DI CARLO BERTANI
Il recente articolo di Antonella Randazzo, “Un cuore umano”, ha ben tratteggiato alcuni aspetti poco noti e che, spesso, nemmeno immaginiamo del mondo militare, talvolta presentato – a torto – come una legione assetata di sangue nemico.
Sulle prime – parlando di militari – molti pensano subito agli ufficiali infedeli quali De Lorenzo, Miceli, Maletti…e la gran compagnia che fece parte di Gladio, della P2 e dei cosiddetti “servizi deviati”: dimentichiamo che fra i militari c’è tanta gente onesta, che vorrebbe fare il suo mestiere nel rispetto della democrazia e della Costituzione.
A ben vedere, i primi a perderci qualcosa quando si devono usare le armi sono proprio i soldati: rischiano di perdere una cosetta da nulla, ossia la vita. La Randazzo ha quindi compiuto un lavoro encomiabile, perché la vicenda dei due aviatori dell’Esercito, che si sono rifiutati di sparare contro dei civili afgani, rende giustizia ad un mondo che, spesso, viene tenuto in disparte dal vivere comune, quasi una casta d’innominabili, come i macellai nella Lhasa buddista.
Inoltre, ha dimostrato che la piccola cannoniera del Web ha proiettili ben forgiati e sparati con precisione, a differenza delle terribili bordate delle corazzate di regime: potenti sì, ma sempre più imprecise e smascherabili.
In passato, ci sono già stati episodi del genere: ricordiamo, uno per tutti, il caso di un alto ufficiale di Marina italiano in comando nel Golfo il quale, durante la Guerra del Golfo del 1991, si lasciò andare, in un’intervista, a considerazioni non troppo in linea con il pensiero dominante. A quel tempo, era ancora possibile che simili faccende fossero rese note in TV: l’ufficiale, fu rimpatriato immediatamente e sollevato dal comando.
Se gli uomini hanno dei dubbi, molto dipende anche dai mezzi che hanno a disposizione; un elicottero Mangusta, con il suo cannone anticarro, razzi e missili non è certo l’arma più indicata per combattere in aree abitate da civili: la carneficina è inevitabile.
La pianificazione dello strumento militare dovrebbe quindi derivare dall’impostazione generale della Difesa, la quale è faccenda più politica che tecnica. Difatti, è il potere politico a decidere le collaborazioni internazionali, gli acquisti d’armi o la loro produzione in Patria. E, qui, ce n’è da raccontare.
Il potere politico non può prescindere dalla carta costituzionale la quale, all’art. 11, così recita:
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Non staremo qui a discutere – per esigenze di tempo, null’altro – quante e quali volte la Costituzione è stata calpestata negli scorsi decenni, perché c’interessa di più dimostrare che lo strumento militare italiano è forgiato ed ottimizzato esattamente all’opposto rispetto ai dettami costituzionali.
Il problema della Difesa, oggi, non coincide più con la protezione dei confini, poiché quando forze aeree e navali assumono il controllo delle periferie, oramai, la sorte è segnata.
Oggi, si considera più coerente la “difesa d’area”, ossia la preclusione a potenziali assalitori d’entrare nello spazio aereo e marittimo nazionale, che non coincide precisamente con i confini stabiliti dai trattati.
In altre parole, può essere considerato ostile un velivolo che sta dirigendosi ad alta velocità verso lo spazio aereo nazionale quando è ancora in aree internazionali se è – facciamo un esempio – nel Canale di Sicilia: se, invece, lo stesso velivolo si trova nel golfo della Sirte, non può essere considerato ostile. Ciò non significa, però, che nel primo caso si spari immediatamente.
Per la difesa marittima, ovviamente (date le diverse velocità) questo margine si riduce, ma diventa assai più arduo definire ed individuare minacce nascoste (tipicamente, un sommergibile).
