L’IRAN IN TRAPPOLA

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L’ultimatum bellico di Israele

DI JAMES PETRAS

Una guerra imminente non è mai stata pubblicizzata così apertamente come il prossimo attacco militare di Israele contro l’Iran. Quando al capo dello Staff Militare di Israele, Daniel Halutz, è stato chiesto quanto Israele sarebbe stato disposto a spingersi per fermare il programma nucleare iraniano, egli ha risposto “duecento chilometri”, la distanza di un attacco aereo.
Più specificatamente, fonti militari israeliane rivelano che l’attuale e probabilmente prossimo primo ministro, Ariel Sharon, ha ordinato alle forze armate di Israele di prepararsi per una attacco aereo da condurre nei siti di arricchimento dell’uranio. Secondo il Times di Londra, l’ordine di preparare l’attacco è giunto al Comandante dello Staff attraverso, il Ministro della difesa Israeliano. Durante la prima settimana di dicembre, “ fonti interne alle forze speciali hanno confermato che il livello di allerta ‘G’, il più alto per un’operazione, era stato annunciato. Il 9 dicembre, il ministro della Difesa, Shaul Mofaz, ha affermato che, in vista dei piani nucleari di Teheran, Tel Aviv “non dovrebbe far affidamento solo sulle negoziazioni diplomatiche, ma preparare altre soluzioni”. Nei primi giorni di Dicembre, Ahron Zoevi Farkash, il capo dell’intelligence militare israeliana ha riferito al parlamento che “se per la fine di marzo, la comunità internazionale non sarà in grado di risolvere la questione in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ O.N.U. potremmo dire che gli sforzi internazionali,avranno ormai esaurito la loro parte”.

In altre parole, se gli sforzi internazionali non coincideranno con l’agenda israeliana, Israele attaccherà militarmente ed unilateralmente l’Iran. Benjamin Netanyahu, leader del partito Likud e candidato come Primo Ministro, promette che se Sharon non agirà contro l’Iran, “Quando formerò il nuovo governo (dopo le elezioni nel Marzo 2006) faremo ciò che abbiamo già fatto in pasto contro il reattore di Saddam”. Nel giugno del 1981 Israele bombardò il reattore nucleare di Osirak in Iraq.

Anche il quotidiano pro-Labor, Haaretz, dissentendo sui tempi e i luoghi pronunciati da Netanyau, ne condivide il succo del discorso. Haaretz ha criticato “coloro che raccomandano pubblicamente un intervento militare di Israele” perché “ sembra che Israele stia spingendo (attraverso le potenti organizzazioni pro-israeliane negli USA) gli Stati Uniti in una guerra più grande.” In ogni caso, Haaretz aggiunge che “ Israele dovrebbe gestire i preparativi di un eventuale attacco senza clamore e in sicurezza, evitando di farne oggetto di competizione elettorale”. Le posizione di Haaretz, come quelle del partito Laburista, è di non dichiarare guerra all’ ’Iran, prima che i negoziati multi-laterali siano finiti e l’Agenzia per l’Energia Atomica prenda una decisione.

L’opinione pubblica israeliana apparentemente non approva il piano di attacco militare dell’elite contro il programma energetico nucleare iraniano. Un inchiesta sul giornale israeliano Yedioth Ahronoth, ripresa dalla Reuters (il 16 Dicembre 2005) mostra che il 58% degli israeliani intervistati ritiene che la disputa sul programma nucleare iraniano debba essere risolta diplomaticamente, mentre solo il 36% ritiene che il rettore debba essere distrutto militarmente.
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Tutti gli alti ufficiali israeliani hanno individuato nella fine del Marzo 2006, la scadenza oltre la quale lanciare un attacco militare in Iran. Il ragionamento che si cela dietro questa data è di aumentare la pressione sugli Stati Uniti per portare la richiesta di sanzioni al Consiglio di Sicurezza. La tattica è di ricattare Washington con la paura della “guerra o altro”, facendo pressione sull’Europa (vale a dire Gran Bretagna, Francia, Germania e Russia) al fine di approvare le sanzioni. Israele sa che un atto di guerra metterebbe a rischio migliaia di soldati americani impegnati in Iraq e sa che Washington e (l’Europa) non potrebbero affrontare in questo momento una terza guerra.

