L'ITALIA STA ANDANDO A FONDO: CHE FARE ?

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DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com

Il dato era “inatteso” dalla classe politica dominante: eppure, quel 1,2% di calo della produzione industriale a Giugno[1], sul precedente mese di Maggio, racconta che quello che tutti, oramai, abbiamo compreso.
Forse meno coinvolta dalla crisi finanziaria internazionale – giacché l’Italia era Paese arretrato nelle alchimie finanziarie – oggi, con quasi il 20% della produzione industriale persa in un solo anno, il Belpaese vede spalancarsi la porta del baratro.
Quelli che stanno venendo al pettine non sono i frutti della crisi internazionale, ossia non sono le cause dirette di quella colossale truffa, bensì le debolezze interne dell’Italia/Paese, la sua cronica arretratezza. Quando il gioco si fa duro – si narra – i duri emergono: i vasi di coccio, spariscono e tornano ad esser terra.
Verrebbe quasi da dire, parafrasando un sillogismo dell’antica cristianità: memento Italia, quia pulvis es et in pulverem reverteris.

Fin qui niente di nuovo, ma alcuni articoli comparsi ultimamente su CDC cantavano praticamente la medesima canzone: pur essendo informati sulle cause, e conoscendo anche qualche rimedio, non siamo in grado di far nulla.
Il senso degli articoli di Paolo Barnard – sappiamo tutto, ma non sappiamo come realizzarlo – oppure di Badiale e Bontempelli – dobbiamo organizzarci, ma attenzione alle false sirene – è praticamente il medesimo: chi legge sul Web, spesso, s’è fatto un’idea molto precisa su quanto sta avvenendo e, anche senza ricevere “imbeccate”, sa riconoscere da solo la natura degli eventi politici.
Ad esempio: per la gran parte della persone, l’anomala crescita del prezzo della benzina è dovuto ad una semplice “truffa” a danno dei consumatori. Se, invece, si sa che Scaroni fu socialista al pari di Sacconi, Brunetta, Cicchitto (e Berlusconi, più defilato ma presente) è facile comprendere che, attraverso l’ENI, stanno facendo cassa. Non possono più, come ai tempi della DC, aumentare le accise sui carburanti per il Vajont: lo fanno in modo surrettizio, mascherato, ma è la stessa politica. Domani, s’inventeranno una Robin Tax 2, così gli estimatori di Tremonti saranno soddisfatti.

Anche sull’energia, quanti articoli sono stati pubblicati?
C’è chi crede nel mutamento climatico causato dall’Uomo, chi preferisce addossarlo a cause naturali, ma su un punto tutti sono d’accordo: possiamo contare sui combustibili fossili per circa mezzo secolo, sul nucleare (forse) per qualche anno in più, ma la frittata è questa, non un’altra. Senza considerare che il 5% della produzione petrolifera è destinata ad usi petrolchimici.
Tutto il Pianeta sta interrogandosi sulle rinnovabili, sperimenta, costruisce, installa: in Francia e Gran Bretagna installano turbine eoliche ed idroelettriche addirittura nella città[2], in Irlanda piazzano idrogeneratori da 1,2 MW in mare[3], il primo dirigibile totalmente autosufficiente (i motori sono alimentati da celle fotovoltaiche) attraverserà la Manica a fine Agosto 2009[4]. E potremmo continuare con una sfilza di eccetera, eccetera, eccetera…
Intanto, nella bella Italia, la “bella pensata” è quella di costruire centrali nucleari, senza sapere chi caccerà i soldi (tanti), se ci sarà ancora Uranio (soprattutto, a quale prezzo!) e senza aver risolto il problema delle scorie. Dobbiamo ancora trovare posto per quelle d’antica data (Trino Vercellese, ecc) e ne vogliamo creare di nuove?
Non riflettono nemmeno per un attimo che la produzione eolica (non la potenza installata!), negli USA, da un paio d’anni ha superato quella di fonte nucleare, non prestano orecchio agli investimenti cinesi (la metà nell’eolico), fanno orecchie da mercante sulla Kitegen di Chieri[5], che ha già iniziato la sperimentazione sull’eolico d’alta quota – solo tre aziende al mondo ci lavorano, USA, Olanda ed Italia – e per una volta saremmo fra i primi. Basta? No, perché, con un modestissimo investimento della Regione Lazio[6], strutture universitarie pubbliche sono all’avanguardia nella progettazione delle celle fotovoltaiche che usano pigmenti organici (resa più bassa, ma costi irrisori) ed anche qui sono in pochi a farlo: USA, Nuova Zelanda e pochissimi altri.