La carta costituzionale, però, non ammette operazioni di guerra all’esterno di tali confini (…strumento di offesa…), forse con una sola eccezione: la scorta dei convogli marittimi (che fa parte della difesa) in periodi di forte tensione internazionale o di guerra attuata/dichiarata da altro Paese. A margine, notiamo che nessun iracheno od afgano ha mai attentato allo spazio aereo o marittimo italiano: la Costituzione è la Costituzione, mica balle, e tutte le altre interpretazioni – la “difesa degli interessi nazionali anche a grande distanza” o panzane del genere – non reggono, se analizzate alla luce dell’art. 11.
v
Le forze terrestri richiedono un diverso approccio: è chiaro che, quando si perdono cieli e mari, la loro sorte è segnata. Per questa ragione si è passati dagli eserciti di leva a quelli professionali: i grandi numeri degli eserciti napoleonici non servono più, soprattutto nelle nazioni meno estese territorialmente.
Sul loro uso – sempre nell’ottica dell’art. 11 della Costituzione – oramai è chiaro che sono diventate forze mercenarie al servizio d’altri paesi: vorremmo che qualcuno ci spiegasse – cinicamente – quali sono stati e quali sono i vantaggi per l’Italia nelle missioni in Iraq ed Afghanistan.
I nostri principali fornitori d’energia sono la Russia, la Libia e l’Algeria: sotto Saddam, avevamo in gestione alcuni pozzi presso Nassirya, ma questo modesto “interesse” non giustifica il sangue versato. E in Afghanistan? Perché i nostri soldati devono sorreggere inutilmente (inglesi e russi ne sanno qualcosa di quel paese) gli sforzi americani per continuare nella “dottrina Brezinsky”, che prevedeva lo smembramento della Russia in tre parti, con quella centrale assegnata all’egemonia statunitense?
La vicenda di una Russia ripartita fra UE, USA e Cina/Giappone fa oramai parte dei sogni americani, e non serve a nulla continuare a rischiare la pelle dei nostri soldati nelle pietraie afgane.
Quando, nel 2006, fu chiesto all’Italia d’impegnarsi nella missione in Libano, si scoprì che non c’erano quasi effettivi disponibili: i militari italiani (considerando la rotazione dei reparti) erano quasi tutti all’estero! E cosa c’entra, tutto ciò, con il dettato costituzionale?
E, se qualcuno attentasse veramente allo spazio aereo e marittimo italiano, quali mezzi avremmo per difenderci?
La prima obiezione che si può porre è ovvia: l’Italia fa parte di un’alleanza, e quindi la difesa sarebbe garantita da…
Tutto vero, ma le Forze Armate italiane, con che cosa potrebbero partecipare alla difesa?
Ad oggi, gli aerei destinati alla nostra difesa sono 34 F-16, usati, presi in leasing dagli USA: 34 aerei per difendere lo spazio aereo del Mediterraneo centrale, del Tirreno e dell’Adriatico. Una bubbola.
Se visiterete i siti ufficiali dell’Aeronautica Militare, potrete essere contagiati dal fervore con il quale s’attende il prestigioso Eurofighter “Tifone” – i primi aerei sono stati consegnati a due reparti di volo – il quale nacque, come progetto, nel 1983. Sì, avete letto bene: venticinque anni fa. Direte: adesso è finito. Balle, osservate la scansione del programma:
Il programma, diviso in tre tranche, è così ripartito[1]:
1° Tranche: 148 aerei in produzione nel periodo 2003/2007
2° Tranche: 236 aerei in produzione nel periodo 2007/2012
3° Tranche:236 aerei in produzione nel periodo 2012/2017
L’Italia aveva preso l’impegno d’acquistare in tutto 121 velivoli ma, ad oggi, ne sono giunte solo poche unità. La ragione? Ritardi, problemi, compromessi difficilissimi (ed onerosi) fra le nazioni che hanno partecipato al programma – Gran Bretagna, Germania, Italia e Spagna (c’era anche la Francia ma, nel 1985, quando comprese l’andazzo, se ne andò e costruì da sola il Rafale) – e la frittata è compiuta. A complicare la faccenda, nel 2012 gli USA inizieranno le consegne dei primi F-35 (più moderni rispetto al Tifone), e negli stessi anni dovrebbe venire alla luce un nuovo caccia di V generazione, made in Russia con collaborazione indiana.
