efficace contro l’epidemia della modernità, che tante vittime inconsapevoli sta mietendo, ci viene essenzialmente da due cose: la capacità di conservare le nostre facoltà critiche, vigilando attentamente sui mille veleni fisici e psichici che la modernità impazzita vorrebbe farci inghiottire, come fossero normali bevande per togliere la sete; e quella di ricaricare le esauste batterie di cui abbiamo bisogno, nella nostra vita quotidiana, collegandoci a una fonte di energia che non è soggetta al capriccio del black-out né, tanto meno, al rincaro del listino petrolifero.
Ciascuno la deve trovare, una tale Sorgente: solo allora potrà sperare di ritrovare il terreno solido sotto i piedi, e di non venire più sballottato “come nave sanza nocchiero in gran tempesta”.

Francesco Lamendola
([email protected])
Fonte: www.edicolaweb.net
Link: http://www.edicolaweb.net/dimen12a.htm
Dicembre 2007

Note:

1. Quella italiana è del 1971, Rizzoli Editore, traduzione di Bruno Oddera.
2. 550 pagine nell’edizione italiana.

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