Una delle critiche portate dai lettori agli articoli di Barnard, Badiale e Bontempelli (di qui in avanti, per comodità, B + B&B) è stata che la coscienza del disastro – economico, industriale, ambientale, sociale, giuridico – italiano è patrimonio di pochi. Il che, in parte è vero. Ma solo in parte: ci spieghiamo.
Se consideriamo le truffe sulla moneta, quelle finanziarie, i “giochi delle tre carte” di Tremonti, le “danze dei grembiulini” e quant’altro, è probabilmente vero; siamo mosche bianche, ma così è sempre stato: da quando mondo è mondo, i movimenti nascono dalle avanguardie.
Non dimentichiamo, però, che questo Governo – che a suo dire passa di successo in successo ed è appoggiato da proporzioni “bulgare” – è votato solo da 3 italiani su 10. E gli italiani che appoggiano il nucleare sono una minoranza, solo il 37%, che si riducono ai soliti 3 su 10 se devono accettare una centrale nucleare sul loro territorio.
Ciò non è dovuto soltanto all’antico “terrore” per l’Atomo, ma anche alla riflessione che – in materia energetica – o si cercano vie nuove o si va a fondo: questo, l’hanno compreso in tanti.

“Per il Bene Comune” ha lanciato una raccolta di firme per bloccare l’assurda idea berlusconiana di costruire il nucleare quando tutti già pensano ad altro, e bisognerebbe che questa raccolta di firme, domani, si trasformasse in un movimento referendario.
Si potrà obiettare che i referendum hanno stufato, che la Casta gioca sull’assenteismo per depotenziarli, che la Magistratura competente potrebbe non accettare i quesiti – ma sarebbe difficile, perché c’è ancora l’ombra del referendum del 1987 – però, un movimento referendario che chiedesse una inversione di 180° in materia energetica, avrebbe buone possibilità di successo. Come movimento, certamente: il risultato, poi, con le alchimie di Palazzo, potrebbe svanire, ma rimarrebbe una battaglia importante, catalizzatrice e concentratrice di comuni interessi, che vanno oltre la pura e semplice querelle energetica.
Sarebbe una battaglia dove si sta da una parte o dall’altra, senza ripensamenti, come per Vicenza. Sei contro la base? Bene, sei con noi. Sei contro la base “ma il mio partito…”: accomodati da un’altra parte.

B + B&B propongono attivismo per giungere alla creazione di un movimento, non nascondendo (i secondi) la necessità di trovare finanziamenti: è tutto vero, ma dubito che si riescano (per ora) a trovare soldi per andar contro la corazzata di regime.
Per prima cosa, bisognerebbe far capire che – se ci mettiamo d’impegno, anche solo dal Web, per ora – possiamo far male, molto male ai loro perversi interessi d’accentramento di capitali a danno delle classi meno abbienti. E, la politica energetica, ne è un esempio lampante. Non crediate che il Web non faccia opinione: è ciò che più preoccupa la Casta, non certo i belati parlamentari ed extraparlamentari.
Quanto stanno truffando – oggi, mentre scriviamo – nelle nostre tasche ai distributori di carburante? Quanto ci trufferanno, durante la stagione invernale, con i contatori del metano “taroccati” – guarda a caso – sempre a loro favore? Oppure immettendo CO2 nelle tubazioni, con la scusa di mantenere la pressione d’esercizio? Quando una rete complessa – in casa non ce ne possiamo accorgere – viene rimessa in eser
cizio solo nella stagione invernale, “sbuffa” anidride carbonica per un buon quarto d’ora.