Di fatto, l’ultimo Tifone vedrà la luce quando da anni voleranno velivoli di V generazione, mentre il Tifone è ancora un aereo di IV generazione: forse con un “più”, ma sempre di quarta.
Per intenderci: il Tifone è un velivolo che se la potrà giocare ad armi quasi pari con F-16, F-15, Mig-29 e Su-27 nelle loro ultime versioni. Il problema è che i velivoli sopraccitati – russi o americani – entrarono in servizio proprio negli anni nel quale il Tifone veniva appena disegnato sulla carta: un ritardo epocale.
Difatti, sono già previsti (per gli aerei appena consegnati!) interventi di retrofit per ammodernarli: non dovrebbe essere roba nuovissima?
Il tutto al “modesto” costo di 100 milioni di euro il pezzo: fatevi due conti, quando il futuro F-35 ne costerà circa un terzo in meno.
Già nel 2004, la Corte dei Conti aveva “annusato” aria viziata in quel progetto, giungendo a relazionare[2]:
«sullo stato di avanzamento del Programma Efa/Eurofighter 2000, e sulle misure adottate dall’Amministrazione della Difesa per ovviare al ritardo nella sua esecuzione…difficoltà di vario genere (tecniche, dovute alla complessità e difficoltà del compito, ma soprattutto di ordine politico-finanziario, conseguenti al mutamento dello scenario nell’Europa dell’Est ed alla crisi economica generale dei primi anni ’90) hanno, tuttavia, causato pesanti ritardi rispetto alle previsioni iniziali»
Anche dal punto di vista industriale, il programma si è rivelato poco convincente: circa 700 velivoli in previsione, contro i 5-6000 previsti dell’F-35[3]. Tutto ciò è comprensibile, se si crede di poter vendere impunemente un velivolo degli anni ’90 del XX secolo nel secondo decennio del XXI.
E, nel frattempo, chi difendeva i cieli italiani?
Un’accozzaglia d’aerei vecchissimi – gli F-104 nati negli anni ’50, più volte rimodernati, ma di fatto inutilizzabili – oppure bombardieri (velivoli da strike[4]) come il Tornado, adattati per fare il caccia quando erano stati progettati per tutt’altre missioni. Per capirci: adattare un Tornado per la caccia, è come installare un motore Porsche su un furgoncino e poi andare a correre a Monza[5].
Infine, la soluzione intermedia: prendere in leasing 34 F-16 ex Guardia Nazionale USA e tirare a campare. Sperando che appaia il Tifone (subito da aggiornare).
Se, per come hanno pianificato la difesa aerea, la classe politica ed i vertici militari potrebbero essere accusati d’attentato alla Costituzione (se la Costituzione prevede che qualcuno debba provvedere alla difesa nazionale, e poi non lo fa, qual è il reato?), molto hanno fatto in altri campi.
L’Italia è stata per decenni la “terra dei bombardieri”: non avevamo uno straccio d’aereo per difenderci, ma per andar a piazzar bombe lontano sì…ne avevamo di roba! Serbia ed Iraq ringraziano.
Si partì con il programma Tornado negli anni ’70, e venne alla luce un potente bimotore da strike, in grado di volare bassissimo ad elevata velocità, per “depositare” bombe, missili e razzi a centinaia di chilometri dalla propria base.
Proprio quel che indica la Costituzione.
Siccome il Tornado era un po’ “pesantuccio” – e ‘sta mania delle bombe non demordeva – nacque l’esigenza d’avere un bombardiere più leggero e meno costoso (si fa per dire, 39 milioni di euro l’uno…[6]), e nacque l’AMX. Nacque male e, al primo collaudo, perse la vita il comandante Quarantelli – pilota collaudatore – all’aeroporto di Caselle (TO).