La fine di Marzo coincide anche con la data di consegna del rapporto dell’A.I.E.A. all’ O.N.U. sul programma nucleare israeliano. I policemakers israeliani ritengono che la loro minaccia potrebbe influenzare il rapporto, o addirittura forzare alcune incertezze, cosa che potrebbe essere sfruttata dai sostenitori oltreoceano per promuovere l’approvazione di sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza e giustificare un intervento militare di Israele. Le maggiori lobbies pro-Israele hanno schierato una maggioranza nel Senato e nel Congresso USA per spingere il Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U. a implementare le sanzioni economiche contro l’Iran, fallendo queste ultime, a sostenere un’azione “difensiva” israeliana.

Schierati a favore dell’intervento ci sono le maggiori e più influenti organizzazioni Ebraiche, le lobbies pro-Israele,i loro comitati di azione politica, una parte della Casa Bianca, una maggioranza di rappresentati del Congresso sussidiati, leader di partito locali e di stato. Schierati in senso contrario ci sono settori del Pentagono, del Dipartimento di Stato, una minoranza dei membri del Congresso, la maggioranza dell’opinione pubblica, una minoranza degli ebrei americani e la maggioranza dei comandanti militari attivi e ritirati che hanno servito o che servono in Iraq.

La discussione negli Stati Uniti sull’agenda di guerra israeliana è stata per lo più dominata dalle organizzazioni pro-israele, che condividono la posizione dello stato israeliano. Il settimanale ebraico, Forward, ha riportato una serie di attacchi di Israele all’amministrazione Bush per non aver agito in maniera più decisa a favore delle iniziative israeliane. Secondo il Forward “ Gerusalemme è sempre di più preoccupata che l’amministrazione Bush non stia facendo abbastanza per bloccare l’acquisto di armi nucleari da parte di Teheran” (9 Dicembre, 2005)

Altre rigide divergenze sono comparse durante il dialogo strategico semi-annuale tra Israele e gli ufficiali di sicurezza degli Stati Uniti, nel qual Israele ha fatto pressione sugli U.S.A. per un cambio di regime in Siria, temendo un regime islamico più radicale. Israele ha anche criticato gli Stati Uniti per aver costretto ad aprire la linea di confine di Rafah indebolendo la stretta economica su Gaza.

Quella che probabilmente è la maggiore organizzazione ebraica negli Stati Uniti, la Conferenza delle Maggiori Associazioni Organizzazioni Ebraiche Americane, ha subito sposato la linea dello stato di Israele. Malcom Hoenlan, presidente della conferenza, ha rimproverato Washington per “il fallimento della leadership in Iran” e per aver “contrattato la questione con l’Europa” ( Forward, 9 dicembre 2005). Ha continuato attaccando l’amministrazione Bush per non aver esaudito le richieste di Israele, ritardato la questione delle sanzioni nei confronti dell’Iran al Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U. Hoenlan si è poi rivolto ai negoziatori francesi, inglesi e tedeschi accusandoli di “debolezza e riappacificamento” e di non aver “ un piano d’azione decisivo”, probabilmente per non aver messo in atto il piano “sanzioni o bombe” ideato da Israele.

Il ruolo dell’AIPAC, della Conferenza e di altre organizzazioni pro-Israele come cinghia di trasmissione dei piani bellici di Israele si è reso evidente il 28 Novembre 2005, quando l’amministrazione Bush è stata duramente criticata per aver accordato alla Russia la possibilità di negoziare un piano il quale prevede che l’Iran sia autorizzato ad arricchire uranio per scopi non bellici e sotto una supervisione internazionale. Il rifiuto dei negoziati da parte dell’AIPAC e la richiesta di un confronto immediato sono basate sulla convinzione che tale piano “faciliterà la realizzazione di armi nucleari da parte dell’Iran”, un argomento che contrasta fortemente con le informazioni d’intelligence ( inclusi i servizi segreti israeliani) secondo le quali l’Iran è lontano dai 3 ai 10 anni al primo approccio ad un armamentario nucleare.

