LO SCONTRO DEI POTERI

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DI MASSIMO FINI

Non ho dubbi che questa vicenda dei Ricucci, dei Fiorani, degli Gnutti, dei Fazio, dei Consorte, dei Sacchetti, dei Bellaveglia, degli Imbert, dell’Antonveneta, della Bnl, della Popolare Italiana, del Monte dei Paschi, della Hopa Holding, della Unipol, della Rcs, del Corriere della Sera, di cui, probabilmente, il cittadino normale capisce pochissimo, nasconda uno scontro fra vecchi potentati dell’economia e della finanza e nuovi raiders rampanti, dove i primi cercano di sbarrare la strada ai secondi accusandoli, attraverso i giornali che controllano e facendosi forza delle inchieste della Magistratura, di quelle malefatte che essi stessi hanno sempre commesso.Tuttavia quello che emerge dall’inchiesta giudiziaria e dalle intercettazioni telefoniche è che esiste, non da oggi ma da sempre, un mondo economico, finanziario, bancario, politico, giornalistico che, mentre noi, cittadini peones, lavoriamo, agisce nell’ombra, al di fuori delle regole e delle leggi che noi siamo invece tenuti a rispettare (pensiamo solo, tanto per fare il più piccolo degli esempi, alle linee di credito che certi soggetti, appoggiati politicamente e magari trasversalmente, ottengono dalle banche, mentre ognuno di noi sa “di che lacrime grondi e di che sangue” la semplice richiesta di un modestissimo mutuo).

Questa vicenda sembra la dimostrazione sul campo, e “in corpore vili”, di quanto sostengo nel mio libro “Sudditi”, dove dico che la democrazia è un sistema di minoranze organizzate, di oligarchie politiche ed economiche che, impadronitesi delle Istituzioni, schiacciano il cittadino comune, sia manipolando a piacere queste stesse Istituzioni, sia agendo nel vasto e indeterminato campo degli abusi e dei soprusi, non legali ma neanche così apertamente illegali da consentire l’intervento della Magistratura” (si pensi solo all’occupazione della Tv di Stato ad opera dei partiti), infine, operando del tutto al di fuori delle leggi e in modo criminale, sicure dell’impunità consentita, appunto, dall’intreccio dei legami, personali, feudali, clientelari, che coinvolgono interessi enormi, che corre fra questi mondi e anche con quello del giornalismo ad essi asservito.

È un problema che riguarda tutte le democrazie che sono, storicamente e statisticamente, i regimi più corrotti. Perché non sono democrazie, ma aristocrazie mascherate che, oltretutto, a differenza delle aristocrazie storiche sono prive di qualsiasi qualità specifica e libere da ogni obbligo (il signore feudale deve perlomeno fare la guerra al posto del contadino, oggi è invece il cittadino a dover prendere le armi e comunque a correre i rischi di una guerra per gli interessi di lorsignori). Il problema, quindi, è generale. Ma in Italia assume una particolare gravità e spudoratezza. Per ragioni storiche (l’Italia è un Paese intimamente mafioso, particolarità che le deriva dal suo atavico familismo, e il vero “made in Italy”, esportato in tutto il mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, è la Mafia) e per ragioni che si collegano al nostro passato più recente. È ovvio che un Paese che in soli dieci anni riesce a ribaltare la stagione di Mani Pulite e di Tangentopoli, mettendo alla gogna i magistrati, riabilitando i ladri e trasformandoli in giudici dei loro giudici, non può che precipitare in una corruzione capillare, diffusa, impunita e impunibile. Chi mai, in Italia, se non un fesso o un impotente, può sentirsi in dovere di rispettare la legge che tutti intorno a lui violano a cominciare da quella che dovrebbe essere la sua classe dirigente? E si va verso l’ancor peggio. L’attuale premier, l’onorevole Berlusconi, si è indignato non per il marcio che è emerso in questi giorni ma per le inchieste della magistratura e le intercettazioni telefoniche che lo hanno portato alla luce.

Ora, quello della pubblicazione delle intercettazioni è certamente un problema, però di quart’ordine rispetto alla sostanza, cioè alla corruzione dilagante. Ma Berlusconi ha promesso di scrivere di proprio pugno una legge per “limitare le intercettazioni ai casi di mafia e di terrorismo”. In tutti gli altri le intercettazioni saranno vietate a tutti, anche alla Magistratura, e chi le farà o le pubblicherà incorrerà in una pena che va dai cinque ai dieci anni…, che vuol dire, di fatto, l’impossibilità pressoché assoluta di indagare sugli affari sporchi, illegali e criminali del sistema politico, economico, finanziario e bancario. E il premier ha ribadito il concetto affermando che “queste incursioni giudiziarie bloccano la Borsa, le società e il mercato. Sono cose alle quali si dovrà porre rimedio, prima o poi. Spero più prima che poi”. Insomma il business, anche se illegale e criminale, va difeso comunque, a costo di far crollare a zero l’etica pubblica.

Dubito che un Paese del genere possa reggere a lungo. Anche perché, “prima o poi, più prima che poi”, se tutti rubano e fanno i furbi viene a mancare la “trippa per i gatti”, il “parco buoi”, cioè la massa delle persone da taglieggiare, tosare, vessare. E l’attuale situazione economica italiana dice che siamo già oltre il punto critico. Anche se, per qualche tempo ancora, andremo a celebrare lo stanco rito delle elezioni che hanno l’unica funzione di legittimare le oligarchie politiche ed economiche a continuare a fare in pace i loro malaffari, in barba ai cittadini, ma potendo, anzi, godere del loro consenso formale.

Massimo Fini
Fonte:www.gazzettino.it
10.08.05

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