Il piccolo monoreattore – una joint venture italo-brasiliana – ha chiesto sangue, tanto sangue per volare: ad oggi, ci sono stati 700 (settecento!) incidenti di volo – più o meno gravi – che hanno condotto alla perdita di 12 velivoli (sui circa 130 in servizio, quasi il 10%!) e di cinque piloti (secondo l’AMI), di ben 15 piloti e 17 velivoli secondo altre fonti. La differenza nei dati si spiega se riflettiamo che, in Iraq, un militare USA viene considerato “ferito o ucciso in battaglia” soltanto se offeso direttamente dal fuoco nemico: se, invece, il suo mezzo si rovescia perché salta su una mina, viene considerato un “incidente stradale”. Per questa ragione citiamo questa differenza nei dati, che si spiega solo con il “basso stato” dell’informazione italiana, sulla quale è difficile fare affidamento, anche per la semplice conta dei morti e degli incidenti.
La ragione del fallimento appare chiara, se si analizzano le specifiche del velivolo.
Per prima cosa la scelta di un solo reattore: in panne quello, la sorte è segnata.
Per seconda la natura del reattore: il Rolls Royce Fiat Avio RB168-807 “Spey” è un propulsore civile, che ha equipaggiato per molti anni velivoli non militari. Perché installare un simile reattore su un aereo da guerra? Mistero.
Mica troppo, però, conoscendo come vanno le cose quando girano tanti soldi.
La terza ragione è il peso del velivolo al decollo. Il peso a vuoto è di 6.700 kg, mentre quello massimo è di ben 13.000 kg: una differenza di 6300 kg!
Cosa significa tutto ciò?
Che abbiamo costruito un furgoncino poi, per risparmiare, lo abbiamo motorizzato con il propulsore di una cinquecento: infine, siccome le specifiche di progetto richiedevano un forte carico utile, lo abbiamo irrobustito per poter caricare anche un elefante. Ovvio che, alla prima “salita”, si “siede”. E cade.
Queste sono soltanto nostre elucubrazioni?
No! A più riprese, la Magistratura ha addirittura cercato di sequestrare gli aerei residui (oramai una settantina, fra incidenti mortali, incidenti non mortali e rotture non rimediabili) e lo ha anche fatto, temporaneamente (nel 2002): è l’unico caso nella storia e nell’intero pianeta di un velivolo militare sequestrato perché non sta in volo! Eppure, stanno facendo di tutto per salvare le apparenze.
L’ultimo magistrato a provarci è stato il Procuratore della Repubblica di Cagliari, Mauro Mura – il 5 Gennaio 2008 – dopo l’ennesimo incidente (per fortuna non mortale), dopo che l’AMX in questione era precipitato in un campo di carciofi. La giustificazione del magistrato fa rizzare i capelli[7]:
«Le indagini proseguono, per ora abbiamo chiesto solo il sequestro cautelativo per ottenere il fermo degli aerei: il presupposto dell’inchiesta, infatti, è la pericolosità di questi caccia e gli elementi raccolti finora ci portano in questa direzione…ci sono elementi per ritenere che i caccia AMX siano pericolosi, quindi non idonei al volo.»
“Non idonei al volo”! E’ una frase che fa rizzare i capelli, soprattutto se consideriamo che dei 135 velivoli iniziali ne sono rimasti 70, e che sul sito dell’AMI la scheda tecnica dell’AMX è in costante “aggiornamento”. Oppure in “demolizione”?
Si potrà obiettare che il rivolgimento causato dalla caduta del Muro di Berlino abbia causato difficoltà di programmazione: certo, non avere un velivolo da caccia per decenni, però, ci sembra un po’ troppo, ma vediamo cos’ha fatto la Marina, prima e dopo il Muro.
Prima della caduta dell’URSS (anni ’70), la Marina iniziò a progettare un “incrociatore portaelicotteri” il quale, in fase di completamento del progetto, fu dotato di sky-jump per il decollo di aerei come il Sea Harrier (modalità STOVL).
Perché la Marina non poteva dire a chiare lettere che voleva costruire una piccola portaerei?
Poiché è tuttora in vigore la normativa (di Italo Balbo!) che assegna alla sola Aeronautica la gestione del cielo, e quindi la Marina non può avere aerei e piloti. Soprattutto, non aveva mezzi per addestrare i piloti.