Questi sono soltanto dati tecnici – sempre a loro favore, sotto l’aspetto economico – ma c’è di più: perché la gestione delle rinnovabili non può diventare pubblica? Perché ENI ed ENEL si guardano bene dal promuoverle e si limitano sempre alle energie non rinnovabili? Lo sappiamo: in un sistema finito (fossili ed Uranio) si controlla più facilmente il mercato. Di fronte all’infinito delle rinnovabili, la cosa è più complessa.
Ecco, allora, una “leva” dalla quale partire per creare delle aggregazioni, un movimento che chieda la gestione energetica del Paese non più nelle mani di pochi oligarchi, bensì in mano pubblica – in un nuovo “pubblico”, non certo dalle parti di Scaroni – anche se la spicciola gestione tecnica potrà essere affidata ai privati.

Abbiamo già chiarito – cifre alla mano – in precedenti articoli come sarebbe possibile ricavare più del 40% dell’energia elettrica[7] soltanto da tre campi eolici off-shore posizionati al largo della Puglia, della Sicilia e della Sardegna, senza nessun problema ambientale: invisibili da terra. Un’elaborazione compiuta su dati del CESI, non chiacchiere: altro che il misero 20% delle centrali di Berlusconi, dopo il 2020 (!).
L’investimento necessario sarebbe di circa 5 miliardi di euro per 10 anni, ma il primo aerogeneratore inizierebbe a fornire energia subito, non dopo il 2020!
Come raccogliere una simile cifra?
Con l’azionariato pubblico garantito dallo Stato.
La convenienza economica del sistema eolico è acclarata, tanto che ovunque il mercato s’espande in modo iperbolico, anche al netto dei Certificati Verdi.
Grazie agli utili, sarebbe possibile fornire un rendimento ben superiore agli attuali bond in circolazione, con la garanzia dello Stato, giacché si tratta di un mercato che non può riservare sorprese.
Gestendo in modo oculato la collocazione dei bond – nominativi, piccolo taglio delle emissioni, “tetti” che impediscano l’accentramento dei bond stessi, controllo delle emissioni affidato alla Magistratura ed alla Corte dei Conti – essi diventerebbero una vera “ancora di salvezza” per i risparmi delle classi meno abbienti. Di più: la vendita d’energia, creerebbe comunque utili.
Bene: il 20% degli utili sarebbe destinato alla ricerca in campo energetico ed il rimanente 80% diventerebbe un fondo di soccorso sociale, senza possibilità di storni di bilancio, stabilito per norma. In questo modo, l’Italia potrebbe finalmente iniziare a sganciare l’assistenza dalla previdenza, il che non c’obbligherebbe a lavorare fino a 65 e più anni, mentre quel 20% destinato alla ricerca sarebbe la manna per tanti, giovani e volonterosi ricercatori.

Qualcuno potrà obiettare che una simile quota riservata all’eolico potrebbe riservare sorprese per la discontinuità della fornitura, e ciò è vero.
Dimentichiamo gli almeno 8 milioni di tonnellate di biomasse d’origine agricola e forestale, con le quali sarebbe possibile costruire un centinaio di piccole centrali termoelettriche a ciclo combinato, le quali avrebbero rendimenti dell’80% – energia elettrica e calore (riscaldamento invernale), non il 35% delle attuali centrali termoelettriche a combustibili fossili – che contribuirebbero a stabilizzare l’offerta.
Inoltre – visto che il solare termodinamico è un’invenzione italiana – non sarebbe male iniziare (la Spagna ha già cominciato!) a costruire qualche centrale termodinamica che non sia il solito tormentone per allocchi di Priolo Gargallo. Una centrale termodinamica a gestione ENI! A quando, la gestione delle adolescenti perdute a Barbablù?
Non dimentichiamo che il termodinamico è importante per compensare la richiesta estiva dei climatizzatori e che, grazie alle elevate temperature d’esercizio, può fornire energia anche dopo il calar del sole. L’ENEA, inoltre, ha già completato gli studi per la generazione diretta d’Idrogeno mediante reazioni catalitiche alle alte temperature.
Infine, ci sarebbero interessanti studi da compiere per realizzare delle interazioni fra il solare termico e quello termodinamico.
Ci sarebbero poi tantissime, altre possibilità: voglio solo citare le pompe di calore le quali, in prossimità di “letti caldi” e nelle adiacenze dei vulcani, avrebbero altissimi rendimenti. E il moto ondoso? Le correnti sottomarine? Il recupero, a fini idroelettrici, delle migliaia di canali che alimentavano i mulini? Potremmo continuare. E, questi, sarebbero posti di lavoro a tempo indeterminato: garantiti, sicuri.

