DI CARLO GAMBESCIA
Sembra che dietro la morte di Borsellino, all’epoca, vi fossero “pezzi” di servizi segreti deviati… Anche questa volta, perciò, assisteremo all’ennesima “partita di caccia” alla verità da parte della magistratura, dei media, eccetera. E, in effetti, se si ripercorre la storia d’Italia degli ultimi sessant’anni, di misteri mai risolti è possibile ricordarne molti.
Qui però, quel che ci interessa, non è tanto la ricostruzione dei fatti, di ogni singolo “mistero d’Italia”, quando riflettere sul ruolo sociale della verità. Che cosa intendiamo dire?
Le società moderne si reggono, su un patto tacito: quello basato sull’idea che la verità può essere pericolosa per la sopravvivenza delle istituzioni: il cittadino non deve sapere più di quello che gli sia necessario sapere. Come, per le singole persone, alle quali i moderni riconoscono una sfera intima, da difendere a ogni costo, dove spesso covano pulsioni inconfessabili neppure a se stessi, così per la società politica, e in particolare per le istituzioni, si ritiene a livello di sapere politico tacito, che esista un nucleo segreto, che riguarda la loro difesa, da ogni interferenza pubblica da parte dei cittadini.
Sempre restando in ambito moderno, va detto che questa concezione antropomorfica e privatistica, delle istituzioni collide con la teoria democratica della politica. Che però, a sua volta, usa mettere la verità ai voti: è vero, quel che una “maggioranza” di persone decide sia vero… Perciò da un lato abbiamo il potere, che difende la sua “verità privata”, intima, dall’altro, la società politica e democratica, che però difende, di volta in volta, verità pubbliche differenti, legate all’applicazione della logica maggioritaria.
In questo senso, le società moderne, sono diverse da quelle premoderne, dove, non essendovi, in termini socialmente antropomorfici, nessuna distinzione tra pubblico e privato, né una teoria democratica della politica, la verità pubblica, nel singolo come nelle istituzioni, finiva storicamente sempre coincidere con quella privata. O, eventualmente, scontrarsi, in alcune circostanze, con una forma di verità “superpubblica”, fondata su criteri religiosi o spirituali. Forma, quest’ultima, che i moderni, assetati di libertà dal trascendente, hanno completamente soppresso.
Questa distinzione, a prescindere dal sistema economico, spiega sul piano empirico la maggiore stabilità politica dei sistemi premoderni rispetto ai moderni (certo, a detrimento della democrazia, così come la intendiamo noi), in termini di durata temporale delle istituzioni: almeno sei millenni contro un pugno di secoli. Sussiste però un elemento sociologico che accomuna le società premoderne a quella moderne. Quale? Il riconoscimento (tacito o meno) delle istituzioni da parte dei cittadini, sempre necessario perché segna la vita e il destino di ogni società politica organizzata. Bene, questo riconoscimento diviene tanto più ampio quanto più il potere si stabilizza. Di conseguenza, nelle società moderne, profondamente instabili a causa del conflitto tra concezione privatistica delle istituzioni, fondata sul segreto, e teoria democratica della politica, basata sulla “verità” pubblica, ma “messa ai voti”, questo riconoscimento è sempre in discussione. Da questo punto di vista, anche gli stessi processi rivoluzionari (che si sono succeduti numerosi), continuandosi a muovere all’interno di una visione moderna, non hanno favorito, nelle rispettive società storiche, alcuna “scoperta della verità”, in senso pubblico se non in modo parziale, e in termini temporali, molto limitati. In questo senso, la verità, almeno per i moderni non è assolutamente rivoluzionaria.
Ora, per tornare all’Italia “delle trame” segrete, va detto che quanto più si insiste per sapere la verità “completa” sui misteri d’Italia, quanto più dall’altra parte, quella delle istituzioni, ci si chiude nel segreto (si tratta di una specie di “riflesso condizionato”, esito di una visione antropomorfica del potere), mentre dall’altra parte, quella della società politica, si possono opporre solo “brandelli” di una verità, condannata di volta in volta, a cambiare, a causa della logica maggioritaria, che regola la verità nella democrazia moderna. Ovviamente, all’ aspetto sociologico che abbiamo fin qui delineato, vanno sommate le variabili legate al contesto storico italiano ( tardiva indipendenza politica, cattive tradizioni amministrative, eccetera) e alla scarsa qualità politica della sua classe dirigente, che spesso mostra di piegare agli egoistici interessi del momento, sia la concezione antropomorfica del potere, sia la teoria politica democratica, rendendo così indistinti i contorni ideologici della lotta politica.
Per ottenere, qualche risultato, si dovrebbe ritornare a una visione “superpubblica” della verità, e dunque non fondata sulla moderna distinzione antropomorfica tra pubblico e privato, ma su principi eterni e sovratemporali. Una scelta che però sarebbero in contrasto con la teoria democratica della politica, che invece si basa su una verità di tipo maggioritario, non eterna ma contingente.
Dispiace dirlo, ma fare luce sui misteri italiani è sociologicamente impossibile.
Carlo Gambescia
Fonte: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/
Link: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2007/07/litalia-delle-trame-riflessioni-sul.html
20.07.07