La querelle durò parecchi anni: finalmente risolta con un compromesso, nel 1983 scendeva in mare la “Garibaldi”, che prendeva servizio nel 1985 (con i soli elicotteri, però).
La Garibaldi, se consideriamo che l’Italia deve provvedere alla scorta dei convogli marittimi, ha un senso anche alla luce dell’art. 11. Si tratta di una nave che può imbarcare 18 velivoli (un mix di Sea Harrier e di elicotteri) ed è dotata d’armamento antiaereo ed antinave.
Il dislocamento è modesto – 13.370 t – se paragonato ai compiti che la nave deve affrontare: tutto sommato, un progetto ben riuscito.
La scorta dei convogli mercantili richiede due tipi di naviglio: corvette e fregate per la scorta diretta, ossia le navi che navigano nei pressi del convoglio, e la scorta d’altura (che comprende, tipicamente, una portaerei) per la difesa a distanza da minacce (soprattutto) aeree. Insomma, la scorta d’altura ha il compito di “ripulire” la rotta del convoglio, mentre la scorta diretta deve verificare se tutto è stato ben “ripulito”.
Nave Garibaldi, in questo contesto, fu una buona realizzazione: l’unico problema è che era una sola e, con una sola nave (e quando è ai lavori di manutenzione?), si fa poco.
Detto fatto, fu progettata la “gemella” Cavour (varata nel 2004, non ancora in servizio), che è evidentemente una gemella eterozigote, poiché non le assomiglia per niente[8].
Il dislocamento a pieno carico passa da 13.370 t a 27.100: quasi il doppio! L’enorme aumento del dislocamento e delle dimensioni, a cosa serve?
Il numero dei velivoli imbarcati incrementa sì, ma da 18 a 20: per aumentare la componente di volo di due miseri aerei, era necessario raddoppiare il dislocamento?
No, perché – dalla scheda tecnica – si evince che Nave Cavour potrà imbarcare anche 24 carri armati Ariete da 60 tonnellate, più i marines del Reggimento “San Marco” ed altre facezie del genere.
In definitiva, il “passaggio” dalla Garibaldi alla Cavour segna un’inversione di 180 gradi: non più una nave utile alla scorta dei convogli (e, quindi, più segnata da un’ottica difensiva), bensì una nave d’assalto anfibio, che serve soltanto se si devono sbarcare (con un po’ di fortuna, se è sola…) marines su una spiaggia nemica. Il che, rientra appieno nel dettato costituzionale, ovvio.
Non deve sfuggire che la portaerei Cavour è stata pensata in un diverso periodo storico, il che – se teniamo presente il dettato costituzionale – conduce ad un paradosso.
Quando c’era il Patto di Varsavia, costruivamo navi per la difesa dei convogli – ben sapendo che sarebbe stato difficile, con quel poco, sfuggire ai sottomarini russi – mentre quando quello spettro si è volatilizzato costruiamo una nave per l’assalto anfibio!
Cosa significa?
Vuol dire, semplicemente, che la nave sarà integrata in una delle tante task force euro-americane che dovranno far rispettare l’ordine neocoloniale nel pianeta: altro che Costituzione, siamo tornati alle avventure delle “quarte sponde”!
In altre parole, forniremo agli USA (e non solo, visto che siamo presenti in gran copia in Libano, ma sotto comando francese) la “carne da cannone” necessaria per le agognate “avventure” del grande “amico” Bush (domani, del suo successore)!
E la Costituzione? Che ci va a fare, per i mari, una nave italiana che ha come compito precipuo quello di sbarcare tank su una spiaggia “nemica”?
E la difesa delle acque italiane?
Quella è affidata soprattutto ai sommergibili (sui mezzi aerei, abbiamo già “dato”), ma i sommergibili italiani non sono in grado di lanciare missili, nemmeno i più moderni classe U-212. Perché? Non si sa, è così e basta.
La differenza non è di poco conto: un missile colpisce a 50-100 chilometri di distanza, un siluro ad una decina o poco più, esponendo il battello a notevoli rischi.
Il nome dei battelli – quel “U”[9] – richiama l’origine tedesca dei sommergibili: difatti, si tratta di una collaborazione italo-tedesca.