Non nascondiamo che il dilemma energetico è sfaccettato e complesso, ma sarebbe sbagliato scegliere la politica energetica – per quanto riguarda l’aspetto tecnico – mediante la lente politica o, peggio, ideologica: la Fisica rimane tale, e non si può abolire la Legge di Ohm.
Esempio: è allettante pensare alla produzione eolica destinata all’auto-consumo ma, se consulterete le mappe del CESI[8], noterete che, a terra e con piccoli impianti, difficilmente si superano le 1200 ore/anno di produzione alla potenza nominale[9]. Al contrario, i “campi” in mare aperto raggiungono le 3.000 ore/anno: il vantaggio economico è chiarissimo.
Sull’altro versante, però, sistemi locali diretti all’auto-consumo presentano risparmi per altri aspetti, quali il risparmio sulle perdite in rete e, tutto sommato, diminuiscono la complessità della rete stessa.
Se espandiamo il concetto ad altri metodi (solare termodinamico, termico, fotovoltaico, pompe di calore, idroelettrico di varia taglia e natura, ecc.) scopriamo che le scelte devono essere meditate considerando, per prima cosa, la convenienza, la semplicità, gli investimenti. Ossia gli aspetti tecnici.
Se, invece, consideriamo l’energia come problema sociale – ossia chi debba gestirla, come trovare fonti d’investimento, chi debbano essere i beneficiari degli investimenti, ecc – ecco che il problema è pienamente politico.
Siano piccole realizzazioni locali, siano grandi impianti – e, la decisione, è tecnica – a monte deve essere chiaro a chi andranno i frutti degli investimenti.
Purtroppo, siamo stati abituati – e molti, oramai, lo danno per scontato! – che le aziende debbano essere gestite dai privati: s’è visto quali vantaggi ha avuto la collettività dalla cessioni (in realtà, svendite) del patrimonio statale, dalla Società Autostrade al settore alimentare!
La gestione dell’energia è un caso ancora diverso.

Nominalmente a gestione mista, ma è solo lo Stato ad avere parola in merito, sia per ENI sia per ENEL: addirittura, fu deciso un prelievo (Tremonti) d’autorità sui bilanci delle due società per sanare i conti pubblici, quella che doveva essere la “tassa sul tubo”. Ben strano comportamento per delle società a gestione mista: gli azionisti privati, non hanno avuto nulla da ridire?
In realtà, la gestione “mista” nasconde la commistione fra la Casta politica ed i suoi attacché/padroni, che sono i grandi boiardi di Stato: i nomi li conosciamo tutti.
Rompere questo sodalizio è azione zeppa d’altissimi contenuti politici, poiché si va a toccare un nervo scoperto della Casta, uno dei principali cespiti di finanziamento (l’altro, è l’infinita moltiplicazione della finanza locale, gran fornitrice di tangenti bipartisan, come le recenti inchieste acclarano).
Perciò, lottare per una nuova politica energetica – tenendo fermo il punto della gestione sociale degli utili – è una battaglia rivoluzionaria, una battaglia contro la Casta.

Riassumendo: il problema energetico è avvertito e conosciuto da un più vasto pubblico, e da qui si potrebbe partire per dimostrare come un diverso approccio – comunitario e sociale – all’energia condurrebbe a vantaggi proprio
per le classi meno abbienti, a patto di stendere una normativa che leghi le mani (e, se si vuole, è possibile) agli oligarchi di regime.
Nessuno, qui, vuole negare l’importanza del risparmio energetico – sappiamo a quanto ammontano gli sprechi – ma quella del risparmio è una battaglia parallela, che si potrà condurre solo quando si dimostrerà che è possibile “intaccare” – a favore dei ceti meno abbienti – quelle decine di miliardi di euro annui che hanno in gestione gli oligarchi. In fin dei conti, il risparmio energetico – se non è affiancato dalla produzione alternativa, a gestione pubblica e con utili destinati al sociale – rischia di diventare una bellissima, pulitissima ed asettica battaglia per radical-chic ai tavolini dei bar. Cambio la lampadina ed ho salvato il mondo.