La trasmissione incondizionata ed acritica delle richieste di Israele, così come il consueto criticismo dell’ AIPAC è tradizionalmente coperto con la retorica degli interessi della sicurezza degli U.S.A. al fine di manipolarne le policy. L’AIPAC ha rimproverato l’amministrazione Bush per aver messo a repentaglio la sicurezza degli Stati Uniti. A causa della volontà di insistere sui negoziati, l’AIPAC ha rimproverato gli U.S.A. di “aver dato all’Iran un’altra chance di manipolare la comunità internazionale” e “ di aver messo in serio pericolo gli Stati Uniti”. (Forward 9 Dicembre 2005)

Alcuni portavoce statunitensi pro-israele si sono opposti all’invito del presidente Bush fatto all’ambasciatore in Iraq, Zalmay Khaklilzad, di iniziare un dialogo con l’ambasciatore Iraniano in Iraq. Inoltre la “contenuta” reazione ufficiale di Israele alla vendita da parte della Russia a Teheran di missili anti-aircraft per un valore superiore al miliardo di dollari, è stata ripresa, come prevedibile, dalle maggiori organizzazioni ebraiche negli U.S.A.

Spingere gli Stati Uniti ad un confronto con l’Iran, attraverso sanzioni economiche o per via militare, è una priorità di Israele e dei suoi sostenitori negli U.S.A. da più di un decennio( Jewish Time/ Jewish Telegraph, 6 Dicembre 2005). In linea con la sua politica per un confronto Iran-U.S.A., l’AIPAC, i PAC israeliani (Comitati di Azione Politica) e la Conferenza dei Presidenti è riuscita con successo a formare un maggioranza nel Congresso, per contrastare quello che definiscono “l’appacificamento” nei confronti dell’Iran.

Il Deputato Ileana Ros-Lenthinen (Florida), sulla quale grava il dubbio di una collaborazione con i gruppi terroristici cubani esiliati e di essere una sostenitrice incondizionata dei piani di guerra israeliani, è presidente dell’ US House of Representative middle East subcommittee. Da quella piattaforma ha denunciato “l’indebolimento europeo che sta armando il regime terrorista iraniano”. La deputata si vanta di un sostegno del 75% dei parlamentari per la sua proposta di sanzioni contro l’Iran, e che inoltre sta gia schierando ulteriori sponsor.

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Nonostante le accuse di “debolezza”, mosse da Israele, Washington si è mossa nei confronti dell’Iran quanto più progressivamente le circostanze lo abbiano permesso. Opponendosi ad un confronto immediato (come invece richiesto dall’ AIPAC e dai politici israeliani) Washington, supporta i negoziati europei ma impone delle condizioni estremamente limitanti, precisamente un rifiuto del Non-Proliferation Treaty, che permette l’arricchimento dell’uranio per propositi pacifici.

Il “compromesso” europeo di forzare l’Iran a trasferire il processo di arricchimento in un paese straniero (la Russia) non solo è una violazione della sua sovranità, ma è anche una pratica che nessun altro paese che utilizzi tale energia ha mai messo in atto. Dato questo mandato chiaramente inaccettabile, è chiaro che il sostegno di Washington ai negoziati, non è altro che uno strumento per provocare il rifiuto dell’Iran, ed ottenere così il sostegno europeo per l’approvazioni di sanzioni internazionali al Consiglio di Sicurezza.

Nonostante il sostegno unanime e la diffusa influenza delle varie organizzazioni, il 20% degli ebrei americani non supporta Israele nel suo conflitto con i Palestinesi. Più significativamente il 61% degli ebrei non parla mai o non difende Israele in conversazioni con non-ebrei (Jerusalem Post, 1 Dicembre 2005). Solo il 29% degli ebrei sono promotori attivi di Israele. I sostenitori di Israele sono meno di un terzo della popolazione totale. Effettivamente c’è una maggiore opposizione ad Israele tra gli ebrei che non tra i rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti. Detto questo, resta il fatto che la maggior parte dei critici di Israele non hanno influenza sulle maggiori organizzazioni ebraiche e sulle lobbies israeliane, sono esclusi dai mass media e intimiditi nel parlare pubblicamente, specialmente sui preparativi della guerra di Israele contro l’Iran.