Nemmeno i più recenti battelli della classe U-212 saranno dotati di missili, mentre la piccola Grecia ha optato per i tipi U-214, che hanno questa possibilità.
Vorremmo sfatare subito una perplessità: chi scrive, ritiene che non dovremmo spendere nemmeno un centesimo in armi, se il mondo non fosse quel che è.
Anche nazioni dichiaratamente o praticamente neutrali – Svizzera, Austria, Svezia, ecc – mantengono forze armate, modeste, ma efficienti.
Cercando d’essere realisti, possedere uno strumento militare modesto, ma efficiente e moderno, allontana e non avvicina i rischi di un conflitto. Proprio quello che i costituzionalisti italiani intendevano affermare: siamo pronti a difenderci (e, aggiungo, meglio si è pronti e più decrescono i rischi), ma non consideriamo la guerra un mezzo per la soluzione dei problemi internazionali. L’esatto opposto delle note tesi “anni ‘30”, sulla “prosecuzione” della politica estera con la guerra.
Per questa ragione, la piccola Grecia si comporta come una nazione che intende difendersi e nulla più: volete rischiare? Sappiate che possiamo colpirvi a distanza con i nostri sommergibili.
Uno strumento militare enormemente più costoso, ma meno efficiente come quello italiano, invece, conduce a spendere tanto per poi dover sempre rimanere all’ombra di qualche “santo protettore”. Il quale, in cambio, chiederà sempre di sorreggerlo nelle sue mire imperiali. La Grecia (paese NATO), durante la guerra del Kosovo, si permise il lusso di negare agli USA il porto di Patrasso, e non partecipò in alcun modo alle operazioni.
Chi afferma che l’Italia è tuttora una nazione colonizzata, quindi, ha elementi per confermarlo anche sul piano squisitamente “tecnico” (che, poi, solo tecnico non è), poiché le scelte sopraccitate, nell’ottica di soddisfare i requisiti costituzionali in ambito di difesa, sono semplicemente sciagurate ed anticostituzionali.
Costituzione calpestata, spese inconcludenti e sudditanza totale alle scelte di potenti paesi esteri: è quello che accade da decenni.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2008/09/linutile-bucintoro.html
11.09.08
NOTE:
[1] Fonte: Pagine di Difesa, 18 dicembre 2004. Ovviamente, i numeri sono riferiti a tutte le aeronautiche europee (e non) interessate al velivolo.
[2] Fonte: Giovanni Scafuro, La denuncia della Corte dei Conti dall’86 a oggi per l’Eurofighter ritardi sprechi e altri aerei in affitto – Rete italiana per il disarmo – 27 settembre 2004. La relazione della Corte dei Conti fu pubblicata su Avvenire il 25 settembre 2004.
[3] Fonte: Saverio Zuccotti – Pagine Difesa – 8 gennaio 2007.
[4] Gli aerei da strike, sono la ri-proposizione odierna dei vecchi “bombardieri leggeri”. Sono, praticamente, velivoli più grandi dei comuni caccia, che possono portare parecchio peso (armamento di lancio) a grande distanza e ad elevata velocità. Ovviamente, non hanno l’agilità dei caccia ed hanno una diversa impostazione della piattaforma di combattimento.
[5] I Tornado F3 della RAF, erano concepiti come velivoli a lunga autonomia per pattugliare le aree settentrionali dell’Atlantico. La minaccia che dovevano contrastare erano i bombardieri supersonici Tu-22 russi, non aerei da caccia: in un combattimento manovrato con un caccia (F-16 o Mig-29, ad esempio), il Tornado F3 ha scarse probabilità di sopravvivenza.
[6] Fonte: Commissione Difesa Senato, 17/02/2000.
[7] Fonte: Controlarmi, rete italiana per il disarmo.
[8] Per una più completa comparazione fra le due portaerei, vedi: http://digilander.libero.it/shinano/Italia/Conte%20di%20Cavour/confronti/Garibaldi.htm.
[9] Unterseeboot, sottomarino in tedesco.