Rimane il problema di trovare strumenti d’aggregazione, “luoghi” dove incontrarci, conoscerci meglio, organizzarci.
Proprio per dare una mano a B + B&B, pubblicherò presto Italianova.org – un precedente tentativo fallì per incomprensioni interne – ed a Settembre cercherò di metterlo on line. Sono solo, ed il tempo è sempre tiranno.
Italianova potrà essere una “palestra” per discutere (con un blog collegato) un programma politico, modificarlo, proporlo e sarà aperta a tutti coloro che ne sposeranno i valori essenziali: comunitarismo, giustizia sociale, legalità, difesa dei valori costituzionali.
Chi mi ha seguito in questi anni, saprà che non nego i limiti del Web, ma mi rendo conto che solo dal Web si può ripartire: i mezzi tradizionali (speriamo in Pandora…e con questo voglio spezzare una lancia contro ogni settarismo) ci sono preclusi dalla corazzata di regime.

Non ho la stoffa del “salvatore della Patria”, e non vorrei che qualcuno pensasse a chissà quali mie mire: semplicemente, il poco che posso fare è questo. Poi, si vedrà.
Vorrei solo ricordare, a chi crede che saranno i tempi stessi a generare quel partito o movimento che ci porterà fuori dalle peste, che non conosce abbastanza la Storia: è vero che, nei momenti cruciali, gruppi organizzati si fecero avanti e – apparentemente con poco sforzo – cambiarono gli eventi, ma quei gruppi erano nati e s’erano organizzati prima. Non mi pare il caso di citare esempi che offenderebbero la vostra intelligenza.

In genere, leggo solo i commenti sul mio blog e là rispondo, ma questa volta – per l’importanza dell’argomento – leggerò anche quelli su CDC.
Perciò, vi prego d’essere concisi e diretti, senza fronzoli: chiedo idee, critiche ragionate, proposte, dubbi esposti con chiarezza. Evitate, se possibile, di cascare nella rete di qualche troll.
Poche cose: energia da fonti rinnovabili, gestione pubblica, utili a vantaggio dei ceti meno abbienti e niente nucleare. Per partire da qualcosa di concreto.
Chi vorrà aiutarmi, troverà sotto la casella di posta per contattarmi (usate solo quella, alcune vecchie caselle di posta le ho disabilitate).

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2009/08/litalia-sta-andando-fondo-che-fare.html
11.08.2009

Copyright 2009 ©. Riproduzione vietata, salvo assenso scritto da chiedere a [email protected]

[1] Fonte : http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/economia/crisi-37/produzione-industriale/produzione-industriale.html
[2] Fonte: http://www.scienzaegoverno.org/n/060/060_02.htm br>[3] Fonte: http://www.marineturbines.com/3/news/article/17/seagen_tidal_energy_system_reaches_full_power___1_2mw/
[4] Fonte: http://www.projetsolr.com/ br>[5] Sito: http://www.kitegen.com/index_it.html br>[6] Fonte: http://www.scienzaegoverno.org/n/046/046_01.htm br>[7] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2009/03/venti-nucleari.html
[8] Vedi http://www.cesiricerca.it/Testi/link.aspx?idN=10
[9] Il rendimento di un aerogeneratore (qualsiasi taglia) viene valutato mediante un parametro che calcola le ore annue alla massima potenza. Le ore, nell’anno, sono 8.760 perciò, se un aerogeneratore fornirà energia per circa 2.200 ore/anno sfrutterà circa il 25% del totale. In realtà, l’aerogeneratore fornisce quasi sempre una quota della massima potenza (ad esempio: “gira” al 70% della massima potenza): il calcolo annuale tiene conto delle media di queste percentuali, e le conforma in un dato che sono, appunto, le ore di esercizio alla massima potenza.
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