IL MITO DELLA MINACCIA IRANIANA

Il capo della Forza di Difesa israeliana, Daniel Hautz, ha categoricamente negato che l’Iran rappresenti un’immediata minaccia nucleare per Israele, ne tanto meno per Gli Stati Uniti. Secondo Hareetz (14/12/2005), Haultz ha dichiarato che all’Iran servirà tempo prima di essere in grado di produrre una bomba atomica, secondo le sue stime ciò avverrà tra il 2008 e il 2015.

Il partit0 Laburista Israeliano non crede che l’Iran rappresenti nell’immediato una minaccia nucleare e che la propaganda di guerra del governo Sharon e del Likud, sia una mera astuzia elettorale. Come riportato da Haaretz, “ il Partito Laburista ha ufficialmente accusato il Primo Ministro, Ariel Sharon, il ministro della Difesa, Shaul Mofaz e altri ufficiali dell’esercito, di usare la questione iraniana nella campagna elettorale per distrarre il pubblico dal dibatto sui problemi sociali”.

In un messaggio diretto alla destra israeliana, ma ugualmente applicabile all’AIPAC e al presidente delle Maggiori Organizzazioni Ebraiche, il membro del Partito Laburista del Knesset, Benjamin Ben-Eliezer ha rifiutato l’allarmismo elettorale: “ Spero che le imminenti elezioni non daranno motivo al Primo Ministro e al Ministro della Difesa di allontanarsi dai problemi del paese e mettere Israele sull’orlo di un conflitto con l’Iran. La questione nucleare è un problema internazionale e non c’è motivo per cui Israele debba giocare un ruolo maggiore” ( Haaretz, 14 dicembre 2005).

L’intelligence israeliana ha stabilito che l’Iran non ha né l’uranio arricchito, né la capacità di produrre nell’immediato futuro una bomba atomica, in contrasto con i proclami isterici pubblicizzati dalle lobbies pro-israele negli U.S.A. Mohammed El Baradei (nella foto sotto), capo dell’Agenzia Atomica Internazionale delle Nazioni Unite, che ha ispezionato l’Iran per molti anni, ha puntualizzato che l’AIEA non ha mai trovato prove di un tentativo di costruzione di armi nucleari. Ha criticato i piani di guerra israeliani e statunitensi, avvertendo che “una soluzione militare sarebbe completamente improduttiva”.

Recentemente, in un limpido tentativo di chiarificare la questione sul futuro utilizzo dell’uranio arricchito, l’Iran “ha aperto le porte ad un aiuto americano per la costruzione di un impianto nucleare”. Il portavoce del Ministro degli Esteri iraniano, Hamid Reza Asefi, ha constatato che l’America potrà prendere parte all’appalto internazionale per la costruzione di una centrale nucleare in Iran, se rispetterà gli standard base e la qualità”. (USA Today, 11 dicembre 2005)

L’Iran conta inoltre, di costruire numerose centrali nucleari con l’aiuto di paesi stranieri. La richiesta di un aiuto straniero è difficilmente la strategia di un paese che sta conducendo un programma atomico segreto, specialmente nel momento in cui si cerca di coinvolgere i propri principali accusatori.

Gli iraniani sono ancora ad uno stadio elementare per quel che riguarda la lavorazione dell’uranio, non raggiungendo neanche lo stadio di arricchimento, il quale richiede ancora un certo numero di anni, e la risoluzione di molti problemi, prima che si possa costruire una bomba. Non ci sono basi concrete per stabilire che l’Iran rappresenti una minaccia nucleare per Israele e per le forze statunitensi in Medio Oriente.

Un gran numero di paesi con un reattore nucleare, per necessità usano l’uranio arricchito. La decisione iraniana di avviare il processo di arricchimento dell’uranio è una decisione sovrana, così come lo è per tutti gli altri paesi, che possiedono reattori nucleari in Europa, in Asia e in Nord America. Il ricorso di Israele e dell’AIPAC alla vaga formulazione di una potenziale capacità nucleare dell’ Iran, è talmente vaga che si potrebbe applicare ad un enorme numero di Stati con un minimo di infrastrutture scientifiche.

Il Quartetto Europeo ha creato una finta questione, evadendo il problema se l’Iran abbia armi atomiche, oppure se stia o meno cercando di produrle, focalizzandosi invece sulla capacità dell’Iran di produrre energia atomica, più specificatamente uranio arricchito. Il Quartetto ha unito l’uranio arricchito ad una minaccia nucleare e ad un potenziale atomico con il pericolo di un imminente attacco alle truppe e ai paesi Occidentali e ad Israele. Gli europei, in particolar modo la Gran Breatgna, hanno due opzioni in mente: imporre all’Iran l’accettazione di un limite alla sua sovranità, in particolare per quel che riguarda la su politica energetica, oppure forzare l’Iran a rifiutare l’adesione arbitraria al trattato di non proliferazione, per poi propagandare il rifiuto dell’Iran come un segno delle sue intenzioni malvagie nel voler creare armi atomiche e attaccare le nazioni pro-Occidente.

Gli Stati Uniti farebbero pressione sulla Russia e sulla Cina per votare in favore delle sanzioni o per astenersi. Ci sono ragioni per dubitare che entrambe le nazioni siano d’accordo, data l’importanza degli accordi commerciali multimiliardari per il petrolio, le armi, il nucleare e altri prodotti, tra l’Iran e i due paesi. Una volta tentata e fallita la via del consiglio di sicurezza, gli U.S.A. e Israele, nello scenario di un Partito della Guerra, propenderebbero per una attacco militare. Un attacco aereo sulle sospette basi nucleari iraniane, causerebbe il bombardamento di regioni remote così come di quelle altamente popolate determinando una perdita di vite su larga scala.

Il risultato principale sarebbe un escalation di guerra nel Medio Oriente. L’ Iran, un paese con settanta milioni di abitanti, con un esercito di gran lunga superiore a quello iracheno, e con forze militari e paramilitari altamente motivate e impegnate, certamente si muoverebbe verso l’Iraq. Qui gli sciiti, simpatizzanti o addirittura alleati dell’Iran, taglierebbero i loro legami con Washington e si unirebbero al combattimento. Le basi militari statunitensi, le truppe e i loro alleati sarebbero sottoposti ad un feroce attacco. Le perdite U.S.A. si moltiplicherebbero.
La strategia di ‘iraquizzazione’ si disintegrerebbe.

Molteplici attacchi terroristici si verificherebbero nell’Europa Occidentale, Nord America, Australia e contro le Multinazionali degli Stati Uniti.

Le sanzioni contro l’Iran non funzionerebbero, perché il petrolio è una merce tanto scarsa quanto fondamentale. La Cina, l’India e altri paesi asiatici in via di sviluppo non sarebbero d’accordo e ostacolerebbero il boicottaggio. La Turchia e altri paesi musulmani non coopererebbero. La politica delle sanzioni è destinata al fallimento, l’unico risultato concreto sarebbe l’aumento del prezzo del petrolio.

Qui negli Stati Uniti ci sono poche, se non nessuna lobby, in grado di sfidare la lobby israeliana in favore della guerra, sai per quanto riguarda la possibilità di una coesistenza in Medio Oriente, sia per quel che riguarda la difesa degli interessi americani quando questi divergono da quelli israeliani. Sebbene numerosi ex-generali, diplomatici, agenti di intelligence, Ebrei riformisti, consiglieri della National Security e dipendenti del Dipartimento di Stato hanno pubblicamente denunciato l’agenda di guerra contro l’Iran e le principali lobbies israeliane, le loro pubblicità e interviste non sono state riprese da nessun organizzazione politica che potrebbe influenzare le scelte della Casa Bianca e del Congresso.

Avvicinandoci ad un confronto diretto con l’Iran, e gli ufficiali israeliani hanno stabilito delle dead-line a breve termine per innescare una conflagrazione nel Medio Oriente, sembra che siamo destinati a dover imparare dalle future e catastrofiche perdite, che gli Americani devono organizzarsi per sconfiggere le lobbies politiche basate su alleanze oltremare.

James Petras è un ex-professore di Sociologia alla Binghamton University di Mew York, detiene un militanza di 50 anni nella lotta di classe, è un consigliere dei senzatetto e dei disoccupati Brasiliani e Argenti, ed è coautore del libro “La Globalizzazzione Senza Maschera”. Il suo ultimo libro “Stato e Movimenti Sociali: Brasile Ecuador, Bolivia e Argentina”, è stato pubblicato nell’ottobre 2005.
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/petras12242005.html
24/25.12.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di NICOLA GERUNDINO

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